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Cassazione: dimissioni ospedaliere vincolate alle condizioni del paziente, non da linee guida


La sentenza riguarda il caso di un paziente morto il giorno in cui fu dimesso. Il medico, condannato per omicidio colposo in primo grado per dimissioni “frettolose”, era stato assolto dalla Corte d’Appello. Ora, però, dovrà tornare davanti ai giudici. Lo ha stabilito la IV Sezione penale della Corte di Cassazione sottolineando che la dimissione doveva essere decisa in base alle condizioni del paziente e non nel mero rispetto delle linee guida.

03 MAR - “Nel praticare la professione medica, il medico deve, con scienza e coscienza, perseguire un unico fine: la cura del malato (…) senza farsi condizionare da esigenze di diversa natura, da disposizioni, considerazioni, valutazioni, direttive che non siano pertinenti rispetto ai compiti affidatigli dalla legge e alle conseguenti relative responsabilità”. Con questa motivazione la IV Sezione penale della Corte di Cassazione ha rinviato un medico di fronte al giudice, accogliendo il ricorso della Procura della Repubblica e dei familiari di un uomo deceduto il giorno stesso in cui fu dimesso dall’ospedale di Busto Arsizio (ecco il testo integrale della sentenza, anticipata dal Sole 24 Ore).

La colpa del medico sarebbe quella di aver dimesso il paziente dopo 9 giorni da un intervento cardiaco, come previsto dalle linee guida, ma sottovalutando la gravità delle sue condizioni di salute, che poche ore dopo le dimissioni hanno portato all’arresto cardiaco. Secondo i periti, infatti, se l'uomo non fosse stato dimesso sarebbe sopravvissuto per le rapide cure che avrebbe ricevuto in reparto.
Il medico era stato quindi accusato di omicidio colposo. Condannato in primo grado, aveva però successivamente ottenuto l’assoluzione da parte della Corte d’Appello di Milano. La Cassazione, però, ha deciso l’annullamento della sentenza e il rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello.
Secondo i giudici della Cassazione, infatti, “nulla si conosce dei contenuti di tali ‘linee guida’, né dell’autorità dalle quali provengono, né del loro livello di scientificità, né delle finalità che con esse si intende perseguire, né è dato di conoscere se le stesse rappresentino un’ulteriore garanzia per il paziente ovvero, come sembra di capire dalla lettura delle sentenze in atti, altro non siano che strumenti per garantire l’economicità della gestione della struttura ospedaliera”.
“Se le linee guida richiamate dai giudici (…) e addotte dall’imputato a giustificazione della decisione di dimettere (…) dovessero rispondere solo a logiche mercantili – si legge nella sentenza della Cassazione -, il rispetto delle stesse a scapito del malato non potrebbe costituire per il medico una sorta di salvacondotto, capace di metterlo al riparo da qualsiasi responsabilità penale e civile, o anche solo morale”. Il medico infatti, affermano i giudici, “risponde anche a un preciso codice deontologico” e “non è tenuto al rispetto di quelle direttive, laddove esse siano in contrasto con le esigenze di cura del paziente, e non può andare esente da colpa ove se ne lasci condizionare, rinunciando al proprio compito e degradando la propria professionalità e la propria missione a livello ragioneristico”.
 

03 marzo 2011
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