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Al via il progetto Anaao di formazione femminile. Verso una sanità orientata dalle donne


Parte oggi fino al 9 febbraio a Milano il primo laboratorio residenziale rivolto a tutte le donne in medicina. Un’esperienza di formazione a carattere intersettoriale, che ha come obiettivo la necessità di lavorare sul tema del benessere delle donne medico nel Ssn, sulla promozione del capitale umano, sociale e decisionale, di cui sono portatrici. Venticinque dirigenti, guidate da esperte, punteranno i riflettori su più hot topics

07 FEB - Il sorpasso femminile nel mondo della sanità e in tutte le sue declinazioni è imminente. Diventa quindi indispensabile attrezzarsi il futuro. E l’Anaao Assomed non di farà trovare impreparato.  
 
Per questo parte oggi a Milano fino a sabato 9 febbraio, il primo Corso dell’Area di Formazione Femminile Anaao Assomed. La prima tappa del progetto, rivolto a tutte le donne in Medicina, ha come obiettivo quello di costruire una comunità di pensiero e pratiche per una sanità orientata dalle donne, e di trasformare il protagonismo in quella autorità di cui tutti abbiamo bisogno.
 
L’Area Formazione Femminile dell’Associazione nasce proprio dalla necessità di lavorare sul tema del benessere delle donne medico nel Ssn, sulla promozione del capitale umano, sociale e decisionale, di cui sono portatrici.
 
“Curiosamente – fa notare Sandra Morano, coordinatrice dell’Area –  il momento della massima svalutazione del Ssn coincide con la più grande ondata di mano d’opera sanitaria femminile. Le donne scelgono la professione di cura come prima, e forse più congeniale, opzione, mentre gli uomini la stanno abbandonando perché meno prestigiosa, anche economicamente. Ma per la professione medica non passa solo da qui l’urgenza di un necessario recupero di autorevolezza. Recupero non facile né scontato, ma che toccherà giocoforza alle donne, in maggioranza nei prossimi anni, mettere in atto”.
 
Venticinque dirigenti, guidate da esperte, discutono alla luce della differenza hot topics quali:
 
Il lavoro 4.0: una “temparizzazione” strisciante ha nei fatti già cambiato il lavoro del medico allargando il divario tra l’etica della cura ed il mercato di prestazioni. In questa trasformazione non c’è traccia della voce femminile: quali pratiche mettere in atto per una sanità unversalistica?
 
La ridefinizione dell’identità professionale che non può prescindere dalla relazione con l’altro, il nostro capitale umano, sociale e professionale, un diritto e un privilegio non sostituibile, non rinunciabile nè negoziabile. Ancora più irrinunciabile appare lo sguardo delle donne sulla loro diversa identità nel passaggio dal protagonismo alla coerenza coi codici materni, l’accoglienza e l’ascolto.
 
Il cambiamento dei luoghi di cura, dalle storiche strutture costruite senza una visione patient centered né clinician centered, verso le tecnologie avanzate, la tracciabilità logistica, la sostenibilità energetica, per una società che cambia. Ma come cambia la vita di chi ci lavora? Interroghiamo le donne, che portano nei progetti i loro spazi mentali, ricostruiscono ambienti familiari, e pensano ai luoghi della vita e della sofferenza in una prospettiva salutogenica.
 
Chi cura e chi vive sul lavoro di cura: negli anni vari specialisti non medici hanno costruito sul nostro lavoro sistemi paralleli che ci controllano e ci condizionano, ognuno con lo scopo di insegnare ai medici il modo migliore di fare il medico. Alle donne, apparentemente assenti, in realtà occupate a tenere insieme tutto il mondo della cura, dalla corsia alla casa, dalle responsabilità agli affetti, toccherà tradurre questa esperienza in azioni in grado di cambiare il mondo.
 
La nascita della cultura paura-rischio: la paura, e un irreversibile avvelenamento del rapporto tra curanti e curati, ha pervaso non solo le corsie ma anche la società, in una crisi, che è soprattutto di comunicazione, e che ha finito per generare nella classe medica comportamenti e rivendicazioni “in difesa”. Cambiare la “forma mentis” significa immaginare nuovi contenitori dei rapporti di lavoro rispettosi della differenza, prepararsi alla condivisione della scelta piuttosto che fidare nel consenso informato, coltivare l’esercizio del dubbio, ritornare a convivere con l’incertezza e la fallibilità.
 
La formazione medica: da anni autarchicamente uguale a se stessa, l’Università continua a sfornare medici pronti più per l’Europa che per il Ssn, a sua volta svuotato di appeal e indebolito dalla privatizzazione. E da anni ha abdicato a cruciali obiettivi educativi, tra cui l’esposizione alle Humanities, che diminuiscono la frustrazione e il burn out nei curanti, influiscono sulla qualità delle cure, sui costi e sulla soddisfazione del paziente. La riconquista della autorevolezza dei medici passa attraverso la consapevolezza e il coraggio di tornare a coltivare le Humanities, di indicare percorsi di cura ed organizzativi non neutrali, di costruire prospettive di ricerca e pratiche women oriented.

07 febbraio 2019
© Riproduzione riservata

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