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Se una economista parla dei medici

di Grazia Labate

Dispiace se il dott. Pizza e Cavicchi ritengano che abbia invaso il sacrario del pensiero medico e ordinistico delle loro elaborazioni a partire da Trento e dalle 100 tesi o che abbiano inteso le mie riflessioni come subalternità  culturale esterofila, ho solo inteso dar conto di un dibattito aperto che a livello europeo e oltre atlantico avviene sugli stessi temi: crisi del medico o della medicina

06 APR - Ringrazio anch’io il Dott. Giancarlo Pizza per aver dedicato un po’ d’attenzione all’articolo, che ho scritto su Quotidiano Sanità  il 24 marzo. Sono stupita però dal fatto che egli lo ritenga una sorta di invasione di campo e che si sia rivolto al Prof. Cavicchi perché lo potesse commentare.
 
Ognuno di noi ha la propria testa e se è in disaccordo ha la libertà di commentare con gli strumenti che ha. Dunque sono contenta che ella abbia deciso di intraprendere da solo il suo percorso critico.
 
Ringrazio Ivan Cavicchi per il “zia Grace” a testimonianza di 40 anni di conoscenza e di percorsi politici ed intellettuali comuni, ma mi rifiuto di pensare che egli ritenga che chi ha conoscenza ed esperienza in una disciplina formativa diversa dalla sua, che è eminentemente sociologica e successivamente filosofica, non possa democraticamente, intervenire in un dibattito molto interessante che si è a più voci dispiegato su Quotidiano Sanità, rivista on line che per fortuna è aperta alle diverse opinioni culturali e politiche.
 
Cose serie o improvvisazioni?
Dispiace se il dott. Pizza e Cavicchi ritengano che abbia invaso il sacrario del pensiero medico e ordinistico delle loro elaborazioni a partire da Trento e dalle 100 tesi o che abbiano inteso le mie riflessioni come subalternità  culturale esterofila, ho solo inteso dar conto di un dibattito aperto che a livello europeo e oltre atlantico avviene sugli stessi temi: crisi del medico o della medicina, che vede cimentarsi nel confronto scienza, epistemologia e filosofia senza nessuna pretesa di dominio di una visione sull’altra, posto che il riconoscimento di una crisi è unanime.
 
Di quel dibattito fanno parte anche molti colleghi e studiosi di economia sanitaria, che pure ho citato nell’articolo, ma vi assicuro che almeno nei convegni e nelle letture scientifiche esistenti, nessuno si stupisce, di confronti tra diverse discipline, perché tutti comprendono come la ridefinizione dell’agire professionale dentro le proprie discipline di riferimento, oggi quasi tutte in crisi per la complessità e la velocità delle trasformazioni sistemiche in atto, hanno bisogno di liberare pensiero e dibattito, pubblici al fine di ricostruire finalità, obiettivi, nuove visioni strategiche per evitare o inutili ritorni al passato o nichilistiche visioni catastrofiste.
 
Niente affatto esterofila, ma orgogliosa della mia italianità sulla “Filosofia della medicina".
Ho premesso nell’articolo che mi avventuravo nell’azzardo del dibattito in corso pur sapendo che le mie conoscenze non sono approfondite come le vostre, perché di professione ho fatto prevalentemente altro, lo studio dell’economia e dei sistemi sanitari comparati.
 
Ma negli ultimi 2 anni essendo ormai in pensione leggo e approfondisco di più, avendo più tempo a disposizione, senza abbandonare la passione di molta parte della mia vita lo studio e la ricerca.
 
La mia conoscenza sul tema parte da Lecaldano, fino al testo a cura di Alessandro Pagnini, (edito da Carocci editore), che dedica riflessioni e considerazioni, ma anche e, soprattutto, risposte esaurienti e concrete, alle problematiche strettamente ontologiche a quelle logiche, metodologiche ed epistemologiche, che abbracciano le scienze della natura e dell’uomo.
 
