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L’obbligo della relazione con il malato

di Ornella Mancin

Oggi non basta più informare il malato sulla malattia che ha, è necessario coinvolgere il malato nella definizione della sua malattia. E’ necessario cioè avere il suo consenso (consenso informato) e questo ci obbliga ad avere una relazione

22 MAR - Alcuni anni fa  l'Omceo veneziano nella sua prima collaborazione con il Dipartimento di Filosofia di Ca' Foscari ha realizzato un convegno di cui sono stati pubblicati gli Atti, dal titolo “Comunicare in medicina: l'arte della relazione”.
 
Il titolo appare oggi in qualche modo profetico  ed è in perfetta sintonia con le Tesi del prof. Cavicchi  là dove affronta, nella seconda macroarea, il tema della relazione, dialogo, linguaggio e consenso informato.
 
Questi sono stati i temi affrontati anche nel secondo dei mercoledì filosofici proposti dalla Fondazione Ars Medica  dell'Omceo veneziano  che si è svolto il 6 marzo scorso.
 
“La relazione intesa come dialogo e come consensualità è la strada maestra  per ricostruire  le condizioni di fiducia tra la medicina  e la società e il medico e il malato” (tesi n°49).
 
Il prof. Luigi Perissinotto, filosofo del linguaggio, nel convegno sopra citato ci metteva  in guardia sulla distinzione tra linguaggio informativo e linguaggio che diventa comunicazione, relazione.
“Potremmo domandarci”, scrive il prof. Perissinotto, “proprio a riguardo della relazione, se il modello di comunicazione  come informazione non abbia a lungo prevalso   riducendo così la comunicazione  a un trasferimento di informazioni: il paziente che informa il medico dei suoi disturbi; il medico che comunica la sua diagnosi e l'eventuale terapia. In fondo questo modello  ben si addice all'idea a lungo dominante  che il medico sia sostanzialmente un professionista chiamato ad applicare con oggettività e neutralità emotiva, la sua scienza”, (Cit. tratta da “Comunicare in Medicina” ED. Mimesis pag. 21).
 
Vi è differenza quindi tra comunicare e informare e i medici si fermano spesso all'informazione, una informazione che viene fatta con linguaggio scientifico per descrivere la malattia in maniera oggettiva, in perfetta sintonia con il paradigma positivista.
 
Su questa significativa differenza vorrei riagganciarmi a due iniziative molto importanti:
- la prima è il convegno organizzato da Roberto Monaco presidente dell’Ordine dei medici di Siena dal titolo: “Comunicare in sanità: relazione di cura e cura della relazione” (La Professione,  II. MMXVII 2017),
- la seconda è una pubblicazione di autori vari curata dall’Ordine dei medici di Bari “Comunicare la sanità nel contesto europeo tra new media e nuovo ruolo delle istituzioni” (Edizioni di pagina, Bari 2017).
 
Nella prima iniziativa il discorso è incentrato nella relazione medico/malato e tra i vari interventi vi è quello davvero illuminante del prof Cavicchi che già in quella occasione metteva in evidenza il ruolo del linguaggio, la differenza tra informazione e comunicazione ponendo, molto prima delle 100 tesi   il problema dell’aggiornamento del paradigma.
 
Nella seconda invece il discorso è incentrato come si evince bene dal saggio di Filippo Anelli su una doppia relazione: tra il medico e il cittadino e  il medico e la società, a sottolineare l’importanza di allargare la relazione  dal malato al cittadino, dal medico alla comunità (F. Anelli, La comunicazione pubblicitaria come strumento per ricostruire il rapporto medico-paziente in “comunicare la sanità”, 2017).
 
In sostanza noi medici oggi a differenza di ieri dobbiamo dialogare  cioè essere in grado di usare la dialogica e la dialettica  sia a livello individuale  che a livello collettivo perché ormai non possiamo più permetterci il lusso  di preferire la verità scientifica (episteme) all’opinione del cittadino e della società (doxa ), ma siamo in qualche modo obbligati a mettere in relazione il nostro sapere con le esperienze degli altri  cioè con le conoscenze e le credenze degli altri. Oggi in sostanza non basta più informare il malato sulla malattia che ha, è necessario coinvolgere il malato nella definizione della sua malattia. E’ necessario cioè avere il suo consenso (consenso informato) e questo ci obbliga ad avere una relazione.
 
