Mettere in gioco tutto se stesso: il segreto del medico per una relazione efficace
di Fondazione Ars Medica-Omceo Venezia
La comunicazione, il dialogo, il linguaggio, la relazione, fino al consenso informato: questi i temi approfonditi lo scorso 6 marzo, durante il secondo dei 4 mercoledì filosofici organizzati per l’Omceo veneziano dalla la Fondazione Ars Medica, con la collaborazione del Dipartimento di Filosofia dell’Università Ca’ Foscari
25 MAR - Dopo aver ipotizzato la necessità di andare oltre il paradigma concepito dal positivismo, durante questo secondo incontro si sono affrontati problemi e criticità legati a quel rapporto di fiducia indispensabile tra medico e paziente, ma sempre più minato, in corsia come negli ambulatori, dalla mancanza di tempo.
Anche in questo caso proponiamo la discussione che si è svolta nell'ambito del secondo mercoledì.
“Abbiamo affrontato questo tema – ha spiegato la presidente dell’Ars Medica
Ornella Mancin, medico di famiglia – fin dal 2013, dall’inizio del nostro percorso con i filosofi. Già allora il filosofo del linguaggio
Luigi Perissinotto ci metteva in guardia sulla distinzione tra linguaggio informativo e linguaggio che diventa comunicazione, relazione. Ci spiegava come spesso il medico usi un linguaggio che si ferma alla mera informazione scientifica, al dato tecnico. Ma la vera comunicazione non si identifica con l'informazione.
Per comunicare realmente è necessario andare oltre, per esempio è necessario cogliere le implicazioni che ci possono essere dietro la domanda del paziente,lasciarci interrogare dalle situazioni e dai contesti , in una parola creare una relazione con lui. Il consenso informato, ad esempio, non è solo un modulo da far firmare: dobbiamo assicurarci che chi abbiamo davanti abbia capito e recepito esattamente ciò che noi vogliamo dire e partecipi consensualmente alle decisioni che lo riguardano”
Si è entrati nel vivo del tema con
Gabriele Gasparini, neuroradiologo e vicepresidente della Fondazione, che ha illustrato le tesi di Ivan Cavicchi dedicate proprio alla comunicazione, a partire dalla metodologia, cioè ciò che definisce un modo scientifico di operare della medicina e che in qualche modo stabilisce la successione logica delle cose da fare, eliminando le incertezze su decisioni e scelte.
“Ma noi – ha sottolineato – abbiamo a che fare con i malati e le loro singolarità. La stessa malattia non è una regolarità biologica. La metodologia è fondamentale per sbagliare il meno possibile e questo ci differenzia dai ciarlatani, autori di fake news, ma anche dagli operatori sanitari non medici e da chi cerca di amministrare-ammaestrare la medicina con pratiche, come il task shifting, che invadono le nostre competenze. Ma in medicina si aggiungono ogni giorno complessità a complessità: dobbiamo ripensare il carattere dogmatico del metodo, attenuarne l’uso e l’applicazione. Non teorizzare una libertà del metodo, ma una libertà nel metodo”.
Fondamentale, allora, ripensare la metodologia e definirne il rapporto con l’evidenza e la relazione: se, infatti, la metodologia privilegia l’evidenza, resta indifferente alla relazione, alla complessità e alla singolarità del malato. “Come può, allora, il paziente – si è chiesto Gasparini – avere fiducia in noi? La relazione è un modo di fare il medico: nessun malato darà la propria fiducia a un medico incapace di avere con lui una relazione”.
Il medico, insomma, come ha spiegato bene Cavicchi, se vuole davvero conoscere il malato deve cambiare il tipo di relazione. Bisogna formare medici con qualità, abilità e virtù relazionali e va riconosciuto al linguaggio il suo ruolo centrale nella comunicazione. Qualche dubbio però resta: per ricostruire la fiducia tra medico e società, tra medico e malato, basta fondare la relazione sul dialogo e la consensualità? Oggi che medicina e società parlano linguaggi diversi, la comprensione del linguaggio scientifico per il malato vale come maggiore partecipazione al proprio processo di cura?
“Uno sguardo, infine – ha concluso Gasparini – al consenso informato che deve giungere dopo la relazione, dopo il dialogo, che può creare le condizioni per una reale condivisione delle scelte cliniche. Se il malato non condivide il senso, si esprimerà con un consenso non informato”. E il consenso, come ha sottolineato Cavicchi, “non è istruire un malato ma costruire con lui delle scelte”.
A
Marco Ballico, medico, psicoterapeuta e coordinatore del comitato scientifico dell’Ars Medica, è spettato invece il compito di approfondire il tema dellinguaggio, “l’insieme – ha spiegato – di comunicazione ed espressione che si manifesta nel mondo umano. Il linguaggio non è la lingua che è, invece, quel modo concreto e storicamente determinato in cui si manifesta la facoltà del linguaggio: è legata al proprio tempo, alla propria cultura, alle persone che la producono”.
Muovendosi tra strutturalismo e costruttivismo, lo psicoterapeuta ha dunque sottolineato come comunicare sia innanzituttotrovare un contenuto e cercare di chiarirlo in primo luogo a se stessi.