Alessandro Pagnini, professore di Storia della filosofia contemporanea presso il Dipartimento dell’Università di Firenze, direttore del Centro Fiorentino di Storia e Filosofia della Scienza e Fellow del Center for Philosophy of Science di Pittsburgh, ha curato un vero e proprio "trattato" sistematico che desta non poco interesse e curiosità, considerando che apre nuovi e interessanti scenari che spaziano dai fondamentali delle scienze mediche, alla clinica e al metodo. Un testo considerato innovativo, unico nel panorama internazionale, che offre tutto quello che avremmo voluto sapere di filosofia per discutere correttamente dei problemi filosofici della medicina.
 
Pagnini spiega nella premessa del libro che le provenienze dei partecipanti all’impresa, sono varie: medicina, filosofia del diritto, giurisprudenza, psicologia, scienze umane, economiche e sociali. Di cui, molti, con una doppia formazione.
 
 
 
La maggior parte si riconosce nella medicina data dal grande filosofo Georges Canguilhem: “La medicina è una scienza applicata o una somma di scienze applicate, che si occupa del singolo malato o di una popolazione umana e che, al fine di conseguire al meglio lo scopo, cerca nell’osservazione sistematica, nel metodo sperimentale e nelle conoscenze di base che ne sono la linfa vitale, di accrescere il proprio livello di scientificità”.
 
Il testo, che nasce con l’intento di offrire un supporto tecnico e bibliografico critico, necessario per affrontare i problemi filosofici della medicina così intesa, cerca anche di dar conto degli aspetti più problematici di tale accezione, con l’auspicio di farsi leggere soprattutto dai non filosofi, nella convinzione che l’interesse per i problemi filosofici (non solo bioetici) della medicina è crescente, anche da parte di soggetti non specialistici.
 
Pagnini spiega di aver costituito un gruppo di lavoro, mettendo insieme le professionalità italiane che, al momento fanno parte del meglio che la nostra Accademia abbia formato.
 
Ogni autore è stato libero di impostare e svolgere i vari temi a partire da competenze specifiche comprovate, in un personale stile di comunicazione scientifica e talora assumendo posizioni nient’affatto allineate.
 
Molti sono gli autori da lei citati dott. Pizza che hanno scritto veri e propri saggi contenuti nel libro curato da Pagnini esprimendo le proprie considerazioni e che ovviamente conosco.
 
La parte prima, quella dedicata ai metodi e ai fondamenti delle scienze mediche, si apre con un saggio di Giovanni Federspil, Pierdaniele Giaretta eNadia Oprandi sui concetti di salute e malattia.
Il secondo saggio è di Stefano Canali e riguarda la ricostruzione di cosa si debba intendere per “medicina scientifica”: dopo aver discusso dei limiti di una concezione meccanicistica e riduzionista propria di certo atteggiamento scientifico, in cui ci si chiede se sia possibile giungere a una “nuova logica della malattia”.
 
Festa, Crupi eGiaretta, invece, indagano le forme fondamentali che assumono il ragionamento e le ipotesi all’interno delle scienze mediche, intervento particolarmente efficace, nel determinare il ruolo del metodo ipotetico-deduttivo all’interno delle medesime.
 
Il saggio di Raffaella Campaner e Andrea Cavanna si incentra su la definizione precisa di cosa sia una legge scientifica che continua a essere oggetto di un’ampia controversia filosofica, che investe anche le varie discipline scientifiche. In questo senso risulta particolarmente interessante la discussione del ruolo del trial clinico controllato come strumento della ricerca scientifica.
Per questo mi aveva incuriosito anche l’intervista su QS di Jefferson.
 
Margherita Benzie Raffaella Campaner, invece, nella parte dedicata all’epistemologia della medicina, discutono quali debbano essere le caratteristiche logiche, che una spiegazione deve possedere per essere ritenuta valida e quali debbano essere i criteri causali da ammettere in una procedura di verificazione.
 
