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Libera professione e liste d’attesa. Le proposte dei chirurghi italiani per una revisione del sistema. Ma manca la risposta al quesito dei quesiti: è giusto che chi ha i soldi salti la fila?”

di Cesare Fassari

Il Collegio italiano dei chirurghi (Cic) ha riunito nei giorni scorsi 37 società scientifiche di chirurgia per un confronto sulla libera professione dei medici, sia in intra che in extramoenia, e sulle liste d’attesa. Ne sono scaturite 13 proposte per le istituzioni per provare a dare nuove regole al sistema e affrontare anche il problema delle liste d’attesa. IL DOCUMENTO

19 DIC - Cosa accadrebbe se fosse abolita la libera professione dei medici, sia intra che extramoenia? Un quesito al quale il Collegio italiano dei chirurghi, insieme alle 37 società scientifiche di chirurgia, in rappresentanza di oltre 50mila “bisturi” italiani, non ha saputo (o voluto) rispondere al termine di un ampio documento che cerca di dare risposta e soluzioni a un problema sempre ricorrente: quello del diritto o meno di medici e cittadini di usufruire della libera professione e di come, questa, incida “in negativo” sulle liste d’attesa.
 
Ok, dicono i chirurghi, accettando la provocazione, poniamo che si decida di superare l’extramoenia?  In tal caso, si chiedono, saranno le Aziende in grado di offrire a tutti spazi idonei?
 
Oppure, si chiedono ancora, cosa comporterebbe una abolizione tout court della libera professione? Un adeguamento dell’indennità di esclusiva? La possibilità di svolgere una libera professione senza controllo purché fuori dell’orario di lavoro? E il rapporto esclusivo?
 
Tutte ipotesi/soluzioni sulle quali il Cic non prende posizione, limitandosi, appunto, a porre il problema più in chiave ipotetica che di possibile scenario, catalogando infatti la questione come “Quesiti irrisolti”.
 
A provare ad offrire una soluzione alla messa a punto del sistema attuale di libera professione, invece, i chirurghi ci provano e lanciano ben 13 proposte alle istituzioni, anticipate da una serie di riflessioni che, partendo dal perché (secondo loro) è stata istituita la libera professione (“non per sopperire al problema, scaturito successivamente, delle liste d’attesa ma allo scopo di adeguarsi al diritto legittimo dell’utente di scegliere il proprio curante e, viceversa, da parte di quest’ultimo, di rispondere a tale scelta fuori da liste”), proseguono dando una chiave di lettura al fenomeno liste d’attesa.
 
Un fenomeno, per i chirurghi del Cic, generato esclusivamente da tre fattori: riduzione delle strutture, riduzione del personale e conseguente riduzione del numero delle prestazioni erogabili.
 
Per il Cic, come per la stragrande delle società mediche e dei sindacati, libera professione e liste d’attesa non hanno nulla in comune.
 
Del resto nessuno incolpa la libera professione di far lievitare di per sé le liste d’attesa, il problema è infatti più di ordine “etico” e si riassume in una domanda molto semplice: è giusto che chi può permetterselo salti le liste?
 
A questo quesito il Cic non risponde direttamente ma in qualche modo si fa carico del problema pur rovesciando la questione e riproponendola in tre varianti:
- la prima è quella dell’attrattività della struttura che porterebbe il paziente a scegliere la migliore su piazza con conseguente lista d’attesa: “se abbiamo riconosciuto a quella struttura un alto indice di attrattività, legato alla qualità, non possiamo poi disperdere nel territorio (senza medesima qualità) quelle “liste”! Se viene fatto un investimento per la creazione di tali strutture penalizzarne l’efficacia abbasserà immediatamente la qualità dell’offerta assistenziale. Lo si vuole?”, chiede il Cic.
 
- La seconda è quella della delusione sulla possibilità di rivolgersi alla struttura più attrattiva, che porterebbe il paziente al “superamento” della lista d’attesa scegliendo la libera professione intramoenia o il privato: “si tratta di un by-pass innaturale nel quale si apre la possibilità ad un contenzioso logico per chi se ne può/vuole approfittare. Lo si vuole?”, si chiede ancora il Cic.
 