“Se vogliamo comunicare qualcosa – ha detto – dobbiamoprima chiarirci noi, trovare l’espressione capace di esprimere e trasmettere il contenuto che abbiamo pensato”.
Utile tener ben presente gli assiomi della comunicazione:
1. è impossibile non comunicare;
2. ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto, una notizia o un dato, e uno di relazione;
3. la natura di una comunicazione dipende dalla punteggiatura della sequenza degli eventi: a seconda del timbro, del colore, delle pause cambia completamente il messaggio;
4. i comunicanti sono allo stesso livello o a livelli diversi? Il medico non può far finta di essere alla pari;
5. gli aspetti peculiari della comunicazione verbale, il mittente, il destinatario, il contesto in cui si realizza il messaggio, il contatto e il codice condiviso.
Agli aspetti peculiari della comunicazione corrispondono poi funzioni diverse:
- se, ad esempio, si privilegia il messaggio, la funzione è referenziale, assolutamente fredda;
- se restiamo legati all'Io e al Tu, funzione emotiva e conativa, parliamo di distanza comunicativa dove il mittente non debba essere troppo concentrato su di sé e così pure il destinatario;
- se il linguaggio parla di se stesso, quando cioè il medico cita qualcuno o attinge a luoghi comuni, allora la funzione è metalinguistica. Se si esagera, la distanza aumenta.
“Secondo il costruttivismo – ha aggiunto Ballico – la comunicazione è il processo con cui le persone creano e gestiscono la realtà sociale coordinandosi tra loro. La realtà che si crea tra medico e paziente è una realtà co-costruita. Questa è l’interazione vera: io e te siamo qui, adesso, e stiamo costruendo insieme la nostra realtà”.
Un’idea di comunicazione che può entrare in parallelo con ciò che si è già detto sul paradigma positivista.“Nella teoria positivista – ha spiegato – quando io osservo è come se mi mettessi fuori dalla realtà e guardassi gli elementi che si combinano. Questa osservazione è stata cavalcata molto dalla cibernetica di primo ordine, la cibernetica dei sistemi osservati: osservo come funziona la realtà e così la posso riprodurre. L’innovazione, però, è la cibernetica di secondo ordine che introduce l’osservatore nel sistema stesso, l’osservatore diventa parte integrante della realtà che si costruisce. Se non introduciamo questo concetto non sarà mai possibile raccogliere un consenso informato: se io osservatore mi ci metto dentro, allora con il paziente co-costruisco una realtà condivisibile. Ecco il salto di paradigma tra interazione, qui e adesso, e relazione, “ciò che lega anche inconsapevolmente i soggetti tra loro, una matrice antropologica-psichica, non scientifica”.
Un salto culturale importante da fare, secondo Ballico, ma per cui serve una cosa che i medici hanno perso: il tempo. “Il poco tempo – ha concluso – mi fa stare nell’interazione. Con un po’ più di tempo riesco ad accedere a un livello differente”.
Il quadro filosofico è stato tracciato, come di consueto, dal professor
Luigi Vero Tarca che ha esordito in modo netto. “Ho l’impressione che oggi – ha detto – il paziente si trovi in una sorta di terra di nessuno tra l’oggettività impersonale del tecnicismo medico, da una parte, e la soggettività dell’esperienza psicologico-esistenziale (sua e del dottore), dall’altra parte. Il medico appare spesso trincerato dietro l’aspetto scientifico-positivista (l’infallibilità della scienza), ai cui limiti, però, non si rimedia semplicemente giustapponendo ad esso l’elemento individuale, sentimentale, che rischia di apparire solamente decorativo. Perché entrambi questi momenti (la scienza oggettiva ma impersonale e l’aspetto ‘privato’ degli individui in gioco) sono due astrazioni, in quanto sono il risultato di una scissione operata su una realtà olistica, intera. Così, quando il medico ascolta il paziente non deve solo cercare di essere simpatico e accogliente – cose peraltro fondamentali e da imparare – ma deve ascoltarlo nella sua complessità psico-esistenziale, e inoltre deve offrirsi come persona nella pienezza del suo essere, ricca anche di
tutte le sue conoscenze, non solo di quelle tecniche”.
Il tipico esempio pratico di questa terra di nessuno è il paziente che va dal medico per qualche piccolo disturbo e si sente dire che sotto il profilo clinico non c’è niente.“Il paziente – ha spiegato Tarca – si trova così abbandonato a se stesso, fino al momento in cui, magari di lì a 30 anni, si trova a dover fare un intervento chirurgico. La terra di nessuno è appunto questa fase tra il “niente” e il “tutto” (il male da operare), che invece potrebbe e dovrebbe essere la fase più rilevante dal punto di vista di chi ha davvero a cura la salute. Ormai purtroppo si bada solo al dato clinico oggettivo che o non c’è per niente oppure c’è nell’ottica dell’intervento chirurgico o farmacologico (chemioterapia, etc.). Manca l’ascolto ‘integrale’ che non sia l’esame strumentale-oggettivo, e viene quindi spesso a mancare la
comprensione del problema che genera il disturbo. Invece, nell’ottica dell’autentica comunicazione, il compito del medico è di inquadrare il problema invece di rassegnarsi all’alternativa secca tra il ‘nulla’ e la cura interventista (culminante nell’intervento chirurgico, etc.). In questo senso il paziente si sente abbandonato. Egli, insomma, si aspetta che il medico (il ‘salvatore’) sia per lui una guida, ma non sentimentale. Egli vuole infatti un discorso umano ma competente”.
