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Workshop Internazionale a Ferrara sulla Medicina di genere. Serve un nuovo Story Telling


Lanciato un invito alla costruzione collettiva della “Guida Aperta alla Medicina di Genere in Italia 2019”, un primo censimento italiano su dati d’attività, ricerca, progetti europei, pratica clinica, effetti delle differenze date dal sesso e genere sulla salute e malattia. Spetterà poi all’Iss la costituzione di un osservatorio con il compito di assicurare l’avvio e il monitoraggio delle azioni

16 DIC - La medicina di genere non è una disciplina a sé stante, ma un orientamento che dovrà interessare trasversalmente ogni scienza della salute e sanità.
 
È questo il nuovo story telling che bisogna riscrivere quando si parla di medicina di genere. Un tema al centro Workshop Internazionale “Stato dell’Arte della Medicina di Genere in Italia e sfide Europee 2019. Ricerca, formazione, divulgazione e politiche attive” organizzato a Ferrara dal Centro Universitario di Studi sulla Medicina di Genere dell’Università di Ferrara (Gmc-Unife).
 
Uno dei primi eventi in cui la comunità scientifica che ha attenzione agli effetti delle differenze di sesso e genere su salute e malattia, è stata chiamata a riflettere su sé stessa e a valutare la propria attività dall’avvio della diffusione dell’approccio.
 
La due giorni accreditata Ecm e patrocinata da Iss, Conferenza delle Regioni, Conferenza delle Presidenti degli Organismi di Parità Regionali e da Unar Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni a difesa delle differenze ha puntato i riflettori alle fasi e strumenti di possibile sviluppo, con approfondimenti che caratterizzano lo specifico apporto universitario.
 
“La definiamo convenzionalmente ‘medicina’ – hanno spiegato Tiziana Bellini e Fulvia Signani rispettivamente Direttrice e Vice Direttrice del Centro Universitario di Studi sulla Medicina di Genere Università di Ferrara – nella consapevolezza  che il percorso di prevenzione, diagnosi e cura, oltre ai medici, coinvolge operativamente ricercatori, docenti e diverse figure sanitarie che sono state chiamate per la prima volta ad un tavolo di confronto, quindi occorre considerazione e pratica della interprofessionalità; la definiamo ‘di genere’, perchè rappresenta sia il ruolo sociale che viviamo in quanto esseri sessuati, che l’identità, quindi occorre che l’attenzione sia rivolta non solo alla femmina e al maschio, ma a tutte le identità sessuali e di genere esistenti. Questo ben lungi da un’opera censitoria a fini discriminatori o di giudizio, ma per la genuina interpretazione della ‘salute pubblica’, la salute per tutti a cui abbiamo vocato le nostre diverse professioni”.
 
Per intenderci, hanno aggiunto “essere omosessuale o lesbica o altro non è una malattia, ma se questa identità comporta, per esempio, difficoltà di accesso o considerazione all’interno dei servizi sanitari, questo va considerato, per porvi rimedio. Infine se interpretiamo il genere come fattore che motiva anche i comportamenti, le molestie e le violenze da esso derivati, la ‘medicina di genere’ può e deve, in una dimensione di advocacy sociale verso un tema tanto discusso ma ‘orfano’ in termini di appartenenza scientifica, occuparsi anche della violenza di genere, delle conseguenze, ma anche delle cause, che incidono sulla salute”.
 
Invito alla costruzione collettiva della “Guida Aperta alla Medicina di Genere in Italia 2019”. Il Workshop Internazionale ha sancito anche la partenza dell’invito alla Costruzione collettiva della “Guida Aperta alla Medicina di Genere in Italia 2019”. Enti e Organizzazioni pubbliche e private coinvolti finora a vari livelli nella diffusione della medicina di genere possono inviare i propri dati d’attività in merito a Politiche attive, ricerca, progetti europei, pratica clinica, formazione, divulgazione scientifica, divulgazione sulla Medicina di genere, o meglio degli effetti delle differenze date dal sesso e genere sulla salute e malattia, con attenzione all’identità sessuale e di genere, non scontatamente binaria, alle conseguenze sulla salute della violenza di genere su donne, uomini, gay, lesbiche, transessuali, nonché alle carriere di scienziate e scienziati.
 
I dati quali/quantitativi saranno parte di una Guida Aperta, primo censimento italiano dei soggetti attivi e attenti alla Medicina di Genere. Spetterà poi all’Iss la costituzione di un osservatorio che avrà il compito di assicurare l’avvio, il mantenimento nel tempo e il monitoraggio delle azioni previste dalla legge, aggiornando nel tempo gli obiettivi in base ai risultati raggiunti per fornire al Ministro della Salute i dati, da presentare annualmente alle Camere, relativi alle azioni attuate sul territorio nazionale.
 
