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Il comma 566 “al di fuori” dell’Italia

di Mauro Quattrone

Il dibattito e le polemiche sulle nuove competenze professionali non riguardano solo l’Italia. Ma sono presenti anche in altri paesi, poiché la discussione sulle competenze avanzate delle professioni sanitarie infermieristiche è d’attualità in molti stati europei ed extra

20 APR - Ho letto con particolare attenzione il dibattito, che su questo quotidiano si sta trattando, per l’applicazione pratica della normativa prevista dal comma 566.
Mi sembra doveroso affermare la necessità dei riconoscimenti di nuove competenze o competenze avanzate per la categoria infermieristica, ma nello stesso tempo spero che gli interlocutori eluderanno il rischio di un malinteso, che aleggia in alcuni interventi (pochi), ovvero che gli infermieri sono interscambiabili con i medici, poiché tutti i soggetti sanitari nelle proprie e specifiche competenze devono contribuire alla cura e all’assistenza del malato.
 
Il dibattito in corso non riguarda solo l’Italia, ma si dibatte anche in altri paesi, poiché la discussione sulle competenze avanzate delle professioni sanitarie infermieristiche è d’attualità in molti paesi europei ed extra.
Le motivazioni di partenza che stanno alla base di questo dibattito riguardano essenzialmente l’aumento esponenziale dei costi in sanità, nello specifico i costi remunerativi per quelle figure professionali ad alta specializzazione quali medici specialistici, chirurghi ed ortopedici.
 
Secondo elemento, a sostegno di una diversa operatività degli infermieri, scaturisce dal fatto che in alcuni paesi esiste una estrema carenza dei medici di base, meno retribuiti, con compiti sempre più onerosi e con quantità di assistiti sempre più cospicua, basti pensare all’incremento del numero degli assicurati in America, dopo l’introduzione dell’Affordable Care Act (Riforma sanitaria). Sempre in questi paesi c’è poi una propensione esponenziale dei medici generici alla specializzazione con l’aspettativa di maggiori guadagni.
 
Terzo punto riguarda la particolare tipologia territoriale di quegli stati tutti con dimensioni continentali: Canada, Stati Uniti, Argentina, Australia, Sud Africa, Brasile.
Dove ci sono aree altamente popolate che contrastano con aree di media o bassa densità abitativa che necessitano, ugualmente, di assistenza sanitaria.
 
Per cui è stato necessario, per un equo sistema sanitario che ricomprendesse anche aree marginali del territorio, riformare ed ampliare competenze infermieristiche sia per cure primarie che per cure assistenziali e di prevenzione.
 
Negli anni sessanta in Cina si sperimentò il modello infermieristico avanzato del “medico scalzo”. Questi sanitari di base nascevano per implementare la sanità nelle sperdute zone rurali. Per ogni villaggio, furono date ad una persona delle nozioni mediche fondamentali: per la cura, la terapia e talvolta per interventi chirurgici di limitata portata.
Fu il primo tentativo, in tempi moderni, di competenze avanzate per il personale infermieristico.
 
Per tutti i motivi, precedentemente esposti, nei paesi anglofoni oltre la normale rilevante attestazioni di Nursery Praticioners (NP) sono stati previsti, per gli infermieri, ulteriori percorsi formativi professionali finalizzati ad una maggiore autonomia professionale e più specifiche competenze lavorative.
 
Si è passati ad una formazione più avanzata APRN (advance pratice registred nurse) che viene conseguita mediante studi di secondo livello (master) o di terzo livello (dottorato).
 
Secondo indagini elaborate nella patria del “nursing”, l’Inghilterra, gli infermieri laureati si allontanano sempre più dalle funzioni assistenziali, la laurea è uno “status” sociale, e la laurea altera gli equilibri interni, che finora hanno garantito il funzionamento dell’equipe assistenziale (Gough P, Masterson A. Mandatory Graduate entry to nursing. BMJ. 2010 Jul 9)
 
Il dibattito attuale sul “comma 566” nasce dalla constatazione di fatto che gli infermieri pur avendo acquisito una scolarità ed una preparazione professionale di livello europeo (2.300 ore di pratica e 2.300 ore di teoria), pur avendo avuto una riconosciuta autonomia professionale, siano rimasti “al palo” per oltre quindici anni.
Non sono stati previsti riconoscimenti ed emolumenti economici o livellari, non sono state previste competenze avanzate, non è stata prevista nessuna autonomia di discrezionalità professionale.
 