La seconda parte, dedicata al metodo e alla clinica, dunque al contesto proprio della pratica medica, si apre con il saggio di Cesare Scandellari, che attua una ricognizione all’interno dei fondamenti di quella che può essere definita “metodologia clinica” partendo dal presupposto che «l’impossibilità pratica di osservare tutto, dalla cima dei capelli alla punta dei piedi, rappresenta quindi un ostacolo teorico, compensato dalla possibilità di procedere a un perfezionamento continuo dell’esame del paziente secondo le esigenze del caso e del momento.
 
L’intervento di Carlo Gabbani, invece, analizza la relazione complessa – sia dal punto di vista epistemologico sia dal punto di vista di una prassi medica – tra la generalizzazione e la determinazione della singolarità del caso clinico; l’idea di fondo è che sia necessaria «un’attitudine che valorizzi anche gli aspetti personali e soggettivi» in quanto «in contesto medico i caratteri individuali distintivi e la pratica dello studio sul caso singolo sembrano avere rilevanza maggiore che in altre discipline sperimentali».
 
Il saggio di Giovanni Federspil si incentra, anch’esso, sulla relazione tra generalizzazione e caso singolo, ma a partire dalla dimensione della diagnostica: fondamentale la ricostruzione storica del concetto e delle pratiche.
 
Il contributo di Vincenzo Crupi e Roberto Festa pone l’attenzione su «gli aspetti centrali dello studio delle decisioni applicandoli a problemi illustrativi della medicina clinica» e prende le mosse dalla “teoria della scelta razionale”, in un percorso che muove da Blaise Pascal, passa per Jeremy Bentham, e arriva fino alla “teoria dei giochi” di von Neumann e Morgenstern.
 
A chiudere la seconda parte, è il contributo di Giacomo Delvecchio e Paola Cherubini che analizzano l’annosa questione dell’errore in medicina: dopo aver distinto “epistemologicamente” l’errore della medicina dall’errore del medico.
 
La parte più interessante riguarda la questione dei “costi” materiali e immateriali dell’errore dal momento che la medicina, nei suoi aspetti pragmatici, si fonda su un confronto continuo tra esigenze economiche (di bilancio) ed esigenze etiche: «nonostante un’attribuzione di normatività, i criteri di efficienza economici non chiudono il campo alle decisioni, ma obbligano il medico ad attrezzarsi per risolvere problemi una volta impensati».
 
La terza parte è invece dedicata alla specificità della malattia mentale nella complessità del suo statuto epistemologico e ontologico. Il saggio che chiude la sezione è di Cristina Meini e Michele Di Francesco e cerca di rispondere ad alcune domande, forse tra le più “assolute” se è possibile utilizzare questa espressione, e cioè quelle che riguardano il “chi sono” e il “che cosa sono” dell’identità personale; il percorso è sia di carattere storico sia di analisi di precisi casi clinici che richiamano da vicino le “patologie della coscienza”, il tutto a partire da un presupposto, che sia necessario «immaginare modelli misti che riconoscano le basi sociali dell’identità personale senza entrare in rotta di collisione con i risultati delle scienze della mente».
 
La quarta parte analizza questioni di carattere giuridico ed etico. Mario Ricciardi affronta la questione della deontologia professionale del medico e, sulla scorta di Rawls, si ritiene che «il dovere di rispetto esclude che il medico possa trattare la persona che ha in cura come il soggetto passivo di un intervento terapeutico di cui non conosce la ragione, anche se il paziente si trova in condizioni difficili o è privo della piena capacità di valutare la propria situazione».
 
Il contributo di Luca Pelliccioli e Maddalena Rabitti verte proprio sulla responsabilità del medico, questione quanto mai delicata e perennemente a cavallo tra dimensione etica e dimensione giuridica, soprattutto per quanto riguarda i trattamenti di fine vita. L’ultimo saggio è di Sergio Filippo Magni e Armando Massarenti e rappresenta una mappa concettuale fondamentale per orientarsi all’interno dei dibattiti di bioetica, sulla necessità di mettere in campo «un bilanciamento tra il bene e il male che consegue da una certa scelta o azione».
 
