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Il condizionamento del potere economico-finanziario e politico sulla vita del medico

di Fondazione Ars Medica-Omceo Venezia

Condizionamento finanziario, sostenibilità della sanità, decapitalizzazione della professione medica, azienda e struttura organizzativa, clinica e cultura tra i temi esplorati durante il quarto mercoledì filosofico, organizzato lo scorso 3 aprile per l’Omceo veneziano. Il problema è che non esiste più la politica, la politica è scomparsa: esistono il consenso e i budget. Ciò che governa è la logica della produttività, dell’efficientismo, dell’ottimizzazione delle risorse

09 MAG - Il condizionamento del potere economico-finanziario, politico e culturale sulla vita del medico e dell’odontoiatra: questo il tema approfondito durante il quarto mercoledì filosofico, organizzato lo scorso 3 aprile per l’OMCeO veneziano dal suo braccio culturale operativo, la Fondazione Ars Medica – con la collaborazione del Dipartimento di Filosofia dell’Università Ca’ Foscari – per prepararsi agli Stati Generali della Professione, indetti dalla FNOMCeO, e studiare le 100 tesi proposte da Ivan Cavicchi e rilanciate dalla Federazione Nazionale.
 
"Il limite economico – ha esordito la presidente dell’Ars Medica Ornella Mancin - è diventato la principale giustificazione per lo snaturamento della nostra professione: è passata l’idea che prima della scienza e dell’etica venga l’economia, che l’economia conti di più. La nostra attività ha perso autonomia perché noi sempre più dobbiamo rispettare i vincoli imposti dall’economia".

Già nel convegno Il potere sulla vita, organizzato dall’Ordine nel 2015 (qui un resoconto), gli esperti spiegavano come il medico non potesse più decidere da solo come curare i propri pazienti e indicavano tre fattori, di tipo epidemiologico, sociale e tecnologico, responsabili del cambiamento: il fatto che si vive mediamente di più e dunque si muore più vecchi, che si convive più a lungo con malattie croniche e che quindi sono aumentati gli anni di disabilità; oltre all'innovazione tecnologica in medicina che ha portato a una pressione non indifferente sui costi "Tendenze – si diceva già allora – che se non saranno in qualche modo arginate faranno saltare il banco della sanità pubblica".

"Prima i medici – ha proseguito la dottoressa Mancin – non si preoccupavano della spesa economica, oggi per noi è, invece, una costante. Da un lato è anche giusto perché non possiamo sprecare le risorse di tutti, dall’altro, però, il problema è che questo orientamento negli ultimi tempi è diventato così pressante che siamo arrivati a quella che Cavicchi chiama la 'medicina amministrata'. Ormai, cioè, ci dicono esattamente quello che dobbiamo fare: è difficile uscire da un binario già prestabilito, di algoritmi, protocolli e linee guida, perché bisogna comunque contenere o ridurre la spesa.”
 
Condizionamento finanziario, sostenibilità della sanità, decapitalizzazione della professione medica, azienda e struttura organizzativa, clinica e cultura i temi esplorati, invece, nella sua introduzione, dal vice dell’Ars Medica, Gabriele Gasparini. “Come già ampiamente declinato dalle 100 tesi del Prof. Ivan Cavicchi tutto ciò che è stato fatto negli ultimi anni – ha sottolineato il neuroradiologo – è stato fatto in nome della sostenibilità. La voce imperante, però, il verbo più ampiamente utilizzato è stato: ridurre. La sostenibilità si è legata così a un continuo e reale definanziamento. Ridurre i consumi di medicina (in ambito clinico, terapeutico, diagnostico), ridurre il numero e il costo dei medici e delle aziende sanitarie. Ma ridurre il consumo in medicina equivale a ridurre le potenzialità professionali del medico intervenendo sull’autonomia del professionista lasciando allo stesso tempo inalterate le sue responsabilità. Il refrain è stato: ridurre la spesa senza ridurre le tasse e trasformare parte dell’assistenza sanitaria in una nuova ed ulteriore spesa per le tasche del cittadino svilendo la professione. La sostenibilità della spesa sanitaria non va nella direzione dell’obiettivo primario della sanità cioè la cura, ma va a soddisfare gli obiettivi finanziari, cioè l’andamento del PIL e della spesa pubblica. La finanza oggi ci domina".

In quest’ottica, allora, si sminuisce anche il valore del lavoro del medico, soprattutto sotto il profilo etico-sociale: il lavoro del medico, infatti, vale solo come voce finanziaria di bilancio, siamo tutti solo un costo. "Oggi – ha proseguito – i medici scappano dalla sanità pubblica: chi può va in pensione, altri cambiano datore di lavoro o addirittura tipo di lavoro. Perché si è arrivati a questo? Perché , come evidenzia Cavicchi, un certo tipo di azienda ha giocato contro un certo tipo di medico. L’azienda è nata per la sostenibilità, ma oggi è l’azienda stessa a essere un problema: si cerca di diminuire il numero delle aziende sanitarie, di accorparle… E’ evidente che l’azienda si sta rivelando inadeguata alla complessità della sanità pubblica".