 
Se vogliamo davvero   vincere la sfida del cambiamento e presentare una nuova medicina e un novo medico è assolutamente necessario recuperare la fiducia del paziente e questa fiducia passa attraverso un ripensamento della relazione.
 
“Il medico sino ad ora ha avuto un tipo di relazione con il malato che serviva sostanzialmente a conoscere la malattia attraverso l'osservazione dei fatti. Se si vuole conoscere il malato si deve cambiare tipo di relazione” (Tesi n°48).
 
Nel modello attuale la relazione tra medico e paziente è una “giustapposizione”  in cui il medico osserva i sintomi e i segni del malato, in una “razionalità non inquinata dall'invadenza dei soggetti, quindi una medicina puramente logica, fatta da un ragionamento oggettivo , regole deduttive , metodi rigorosi, leggi naturali”( Sinossi n°5).
 
La  medicina positivista non ha bisogno di entrare in relazione con il malato, ma  senza una vera relazione che dia spazio alla singolarità e alla complessità del malato  sembra impossibile recuperare quel rapporto di fiducia che oggi si è fortemente incrinato tra medico e società.
 
“I difficili rapporti tra medicina e società si possono migliorare attribuendo al linguaggio, alla sua conoscenza, al suo uso un ruolo fondamentale  per la costruzione  del dialogo e della fiducia ( Tesi n°51)
Il recupero di un rapporto di fiducia può avvenire solo attraverso una relazione dialogica, nella quale non è il paziente al centro, ma il dialogo, la relazione.
 
“Oggi è un luogo comune dire mettere al centro il paziente. Una relazione è per definizione eccentrica (letteralmente senza centro) {….}. Oggi la relazione di cura è sempre una relazione plurivalente perché riconnette tante altre relazioni. L'idea di centralità è al contrario, una relazione a senso unico, che va sempre dal medico al malato{...}. Se proprio si deve metter al centro  qualcosa, questo qualcosa, è la relazione  quindi tanto il medico che il malato” ( 100 Tesi pag. 170).
 
Oggi il medico ha bisogno di imparare a costruire una relazione dialogica con il malato, di acquisire “competenze interpersonali”  non solo   competenze tecniche, perché oggi la relazione “è strategica perché essa vuol dire  consenso, accettazione, condivisone, corresponsabilizzazione”.
 
Per questo nuovo modello di relazione medico paziente  non serve insegnare ai medici tecniche comunicative  ma  a costruire delle relazioni  e per far questo servirebbe un nuovo  modello formativo universitario e una nuova organizzazione del sistema sanitario che  ridesse valore e significato al tempo.
 
Il tempo della relazione è tempo di cura è stato ribadito più volte,  il rapporto numero di prestazioni /unità di tempo  proprio dell'industria manifatturiera, non è applicabile in medicina” (Presidente Anelli al Consiglio Nazionale  a Siena 2018). Come è pensabile costruire una alleanza medico paziente senza un tempo adeguato? “Il tempo è una variabile indipendente del lavoro nel nostro mestiere, essenzialmente è quello che serve, nel rispetto della dignità di tutti, con buona pace di tanti algoritmi.” (Giovanni Leoni QS 18 maggio 2018).
 
Come è possibile costruire una relazione dialogica che porti a un vero consenso informato senza il tempo necessario? Come si può ricostruire un rapporto fiduciario tra medico e paziente all'interno di un tempario?
L'organizzazione del lavoro non può non tenere conto della necessità di un tempo per la relazione medico paziente perché essa non è solo elemento essenziale per la cura, ma anche la base per costruire una nuova medicina.
 
Ornella Mancin
Presidente Fondazione Ars Medica-Omceo Venezia
 

22 marzo 2019
© Riproduzione riservata

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