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Questione medica. Guardiamo al futuro con parametri nuovi

di Antonio Panti

L’impressione è che le organizzazioni mediche tendano a idealizzare il passato quasi in attesa che in qualche modo possa riapparire. Tutto il mondo cambia e la medicina fa parte del mondo. Sarebbe opportuno dedicare una sezione degli “Stati generali” alla discussione sulla medicina e sulla professione tra un decennio alla luce dei prevedibili progressi dell’Intelligenza artificiale e di quanto potrebbe pesare sul mercato del lavoro

05 MAG - L’idea di convocare gli “Stati generali della medicina” risponde a un’esigenza dei medici e di chiunque si occupi di sanità nonché della società stessa, sollecitata dai grandi progressi della tecnologia che affascinano e, insieme, preoccupano.
 
In questo quadro una riflessione ineludibile riguarda il futuro dei medici; tutti percepiamo i cambiamenti inarrestabili della medicina e l’iniziativa della Federazione degli Ordini non può non avere un horizon scanning di almeno un decennio. Tuttavia già siamo entrati in quella che viene chiamata “infosfera” cioè nell’epoca dominata dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Cosa sta cambiando e cosa si avvia a cambiare nella medicina?
 
Non credo vi sia una risposta univoca e sicura. È un fatto che i mass media ogni giorno, e una copiosa letteratura tra fantascienza e futurologia, pongono seriamente problemi di modello produttivo della sanità e di trasformazione del lavoro professionale, a seguito dell’invasione pervasiva delle tecnologie informatiche, da risolvere ora e subito, pena una transizione difficile e penosa sul piano economico e sociale.
 
È importante, ai fini del futuro della professione anzi delle professioni sanitarie, non tanto prevedere quali saranno i successi della scienza sul piano della conoscenza dell’uomo e delle possibilità di diagnosi e di cura. È evidente che questi progressi rappresentano una precondizione per la professione. Tuttavia è l’innovazione tecnologica, in particolare i big data e l’IA applicati all’agire medico, che incideranno sull’esercizio professionale.
Oggi, per quanto si cerchi di tenere uniti i differenti ambiti professionali, e al di là della ricerca e dell’insegnamento, i medici dirigono la loro attività verso tre indirizzi pratici, quello clinico, quello di servizio alla clinica e quello organizzativo o comunque non collegato al rapporto diretto col paziente.
 
Secondo molte previsioni di analisti qualificati e dello stesso andamento del mercato, il lavoro medico, tipicamente intellettuale, può trovarsi in difficoltà, in pratica essere sostituibile, di fronte all’avanzata delle tecnologie robotiche e di quelle sofisticate innovazioni che utilizzeranno al meglio i big data. Molte specialità potrebbero risentirne, quelle strettamente collegate con tecniche che utilizzino computer capaci non solo di fare diagnosi per immagini, ma anche di sviluppare la cosiddetta deep learning, cioè la capacità della macchina di auto apprendere.
 
Anche le discipline gestionali e molte attività connesse con l’organizzazione dei servizi medici potrebbero essere parzialmente sostituite da macchine che “risolvono problemi”, perché in grado di dominare enormi quantità di dati, proprio quel che talora riesce arduo a chi gestisce.
Al contrario, sembrano resistere all’avanzata delle tecnologie informatiche le discipline in cui si manifestano le doti inventive o meglio ermeneutiche dell’uomo nonché, a detta di tutti i commentatori, quelle fondate sull’empatia. Un’occasione per la medicina generale e per l’assistenza infermieristica. Le app possono effettuare le diagnosi algoritmiche, sintomatiche, meglio dei medici e degli infermieri, ma saranno assai poco utilizzabili quando la diagnosi e la prognosi dipendono da fattori umani, poco decidibili o, meglio, meno controllabili rispetto a quanto è possibile “calcolare” mediante l’analisi dei dati oppure dei “mi piace”.
 
In questo quadro, che altri può disegnare meglio ma che è già presente, sorgono molteplici problemi. Mancheranno i medici o si corre il rischio di una grave disoccupazione (effetto della “creative disruption” del capitalismo, in questo caso incapace di sostituire posti di lavoro distrutti dalle nuove tecnologie con altri da queste derivanti)? E come indirizzare i neolaureati? È chiaro che gli attuali criteri fondati per lo più sulla disponibilità didattica delle università non sono adeguati, anzi appaiono fuorvianti. E la relazione umana si può insegnare? Entro certi limiti si ma allora bisogna farlo. E di quanti professionisti bedside ci sarà bisogno, nonostante l’invecchiamento della popolazione?
 
L’invito è di affrontare il futuro delle professioni sanitarie secondo parametri nuovi rispetto a come finora si è orientata la didattica medica. L’impressione è che le organizzazioni mediche tendano a idealizzare il passato quasi in attesa che in qualche modo possa riapparire. Tutto il mondo cambia e la medicina fa parte del mondo. La consapevolezza dovrebbe costringere a riflettere sulle trasformazioni in atto in modo da evitare crisi del lavoro medico che renderebbero inutile qualsiasi altro provvedimento. Sarebbe opportuno dedicare una sezione degli “Stati generali” alla discussione sulla medicina e sulla professione tra un decennio alla luce dei prevedibili progressi dell’IA e di quanto potrebbe pesare sul mercato del lavoro. Si tratta di raffigurarsi il quadro che si presenterà, dopo la specializzazione, a coloro che si iscrivono quest’anno 2018 alla facoltà medica.
 
Antonio Panti

 

05 maggio 2018
© Riproduzione riservata

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