Diventa, dunque, importante che a emergere tornino ad essere con i cambiamenti dovuti all’evolvere dei tempi, la clinica e la cultura: il nuovo medico sarà tale se il suo modo di ragionare clinico imparerà a confrontarsi con la cultura della cura che la società esprime. «I due paesi in un certo senso più vicini a noi che possono aiutarci a capire gli effetti di questa crisi – ha concluso il Dott Gasparini – sono la Gran Bretagna (che ha per prima applicato un sistema universalistico) e l’Argentina (paese con una importante quota di italiani nella popolazione), paesi che hanno eliminato/ridimensionato il pubblico nella sanità, che hanno fatto fallire attraverso scelte politiche la sanità pubblica. Paesi in cui i cittadini oggi non trovano una risposta adeguata al bisogno di salute, paesi che non dobbiamo analizzare per poi imitare ma studiare per essere migliori”
 
Citando il Discorso sulla servitù volontaria (1560 ca.) di Etienne de La Boëtie, Marco Ballico, medico, psicoterapeuta, docente Iusve e Coordinatore del Comitato Scientifico dell’Ars Medica, ha declinato, invece, la parola “condizionamento”, in particolare sotto il profilo psicologico. «In questo testo – ha spiegato – c’è una frase emblematica: “decidetevi a non servire più ed eccovi liberi”. L’uomo, in sostanza, sembrerebbe vittima delle sue scelte, o non scelte, e tra queste vi sarebbe quella del proprio tiranno. Solo volendolo davvero si potrebbe uscire da qualunque tirannia.

Nel caso delle nostre discussioni il condizionamento entra in scena,anche rispetto all'esercizio della professione: rispetto alle linee guida o all'uso di determinati farmaci piuttosto di altri considerando che le novità siano sempre orientate al benessere e non al business; oppure dalla parte dei pazienti: nell'esigenza di particolari cure sentite, come Opinione Pubblica, indispensabili.

Introdurrei, quindi, il tema della fiducia: il paziente si dovrebbe fidare del medico e lo stesso medico dovrebbe fidarsi dei colleghi ricercatori che scoprono nuove opportunità di cura da applicarsi correttamente. Avviene proprio così? Mi posso fidare solo di qualcuno che sia libero e che rispetti la mia libertà.
I medici, in sostanza, si fidano di ciò che hanno imparato durante il loro percorso di studi.
 
"Per esempio oggi – ha aggiunto – potremmo portare due casi emblematici e diffusamente trattati nella quotidianità clinica. Ci sono due farmaci, che conoscono tutti, massaie e pensionati compresi, che sono gli inibitori di pompa e la vitamina D, che vengono prescritti in quantità industriale senza che vi siano univoche opinioni sul loro supposto beneficio. Su questi farmaci si legge tutto e il contrario di tutto e in un senso o nell'altro gli specialisti si dividono anche sulla stampa nazionale. “Ma se non prendo la vitamina D cosa succede?” “La gente te la chiede…” E allora? Tutto questo non è condizionamento? Qual è la strada corretta da indicare ai pazienti?Se discutiamo che non siamo liberi, nemmeno di decidere su questi argomenti basici allora , forse, dovremmo fare qualcosa per liberarci. Tutti noi comunque prescriviamo sia gli inibitori di pompa sia la vitamina D e questo è un problema pratico che capita almeno 10 volte al giorno".
 
Parole che hanno fatto subito scattare la discussione: c’è chi ha ricordato, ad esempio, come in passato arrivassero scatoloni interi di vitamina D ai medici di famiglia, come si consigliasse di curare l’ipertensione con i betabloccanti e i diuretici "perché costavano meno...", come si sia fatta una martellante campagna di prevenzione per il tumore al seno consigliando alle donne la mammografia tutti gli anni, salvo poi fare marcia indietro, perché se ne sono cominciate a fare troppe. "E allora noi, come facciamo a giustificarci con i pazienti se un tempo la linea guida è di un certo tipo e in un altro completamente diversa?".

L’idea allora, come ha sottolineato Ivan Cavicchi, è che "la politica non riforma la sanità perché non lo sa fare, tende, al contrario, a fare la controriforma, cioè a smontare il sistema sanitario un pezzo per volta".

