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Omicido colposo per il medico di pronto soccorso che non valuta una radiografia e contribuisce al decesso del paziente


La Cassazione, con sentenza n 35660/2019 della prima sezione penale ha confermato la condanna per omicidio colposo a otto mesi di reclusione (pena sospesa, ma non annullata) della Corte d’appello per un medico di pronto soccorso che ha dimesso una paziente con frattura del femore per non aver valutato la radiografia. Paziente poi deceduta per “per atelettasia polmonare indotta dal prolungato allettamento” LA SENTENZA.

27 AGO - E’ colpevole di violazione delle regole di prudenza e diligenza il medico di pronto soccorso che non si accorge dell'esistenza di una frattura del collo femorale di una paziente, nonostante due esami radiografici positivi, il referto clinico dei medici del servizio 118 e la sintomatologia del paziente.

E come tale la Cassazione, con sentenza n 35660/2019 della prima sezione penale ha confermato la condanna per omicidio colposo a otto mesi di reclusione (pena sospesa, ma non annullata) della Corte d’appello.
 
Il fatto
Il medico di pronto soccorso in cooperazione colposa con altri, nella qualità di medico in servizio presso il pronto soccorso di un ospedale “con condotta consistita, in particolare, nel sottovalutare la portata delle lesioni riportate da una paziente a causa di un'aggressione subita”, aveva diagnosticato una contusione all'anca sinistra invece di una frattura e ha omesso di rilevare, come ha evidenziato il referto radiologico - una frattura al femore sinistro.
Questo “confidando colposamente nella valutazione effettuata dal medico radiologo pur a fronte di una sintomatologia clinica stridente con la (erronea) diagnosi eseguita” e  non prescrivendo quindi alla paziente una visita specialistica ortopedica, ma dimettendola dalla struttura ospedaliera, incidendo “sul determinismo causale della morte avvenuta per atelettasia polmonare indotta dal prolungato allettamento della vittima”.
 
La sentenza
La Cassazione ha respinto il ricorso del medico secondo il quale la Corte di Appello non aveva considerato adeguatamente i criteri tecnico-giuridici che servono a individuare i compiti specifici dei tecnici radiologi, che attribuirebbero solo a questi il compito di refertare i relativi esami.

In base a questa considerazione, il giudice avrebbe dovuto giustificare la condotta della dottoressa ricorrente sotto il profilo dell'insussistenza di un dovere di corretta refertazione di radiografie che non era tenuta a esaminare.

Ma la Cassazione ha giudicato il comportamento come “errore di diritto non emendabile attraverso la revisione (che è il mezzo al quale la parte aveva fatto ricorso), ma solo in sede endoprocedimentale attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione”.

“Costituisce principio acquisito nella giurisprudenza di questa Corte – si legge nella sentenza - che, ai fini dell'ammissibilità della richiesta di revisione, possono costituire "prove nuove", ai sensi dell'art. 630 comma 1 lett. c) cod.proc.pen., (anche) quelle che, pur incidendo su un tema già divenuto oggetto di indagine nel corso della cognizione ordinaria, siano fondate su nuove acquisizioni scientifiche e tecniche diverse e innovative, tali da fornire risultati non raggiungibili con le metodiche in precedenza disponibili (Sez. 5 n. 10523 del 20/02/2018, Rv. 272592); una perizia o una consulenza tecnica può, perciò, costituire prova nuova, agli effetti indicati, se basata su nuove acquisizioni scientifiche idonee di per sé a superare i criteri adottati in precedenza e suscettibili di fornire sicuramente risultati più adeguati”.

Secondo la sentenza “in qualità di medico addetto al servizio di pronto soccorso, la dottoressa non era tenuta a esaminare i fotogrammi delle radiografie eseguite sulla persona offesa, perché il relativo compito era di competenza esclusiva del medico radiologo, appositamente interpellato, alle cui conclusioni la ricorrente era tenuta ad uniformarsi”.

“Tali elementi, tuttavia  chiarisce la sentenza - sono stati correttamente ritenuti radicalmente inidonei a integrare il requisito della prova nuova, posto che proprio la sussistenza di un errore diagnostico ascrivibile anche alla ricorrente, in cooperazione colposa col radiologo - consistito nel non aver rilevato l'esistenza della frattura del collo femorale della paziente, pur in presenza di due esami radiografici nettamente positivi, del conforme referto clinico dei medici del servizio 118 che avevano provveduto al ricovero ospedaliero della donna, nonché della sintomatologia riferita dalla paziente stessa – aveva costituito oggetto di positivo accertamento da parte della sentenza di condanna, sotto il profilo della violazione delle regole di prudenza e diligenza gravanti sul medico di pronto soccorso, e dunque il relativo tema non può essere rimesso in discussione in sede di revisione sulla scorta di un diverso apprezzamento della medesima condotta e dei correlativi doveri professionali”.

“All'inammissibilità del ricorso – conclude la Cassazione - consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla cassa delle ammende della sanzione pecuniaria equamente quantificata nella somma di tremila euro”.

Per tale ragione, il medico di pronto soccorso resta colpevole per non aver valutato adeguatamente le radiografie della paziente, nonostante non sia uno specialista radiologo.

27 agosto 2019
© Riproduzione riservata

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