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Medico era stato condannato per aver curato malato di cancro con l’ayurvedica. Ma Cassazione rinvia in Appello perché non era stato valutato se con la medicina tradizionale si sarebbero ottenuti benefici


La Cassazione (sentenza 7659/2018) ha rinviato alla Corte d'appello per un "vizio di mancanza di motivazione" la condanna di un medico che aveva convinto un paziente malato di cancro poi deceduto a curarsi secondo la medicna ayurvedica perché non era stato valutato se il paziente, praticando le terapie tradizionali, sarebbe guarito, sarebbe sopravvissuto più a lungo o avrebbe sofferto di meno (giudizio controfattuale). LA SENTENZA. 

27 FEB - Nessuna condanna, per ora, per un medico accusato di omicidio per aver convinto il paziente malato di cancro – deceduto - a curarsi affidandosi ai soli prodotti ayurvedici.

La Cassazione penale (IV sezione) con la sentenza 7659/2018 ha rinviato infatti alla Corte d’Appello che aveva emesso la sentenza di condanna la decisione perché questa aveva omesso del tutto di valutare se il paziente, praticando le terapie tradizionali invece di quella ayurvedica, sarebbe guarito, sarebbe sopravvissuto più a lungo o avrebbe sofferto di meno.
Caduto in prescrizione l'omicidio colposo, restava il danno dal punto di vista civile che la Corte d'Appello ha rideterminato al ribasso proprio perché il reato principale era prescritto.
Nonostante questo il medico ha ricorso in Cassazione che ha annullato la sentenza della Corte d'Appello perché non ha previsto la prova controfattuale: cioè che se si fosse curato convenzionalmente sarebbe vissuto di più o avrebbe sofferto meno ecc.
 
Infatti, più che valutare la problematica relativa al nesso causale e al giudizio controfattuale (cioè ciò che sarebbe accaduto se i fatti si fossero svolti a monte in modo diverso), la Corte d'appello secondo la Cassazione si era soffermata sulla sola condotta del medico, cercando di capire se questo avesse o meno convinto il paziente a praticare le terapie ayurvediche in luogo di quelle tradizionali.

La sentenza per la Cassazione risulta quindi viziata per mancanza di motivazione, essendo priva di spiegazioni su temi sui quali invece doveva centrarsi il giudizio, con la conseguenza che la Corte la ha annullato la decisione agli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente.

Il fatto
Un medico ha ricorso in Cassazione contro la sentenza della Corte d’Appello con cui era stato deciso di non dover applicare la prescrizione, riducendo il risarcimento del danno derivante dal reato secondo l’art. 589 cod pen. perché, in qualità di medico chirurgo, aveva provocato, per colpa, il decesso di una persona affetta da adenocarcinoma rettale infiltrante, convincendola a non sottoporsi a intervento chirurgico e a seguire le terapie da lui prescritte, a base di medicinali di tipo ayurvedico e di diete vegetariane, senza rivolgersi ad altri medici, che seguivano le terapie tradizionali, e persuadendo il paziente che il cancro al retto sarebbe guarito, in assenza di interventi chirurgici e di terapie di tipo chemioterapico, con medicamenti naturali e seguendo una dieta vegetariana, favorendo il decesso anticipato del paziente.

La sentenza
Il ricorso del medico condannato è basato sul vizio di motivazione, perché il paziente aveva dichiarato sia nella videointervista effettuata sia in sede di consultazione con numerosi altri sanitari, compresi quelli dell’ospedale di Pieve di Cadore dove era ricoverato che hanno trascritto le sue dichiarazioni, di rifiutare ogni cura tradizionale e di volersi curare solo con la medicina ayurvedica, specificando di essere sempre stato convinto di questo, anche prima di conoscere il medico accusato.

Questo dimostra che il paziente aveva dato il consenso informato alle cure ayurvediche proposte, smentendo anche le testimonianze di parenti e amici del malato, anche perché una teste aveva dichiarato ai Carabinieri che questo le aveva confidato di non volersi curare con la medicina ufficiale.

Secondo la giurisprudenza, come spiega la sentenza, un comportamento umano è causa di un evento solo se, senza di esso, l’evento non si sarebbe verificato (formula positiva); non lo è se, anche in mancanza di tale comportamento, l’evento si sarebbe verificato egualmente (formula negativa).

“Da questo concetto  - si legge nella sentenza - nasce la nozione di giudizio controfattuale ("contro i fatti"), che è l'operazione intellettuale mediante la quale, pensando assente una determinata condizione (la condotta antigiuridica tenuta dell'imputato), ci si chiede se, nella situazione così mutata, si sarebbe verificata, oppure no, la medesima conseguenza: se dovesse giungersi a conclusioni positive, risulterebbe, infatti, evidente che la condotta dell'imputato non costituisce causa dell'evento”.

“Il giudizio controfattuale  - continua la Cassazione - costituisce, pertanto, il fondamento della teoria della causalità accolta dal nostro codice e cioè della teoria condizionalistica.

Naturalmente, esso, imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, avrebbe potuto evitare l'evento, richiede preliminarmente l'accertamento di ciò che è effettivamente accaduto e cioè la formulazione del c.d. giudizio esplicativo”.

“Per effettuare il giudizio contrattuale – spiega ancora la sentenza - è quindi necessario ricostruire, con precisione, la sequenza fattuale che ha condotto all'evento. In tema di responsabilità medica, è dunque indispensabile accertare il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, in quanto solo in tal modo è possibile verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta dal sanitario, l'evento lesivo sarebbe stato evitato o posticipato”.

Per la Cassazione dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica utilizzata per eseguire il giudizio controfattuale non è possibile dedurre automaticamente la conferma o la smentita dell'accusa sull'esistenza del nesso causale tra condotta del medico e danno subito dal paziente.

Il giudice, infatti, è chiamato a verificare la validità della ricostruzione nel caso concreto, tenendo conto di tutte le circostanze di fatto e dell'evidenza disponibile, e, dopo aver escluso l'interferenza di fattori eziologici alternativi, a concludere in maniera "giustificata e processualmente certa" che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con un alto grado di credibilità razionale.

“E' dunque da ravvisarsi – conclude la sentenza della Cassazione - il vizio di mancanza di motivazione, riscontrabile non solo allorché quest'ultima venga completamente omessa ma anche quando sia priva di singoli momenti esplicativi in ordine ai temi sui quali deve vertere il giudizio.

La sentenza impugnata va dunque annullata agli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente, per valore, in grado di appello, cui va demandata la regolamentazione delle spese tra le parti anche relativamente a questo giudizio di legittimità. Il ricorso va rigettato nel resto”.

27 febbraio 2018
© Riproduzione riservata

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