Fatta eccezione per pochi eletti della categoria, vicini al “circolo magico” della politica, delle organizzazioni professionali e del sindacato, la quasi totalità della categoria non ha usufruito minimamente di alcun beneficio. Ulteriore elemento aggravante della situazione è stato il fatto che, in Italia, a differenza degli altri paesi, non esiste una carenza dei medici di cure primarie, ma sicuramente esiste un’abbondanza di questa categoria.
 
Per cui, come più volte argomentato da Ivan Cavicchi, esiste nel sistema sanitario un “demansionamento” delle competenze professionali degli operatori sanitari.
E’ naturale che in un rapporto lavorativo uno ad uno, nel contesto europeo di uno a sette, ogni categoria professionale è stata indotta ad indebita appropriazione di competenze altrui, dequalificando un servizio sanitario in una tendenza al ribasso.
 
L’accelerazione e “la volata finale”, data dal Governo, insieme ad alcuni Governatori regionali con il “comma 566” non ha sortito gli effetti desiderati, aumentando la confusione ed il disorientamento generale. Il pensiero simulato dai politici era quello della gratificazione a costo zero (anche se tardiva) della professione infermieristica, ma il pensiero dissimulato era quello di far quadrare i conti, con le scarse risorse finanziarie dei bilanci sanitari regionali.
 
Quando Cavicchi parla di orti ed orticelli e di nuovo catasto di competenze, di campane e campanari, ed io aggiungerei di coperta corta che viene tirata dall’una o dall’altra parte, esprime sicuramente, sotto metafora, un giusto concetto: quello di ristabilire una giusta ricollocazione lavorativa, nei limiti e nelle competenze di ciascuna categoria professionale.
 
Tutto questo è possibile, attualmente, anche per la professione infermieristica mediante le competenze in campi sicuramente propri quali: controlli sulla continuità terapeutica, il follow up ospedaliero, l’assistenza agli anziani e disabili, malattie acute non complicate o malattie croniche quali il diabete, wound care, attività esclusiva presso ospedali di comunità integrati con il territorio per garantire le cure e l’assistenza continuativa (previsti dall’attuale legge sugli standard) oltre l’opportunità nel settore per lo studio di patologie più rilevanti, che in un rapporto di multidisciplinarità ed alta complessità, prepara l’equipe sanitaria (medici ed infermieri) ad espletare funzioni rilevanti e specialistiche per la cura e l’assistenza del malato, come previsto dalla riforma del S.S.Lombardo e dalla legge sugli Standard ospedalieri.
 
Naturalmente, tutto ciò può essere vigente solamente in un tavolo di concertazione complessiva, dove il Governo (Ministero della salute) ed i rappresentanti delle Regioni incontrino tutte le categorie delle professionali sanitarie per valutare le istanze e le peculiarità di ognuno, per poi decidere, in sintesi del nuovo progetto finalizzato a ricomporre e riequilibrare le competenze operative .
Tutti gli “stockholder” interessati al problema hanno l’obbligo ed il dovere di confrontarsi tra loro.
 
Speriamo che in questo progetto di “competenze avanzate” sia ricompresa l’intera categoria professionale infermieristica e non i soliti “beatificati” dalla politica e dagli ordini professionali, speriamo che non si venga a replicare il dualismo, di vecchia memoria, tra infermiere professionale specializzato ed infermiere professionale generico.
 
E speriamo che in questo tavolo gli ordini ed i sindacati rappresentino, in modo adeguato, le istanze di migliaia di infermieri che vendono la loro “forza lavoro” a basso prezzo poiché dipendenti da cooperative o fornitori di multi servizi: i nuovi “infermieri scalzi” (nessuno mai ne parla).
 
Un richiamo particolare alle categorie maggiormente interessate al problema, medici ed infermieri, per ricordare che in sistema economico liberale, come noi lo siamo, è il grado di soddisfazione e di utilità di un servizio a determinare il valore della prestazione effettuata.
 
Pertanto saranno solamente i pazienti, che sono anche consumatori sanitari, a determinare questo valore di efficacia.
Dovrebbe essere superfluo, ma in Italia non lo è, rammentare la centralità del paziente in relazione  alla cura e all’assistenza.
Questa categoria” passiva” dovrebbe essere sicuramente rappresentata in questo ipotetico e probabile tavolo di concertazione.
 
Questa mia raccomandazione parte dalla constatazione che nella quasi totalità degli interventi sul comma 566, la soggettività del paziente viene resa marginale o del tutto ignorata o ipocritamente rammentata in qualche inciso.
Solamente in un unico articolo a firma di Ivan Cavicchi ho sentito parlare “di ragioni ed esigenze dei malati”.
 
Mauro Quattrone

20 aprile 2015
© Riproduzione riservata

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