Nel corso del Workshop Erica Villa (Unimore) ha approfondito gli aspetti metodologici ancora problematici della ricerca clinica attenta alle differenze sessuali e al genere. Tiziana Bellini (Gmc -Unife) ha presentato i dati di un’indagine sui 64 Corsi di Laurea di Medicina italiani, per valutare lo stato di inserimento della medicina di genere quale sapere trasversale gender mainstreaming negli obiettivi e nei programmi degli insegnamenti.
Survey effettuata dalla Conferenza dei Presidenti di Medicina e Chirurgia ed evidenziata nel dettaglio, sulla stregua del pilotaggio attuato e proposto due anni orsono dal Corso di Laurea di Medicina di Ferrara dall’Università di Ferrara e portato a livello Nazionale dalla Conferenza dei Presidenti di Medicina e Chirurgia.
 
Tra le persone promotrici dell’approccio in Italia, Giovannella Baggio (UniPd)e Associazione Centro Salute e Medicina di Genere, Padova) e Anna Maria Moretti (Gised, Bari) hanno proposto un amarcord di momenti convegnistici della divulgazione in Italia da parte di associazioni, mentre Flavia Franconi (Uniss) e Maria Grazia Modena (Unimore hanno tenuto lectio magistralis: la prima sui punti problematici della farmacologia di genere mettendo in luce la sfida metodologica dell’attenzione al genere e ambiente, la seconda sulla cardiologia di genere, che, ad esempio, ha individuato le caratteristiche della Takotsubo Syndrome con l’attenzione differenziale a maschio e femmina.
 
Il punto sulle politiche attive è stato tracciato dalla Senatrice Paola Boldrini promotrice della “legge sulla medicina di genere” 3/2018, art.3 che ha indicato le modalità della diffusione nelle Aziende Sanitarie.  Silvio Brusaferro, Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità interpretando lo spirito inclusivo e di fondazione paradigmatica dell’evento, ha suggerito di partire dai contenuti e metodi esposti in quella sede, per lo sviluppo della medicina di genere in Italia.
 
Sono seguiti approfondimenti sul rapporto medicina di genere e personalizzazione della cura da parte di Alessandra Carè (Centro di Riferimento della Medicina di Genere, Iss), esempi applicativi da parte di una Regione (Toscana), un Irccs (IFO San Gallicano, Roma) e un’Azienda Sanitaria (Ausl Ferrara). I metodi di consultazione degli esperti, tra l’altro applicati in una delle due azioni di ricerca che affianca e prosegue oltre il workshop, hanno trovato un’attenta analisi da parte di Giovanni Bertin (UNIVE).
 
In più punti è stata segnalata l’attenzione alla valutazione dell’impatto della legge e delle buone pratiche. Di statistica ed epidemiologia attente alle differenze sessuali e al genere ha trattato Alessandra Burgio (Istat) mentre Paolo Valerio (Unina) ha argomentato come le differenze sessuali e di genere implichino conoscenza e attenzione alle loro varianti di identità.
 
Paola Matarrese (Iss) ha proposto in anteprima, i dati di una ricerca sulla salute delle persone transgender ed Eloise Longo (Iss) ha messo in luce gli aspetti metodologici di rilevazione e quantificazione del fenomeno violenza di genere. Fulvia Signani ha esortato ad intraprendere la fase indispensabile perché questo approccio diventi sapere e pratica collettiva, cioè quella che Oms definisce gender transformative medicine, nell’attenzione costante a dare applicazione pratica alle nuove scoperte con appropriatezza, personalizzazione ed equità, sottolineando come, al contrario della percezione nazionale, il ruolo dell’Italia non emerga nel panorama europeo della ricerca.
 
Il panel europeo si è arricchito del contributo di Fabio Donato (Unife, Eu), Sabine Oertelt-Prigione (UniRadboud, Olanda), Valeria Raparelli (UniSapienza, Roma; UniMcGill, Canada), Paula Adam (AquAS, Spagna), Margarethe Hochleitner (UniInnsbruck, Austria), Karin Schenck-Gustafsson (Karolinska Inst., Svezia) che oltre a fornire importanti suggerimenti per indicatori di valutazione di efficacia delle numerose iniziative “spontanee”, hanno esortato a far riconoscere il ruolo da protagonista dell’Italia, alla pari dei traguardi normativi che la rendono caso unico europeo, evidenziando come la ricerca con questo approccio metodologico sia di importanza fondamentale per una maggiore appropriatezza e personalizzazione delle cure.

16 dicembre 2019
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