- La terza variabile si inquadra in uno scenario dove, ammette il Cic, “esistono, purtroppo, soprattuto per visite specialistiche e per procedure diagnostico/terapeutiche routinarie, liste di attesa inaccettabili legate, spesso, ad un insufficiente utilizzo di personale, strutture ed apparecchiature. Questo incrementa, nel territorio, la richiesta vs il privato. Lo si vuole?”, si chiede ancora il Cic.
 
Insomma che un problema tra libera professione, sanità privata e liste d’attesa esista non lo si nega ma il quesito “etico” che ci siamo posti viene solo sfiorato, limitandosi a proporre “un meccanismo di controllo ed un correttivo” all’andazzo non certo esaltante.
 
Questa la cornice del problema dalla quale il Cic fa comunque discendere le sue 13 proposte di soluzione:
 
1. Il collegio chiede maggior rispetto per i professionisti cui non possono essere addebitate le accuse del prolungamento delle Liste di attesa, tanto meno attraverso l’ALPI.
 
2. Soltanto l’attribuzione di adeguate risorse umane, di strutture e di attrezzature può consentire la riduzione delle Liste di attesa (assunzione di medici e reintegrazione di quelli che vanno in pensione).
 
3. Meccanismo premiale per le strutture ad alta attrattività per un superamento “interno” delle Liste di Attesa attraverso l’assegnazione di personale ed un migliore e pieno utilizzo delle strutture.
 
4. Rivedere i carichi di lavoro del personale, per singola struttura, in modo da adeguarli all’offerta.
 
5. Instaurare un meccanismo adeguato di controllo per il “pieno” impiego del personale e delle apparecchiature in dotazione. Solo nel caso in cui si tratti di routine è utile ed auspicabile la cosiddetta dispersione nel territorio ad altre pubbliche strutture altrettanto efficienti o più disponibili.
 
6. Il Collegio condivide la necessità di una regolamentazione nazionale dell’ALPI da prevedere nel nuovo contratto di lavoro.
 

7. Prevedere che la cosiddetta Intramoenia allargata venga attuata anche con deduzione fiscale delle spese sostenute (tale meccanismo non è richiesto dal professionista e sarebbe un trattamento diverso rispetto a coloro per i quali le Aziende hanno avuto modo di adeguare le strutture).
 
8. Intramoenia anche per prestazioni non comprese nei LEA, quindi anche la parte estetica (anche per l’attività di formazione nelle università con oggettivo miglioramento del servizio al cittadino).
 
9. Alcuni tipi di patologie, non ricompresi nei LEA, talora con connotazione funzionale trovano difficoltà ad essere soddisfatte in regime di ALPI.
 
10. L’attività intramoenia deve essere considerata una risorsa per il pubblico, lo stesso pubblico la sottoutilizza a vantaggio del privato. L’attività libero professionale va considerata un’attività imprenditoriale di pubblico interesse con il limite, purtroppo, dell’elevato tasso di burocrazia (con svantaggio per il professionista, per l’azienda e per il cittadino). A tale proposito si suggerisce la possibilità di affidare ad una joint venture con i privati l'organizzazione dell'attività intramoenia (anche allargata) da parte delle aziende che non riescono a reperire spazi ed ambienti sufficienti a rispondere alle varie necessità dei medici. 
 
11. Maggiori investimenti su strutture, tecnologie e risorse umane indispensabili al miglior funzionamento delle unità operative.
 
12. I volumi prestazionali vanno concordati con la disponibilità a concordare dei tetti di lavoro settimanali eguali per tutto il territorio nazionale (per Struttura non per operatore) e di tetti ragionevoli di onorari sempre a livello nazionale (max. 2-3 volte il DRG) (nel contratto nazionale? Nell’Azienda?)
 
13. Controlli adeguati al fine di prevenire modalità incongrue o inadeguate dell’erogazione dell’ALPI.
 
Basteranno queste proposte a risolvere la questione? Basteranno a cancellare i nostri dubbi “etici”? Vedremo e vedremo soprattutto come e in che misura ne terranno conto il Governo e le Regioni.
 
Cesare Fassari

19 dicembre 2018
© Riproduzione riservata

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