Serve, insomma, un medico preparato sotto il profilo tecnico e scientifico, ma che abbia anche una consapevolezza di sé,“quella che io chiamo – ha aggiunto il professore – un’integrazione variabile; ulteriore, dunque, rispetto a ogni elemento oggettivo-impersonale (tecnico), però pur sempre di carattere realmente terapeutico. Questo è dunque un fattore ben più che meramente ‘soggettivo-relazionale’, e tuttavia tale che, eccedendo la dimensione
invariabile della tecnica, cambia in ogni momento a seconda del contesto
complessivo. Il paziente vuole la relazione certo anche psicologica, ma vuole dal medico soprattutto quel
di piùche deriva dal suo (del medico) essere umano integrale (totale, completo), che cerca di aiutare il paziente esattamente come aiuterebbe se stesso”.
Riguardo a questo tema dell’elemento fisso e della ‘integrazione variabile’, in relazione al tema della comunicazione è poi il caso di ricordare che anche il linguaggio ha in sé una componente immutabile (la parola “casa” si riferisce a qualcosa che è sempre la stessa cosa) che però ha significato solo nella misura in cui è incorporata in un contesto continuamente variabile. Anche il linguaggio, insomma, è definito da questa peculiare dualità, peculiare perché non è costituita da due ‘cose’, ma da una ‘cosa’ (fissa) incorporata però in un elemento originariamente aperto-contestuale. L’invariabile e l’infinitamente aperto sono dunque entrambi sempre presenti, e quindi entrambi devono sempre essere trattati consapevolmente.
Una riflessione, infine, anche sulla possibilità di insegnare la relazione.“Quel di più – ha concluso – quel fare la cosa giusta al momento giusto è proprio ciò che non si può insegnare. Perché le cose più importanti della vita sono quelle che si devono imparare ma che non si possono insegnare. A essere buoni, intelligenti, felici non ci arriviamo automaticamente, in via naturale, dobbiamo impararlo, ma nessuno ce lo può insegnare come un contenuto ‘oggettivo’. Allo stesso modo, a stare in buona salute lo dobbiamo imparare, ma nessuno ce lo può insegnare mediante un approccio meramente tecnico-oggettivo”.
Tra i temi emersi durante la discussione:
- l’idea che il medico esprima se stesso attraverso il paziente, soffrendo nella relazione aspetti del proprio vissuto;
- la necessità di mettere al centro non tanto l’uomo, l’altro, il paziente, quanto la relazione stessa, e di avvicinarsi alle persone, abbattendo l’arroganza, al di là del paradigma della scienza;
- l’importanza di aiutare il paziente, fornendogli la giusta conoscenza scientifica, per costruire insieme a lui il suo percorso di cura e per trovare in lui un partner collaborativo;
- il rischio che corre, se il medico diventa troppo impersonale, di essere sostituito;
- il bisogno di andare al di là della maschera, del ruolo che si recita: capire cosa il paziente porta al medico oltre alla malattia e cosa il medico porta a lui di se stesso;
- la necessità di imparare modelli di relazione, di formarsi anche in questo settore, e di organizzare il sistema sanitario in modo diverso per non essere più solo fornitori di prestazioni;
- il bisogno di frenare l’iper specializzazione che fa perdere di vista la visione globale dell’uomo;
- la necessità, per imboccare davvero un cambio di strategia, di essere propositivi, di studiare progetti nuovi;
- la paura che può fare, almeno a una parte dei medici, il cambiamento, la necessità di trovare dentro di sé modalità nuove di confronto.
Prima di chiudere, un’ultima provocazione lanciata dal professor Tarca. “Siamo davvero sicuri – si è chiesto – che si possa ancora parlare
della figura del medico, cioè di
una sola figura di medico? Ci sono almeno 350
funzioni e quindi “figure” diverse, le quali sfumano l’una nell’altra. E si tratta di una confusione non sanabile, perché deriva da ragioni essenziali. Non sarà il caso, allora, di abbandonare l’idea che ci sia
la figura del medico?”.
Interrogativo che resta sospeso, e che apre alla riflessione futura.
I membri della Commissione scientifica della Fondazione Ars Medica- OMCeOVE:
Dr. Marco Ballico, Presidente Commissione Scientifica Ars Medica
Dr. Gabriele Gasparini, Vicepresidente Fondazione Ars Medica
Dr.ssa Ornella Mancin, Presidente Fondazione Ars Medica
Prof. Luigi Vero Tarca, Filosofo - Università Ca' Foscari Venezia
Prof. Fabrizio Turoldo, prof. Associato di filosofia -Università Ca' Foscari Venezia
25 marzo 2019
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