Il sistema, insomma, non è più efficiente se si aumentano le prestazioni: "Bisogna valorizzare – si è detto durante il confronto – quello che noi facciamo come medici: la nostra non è una prestazione, come in una fabbrica, noi produciamo salute. Questa è la nostra ricchezza e come fai a dare un prezzo a questo?". Senza dimenticare, però, che in alcune zone del pianeta la salute sta diventando un business, con gruppi industriali e finanziari che investono milioni. "Quello che non sarà mai un business – ha sottolineato Marco Ballico – è la salute pubblica con un certo concetto di Assistenza, come ci insegna il nostro SSN".

Un altro problema, semmai, è "aver creato bisogni e aspettative eccessive e ora ci troviamo a dover far marcia indietro perché non è più possibile garantire quello che avevamo promesso, che avevamo lasciato intravedere… le prestazioni infinite".
 
Continuo anche il riferimento alle liste d’attesa, indicato dall’opinione pubblica, e spesso anche dalla politica, come il problema dei problemi – solo fumo negli occhi, invece, per la classe medica – da risolvere aprendo ospedali, studi e ambulatori nei giorni festivi e di notte, continuando, così, ad aumentare le prestazioni, in un circolo vizioso senza sosta. "E come si aprono le strutture se non ci sono i medici?".

In un’ottica più larga, c’è anche chi ha sottolineato come la crisi non sia solo del medico, ma anche di altre figure autorevoli, come per esempio gli insegnanti. "Quello che viviamo – è stato detto – è un periodo di drammatico declino, la società si involve rapidamente e casca tutto, tra cui noi. Noi dobbiamo stare molto attenti a non perdere dignità.”

L’impressione è che quella pubblica sia una sanità in cui ottiene di più chi urla di più, con medici “costretti” ad esempio a fare prestazioni inutili sotto minaccia dei pazienti di chiamare, in caso di rifiuto, i carabinieri o di rivolgersi alla politica e ai giornali. "A volte si cede – è stato detto – per non finire in pasto all’opinione pubblica".

Il nodo centrale, insomma, come ha sottolineato Maurizio Scassola tornando all’inizio della discussione, è "il primato della finanza sulla politica. Il problema è che non esiste più la politica, la politica è scomparsa: esistono il consenso e i budget. Ciò che governa è la logica della produttività, dell’efficientismo, dell’ottimizzazione delle risorse. E noi medici ci troviamo schiacciati da queste logiche. Ma che strumenti abbiamo a disposizione per combattere questo fenomeno? Non ci rinnovano i contratti da 10 anni, ma continuano a inaugurare Tac e robot da Vinci perché sono investimenti produttivi elettorali. Noi, però, non sappiamo con chi dialogare, non abbiamo interlocutori. E noi? Che responsabilità siamo disposti ad assumerci?".
 
Tra gli altri temi sollevati durante la discussione: l’imbuto formativo creato dai tagli lineari, che si tenta di superare aprendo il numero chiuso a medicina senza, però, toccare l’esiguo numero di borse di specialità, vero nodo della questione e le opportunità di lavoro all’estero per i camici bianchi, più remunerative che in Italia.
 
"Alcune parole – la riflessione finale del filosofo, il professor Luigi Vero Tarca – sono importanti: condivisione, autonomia condivisa, medicina della cura appropriata: assistiamo a un’immane espropriazione del nostro corpo, della nostra vita, della nostra salute. Il corpo non è più nostro, non abbiamo più nulla a che fare con la sua gestione. I problemi che stiamo trattando sono antropologici: è il destino della vita sulla terra il problema. Le potenze che sono in gioco sono quelle che si arrogano il diritto di decidere quale sarà la vita sulla terra. Noi dobbiamo portarci a questo livello di pensiero".

Ed è tornato, poi, su una riflessione già più volte espressa: se questo è vero, allora non può essere il medico, in quanto medico, a dare una risposta, a trovare una soluzione, perché il problema non è medico, non è clinico, è umano. "Il medico – ha aggiunto – deve avere una mente e uno spirito aperti indefinitamente alla lettura del mondo e questa lettura deve entrare operativamente nel suo operare. Deve guidarlo la consapevolezza di questo orizzonti”. 
 
A cura dei membri della Commissione scientifica della Fondazione Ars Medica-Omceo Venezia:
 Dr. Marco Ballico, Presidente Commissione Scientifica Ars Medica
Dr. Gabriele Gasparini, Vicepresidente Fondazione Ars Medica
Dr.ssa Ornella Mancin, Presidente Fondazione Ars Medica
Prof. Luigi Vero Tarca, Filosofo - Università Ca' Foscari Venezia
Prof. Fabrizio Turoldo, prof. Associato di filosofia -Università Ca' Foscari Venezia

09 maggio 2019
© Riproduzione riservata

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