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La struttura non si assolve per la “tenuità del fatto” compiuto dal medico. Cassazione condanna una clinica a risarcimento paziente


La Corte ha confermato la decisione della Corte d’Appello (e prima del Tribunale) che ha condannato un sanitario della struttura per lesioni gravi e la struttura stessa quale “responsabile civile” al risarcimento (30mila euro) del danno. Secondo i giudici la clinica non ha interesse a chiedere il riconoscimento della non punibilità per particolare tenuità del fatto e l'applicazione dell'articolo 131-bis del Codice penale non avrebbe l'effetto di “prosciogliere” il responsabile civile” che risponde in “solido” del danno provocato dal medico. LA SENTENZA.

09 AGO - Al medico la responsabilità penale, alla clinica quella civile. La Cassazione ha confermato con la sentenza 38007/2018 la decisione della Corte d’Appello (e prima del Tribunale) che ha condannato un sanitario della struttura per lesioni gravi e la struttura stessa quale “responsabile civile” al risarcimento (30mila euro) del danno.
 
Il fatto. Un medico è stato ritenuto colpevole del reato di lesioni gravi ai danni di in paziente che a esso si era rivolto per un accertamento diagnostico con infusione di liquido di contrasto e lo aveva condannato alla pena di mesi due di reclusione. Il medico e l'Istituto di cui fa parte, quale responsabile civile, erano stati condannati in solido al risarcimento del danno in favore della parte civile con una provvisionale immediatamente esecutiva di 30.000 euro.

Il medico aveva iniettato il mezzo di contrasto nel braccio destro del paziente per effettuare una Tac, nonostante la raccomandazione di non sottoporre l'arto a sollecitazioni dopo che l'uomo aveva subìto l'asportazione dei linfonodi ascellari per una patologia tumorale.

Il medico a sua difesa aveva dichiarato l’assenza di linee guida in merito per l’applicabilità o meno della legge 24/2017 (articolo 590-sexies del Codice penale). La condotta del medico non poteva infatti essere qualificata come imperizia, perché l'errore non era avvenuto in fase esecutiva, ma ancora prima, al momento della scelta dell'arto sul quale praticare il trattamento, facendo così scattare una colpa cosciente che rientra nel campo della negligenza.

La sentenza. Secondo la Cassazione la clinica, come responsabile civile per l'operato del medico, non ha interesse a chiedere il riconoscimento della non punibilità per particolare tenuità del fatto. L'applicazione dell'articolo 131-bis del Codice penale comporta, infatti, l'accertamento del fatto, la sua rilevanza penale e la responsabilità dell'imputato e non avrebbe l'effetto di “prosciogliere” il responsabile civile”. Nulla dunque che possa essere “utile” alla responsabile civile per evitare di rispondere in “solido” del danno provocato dal medico.

“Sotto un primo profilo – si legge nella sentenza - il ricorso si appalesa inammissibile in quanto investe la statuizione di condanna penale dell'imputato il quale, riconosciuto colpevole del delitto di lesioni personali gravi non ha proposto impugnazione, rendendo pertanto irrevocabile la suddetta statuizione nei propri confronti, così da ritenersi non più suscettibile di modifica”.

Inoltre, spiega la sentenza “il responsabile civile risulta privo di interesse a dedurre il vizio denunciato. Invero la verifica dell'interesse alla impugnazione rileva esclusivamente se il gravame è idoneo ad eliminare una situazione pregiudizievole per l'impugnante, determinando una situazione più favorevole di quella esistente”.

La Cassazione spiega che in questo caso “premesso che l'imputato ha omesso di impugnare la statuizione di condanna ed essa ha assunto definitività ai fini penali, ai fini civili l'interesse del responsabile civile ad ottenere una formula di proscioglimento dell'imputato ai sensi dell'art.131 bis cod.pen. risulta impedito dagli effetti riconosciuti dal legislatore alla suddetta statuizione, laddove ai sensi dell'art.561 bis cod.pen. essa ha effetto di giudicato nel giudizio civile ‘quanto all'accertamento del fatto, alla sua illiceità penale e alla affermazione che l'imputato lo ha commesso’, precludendo anche sotto questo versante alcun vantaggio alla posizione del responsabile civile in ipotesi di accoglimento della doglianza proposta”.

Né è impugnabile la decisione del giudice relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale “trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa, non suscettibile di passare in giudicato e non necessariamente motivata”.

La Cassazione quindi respinge il ricorso della clinica che contestava il mancato riconoscimento della non punibilità per particolare tenuità del fatto e chiarisce che la responsabile civile (la clinica appunto) non poteva essere “prosciolta” in base all'articolo 131-bis, che è applicabile quando c'è la prova della colpevolezza dell'imputato, precludendo così qualunque vantaggio per il responsabile civile.

E condanna la clinica ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, della sanzione pecuniaria indicata in dispositivo e a rifondere le spese di difesa del grado della parte civile.

09 agosto 2018
© Riproduzione riservata

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