In conclusione, la conoscenza che ho e che continuo ad approfondire mi permette non soltanto un aggiornamento continuo sulle questioni riguardanti le scienze mediche,ma anche la possibilità di entrare all’interno di dibattiti tra i più importanti della contemporaneità se si vuole partecipare ai processi di cambiamento.
 
L’ambito della medicina, nel suo essere una scienza complessa e articolata, naturale, umana e sociale, incrocia costantemente e sfiora tangenzialmente qualsiasi ambito della vita e del pensiero umano.
 
Il 18 e 19 febbraio 2016 partecipai a Firenze, presso l'Ospedale Meyer, al convegno internazionale: "Un nuovo umanesimo scientifico. Sette capitoli di medicina narrativa e medicina di precisione", in cui il Prof. Alberto Granese, approfondi i diversi significati che la medicina ha assunto nel corso dei secoli e nell'avvicendarsi delle filosofie.
 
Altrettanto importante ho ritenuto recentemente la lettura di Filosofia e Medicina di Massimiliano Biscuso che insegna filosofia della medicina alla sapienza di Roma e di Luca Lo Sapio dell’università Federico II di Napoli, che sulla rivista Scienza e Filosofia scrive un saggio di filosofia della medicina, con spunti di riflessione e modelli teorici su tutti i problemi di cui oggi si discute.
 
Spiace che lei sia rimasto contrariato da ciò che si dibatte altrove, può liberamente non condividere e criticare può farsi dare bibliografie per supportare le sue critiche, ma l’intento di partecipare a dibattiti e discussioni e quello di far conoscere le tante diverse esperienze e occasioni di confronti culturali perché ognuno di noi si possa avvalere della propria conoscenza e del proprio pensiero critico per formarsi delle opinioni.
 
Non ho capito dal suo intervento da chi e da cosa avrei fatto fuorviare il dibattito, se non si vuole ricondurre la filosofia della medicina solo al pensiero del Prof. Cavicchi e alle 100 tesi di cui non ho messo in discussione proprio nulla.
 
Facciamo così Dott. Pizza io non sono brava a cucinare spaghetti con le vongole in riva al mare, ma un buon piatto di trenette al pesto, con basilico doc delle colline di Pra, (Genova) fatto a mano in mortaio di marmo e cotte in acqua e sale, con una manciata di fagiolini e una patata bollita, rigorosamente fatte di semola di grano duro e farina di castagne, questo si lo so fare e non temo concorrenza.
 
Perciò quando ha occasione di venire a Roma si faccia vivo e ne discutiamo ampiamente, così scoprirà che non solo non ho inteso promuovere “il vostro ruolo sostanzialmente per quello che è, salvo qualche aggiustatina” dentro un ripensamento del “contenitore” cioè della sanità, come lei mi mette in bocca, ma al contrario nell’articolo ho affermato che “la filosofia della medicina è un campo vibrante di esplorazione nel mondo della medicina in particolare e dell'assistenza sanitaria in generale. La filosofia della medicina è una risorsa importante per riflettere al fine di forgiare una medicina che soddisfi sia i bisogni fisici che quelli dell'esistenza dei pazienti nei diversi contesti sociali”.
 
Del resto nelle fasi di transizione come quella che stiamo vivendo il pensiero, la scienza, l’arte e quindi anche la medicina, ma anche le scienze economiche e sociali, perché dovrebbero essere immuni da criticità e ripensamenti? Soprattutto i medici e la medicina vivono la propria crisi, dentro una crisi di contesto definita da molti epocale.
 
I sistemi sanitari sono tutti in profonda sofferenza, ridefinire il proprio ruolo senza ridefinire il sistema in cui si opera non porterebbe da nessuna parte, non è un caso che Cavicchi parli di Quarta Riforma e che ahimè ed ahilui, non mi pare che le forze in campo ne abbiano la benché minima intenzione. Con cordialità zia Grace ovvero…
 
Grazia Labate
Ricercatore in economia sanitaria già sottosegretaria alla sanità

06 aprile 2019
© Riproduzione riservata

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