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“Governo non può aspettare ancora. Serve un piano da 30 mld o il post Covid travolgerà il Servizio sanitario nazionale. Mes? Lo stigma lo porterà chi deciderà di non usarlo”. Intervista al segretario dell’Anaao Carlo Palermo

di Luciano Fassari

Il leader sindacale in pressing sul Governo per dare il via alla riforma del Ssn: “Per ora abbiamo letto sui giornali degli annunci e sono convinto che il lavoro al Ministero sia già in fase avanzata. Il punto, però, è che bisogna fare presto”. Servono investimenti su ospedali, personale, apparecchiature oltre che 3mila borse di specializzazione per chiudere l’imbuto formativo. Auspicata anche una riforma del territorio ma no a dipendenza per i medici di famiglia. E sul Mes ribadisce: “Non capisco proprio tutte le ritrosie ideologiche, le diffidenze”

13 LUG - “Bisogna andare oltre l’emergenza, riacquistare una visione strategica. Non possiamo dimenticarci di tutti i problemi che anche prima del Covid-19 aveva il Ssn”. È un appello chiaro quello che fa il segretario dell’Anaao Assomed, Carlo Palermo che invita il Governo ad andare oltre l’emergenza e a prendere in mano concretamente il dossier della riforma della sanità anche utilizzando le risorse del Mes: “Coloro che oggi si adoperano contro l’accesso dell’Italia al Mes, saranno gli stessi che si porteranno addosso lo stigma di chi ha rifiutato il più importante finanziamento del secolo per la nostra sanità”.
 
Bocciato l’aumento dei posti a Medicina: “Un intervento inutile, fatto per soddisfare il desiderio di espansionismo delle Università”. 
 
Dottor Palermo, come giudica il Dl “Rilancio” appena approvato alla Camera?
Non posso che apprezzare il fatto che ci siano risorse in più e che il Ministro Speranza in questi mesi si stia adoperando per immettere nuovi e importanti finanziamenti nella sanità dopo un decennio di tagli dettati dalle politiche europee di equilibrio di bilancio. Ricordiamoci che il Ssn è arrivato in forte affanno all’emergenza da Covid-19: mancanza di personale sanitario, carenza di posti letto , anche nelle Terapie Intensive, con tassi tra i più bassi d’Europa,  e una sanità con forti squilibri territoriali.

Quindi il Dl “Rilancio” è una svolta?
È un provvedimento che come il “Cura Italia” ha cercato di tamponare l’emergenza ma che non può, e nemmeno vuole, risolvere i problemi strutturali della sanità pubblica.

Cosa manca?
Bisogna andare oltre l’emergenza, riacquistare una visione strategica. Non possiamo dimenticarci di tutti i problemi in cui  prima del Covid-19 si dibatteva il SSN: i problemi di governance  del sistema e del rapporto tra Stato e Regioni;  l’azienda sanitaria a guida monocratica che sconta l’esclusione dei professionisti dai processi decisionali fondamentali; i ritardi della formazione post laurea;  le ricadute negative della legislazione sulla colpa medica; le liste d’attesa che oramai si misurano in anni; la carenza di oltre 40 mila tra medici, biologi, infermieri e altri operatori sanitari; le difficoltà a ricoverare le persone per mancanza di posti letto specie nei periodi influenzali. Ha presente quelle immagini dei Pronto soccorso intasati con le persone ricoverate sulle barelle in mezzo ai corridoi e talvolta curate anche a terra per mancanza di spazi? Ecco, non è che il Covid-19 abbia cancellato questi problemi piuttosto ne ha aggiunti altri.

Il Ministro Speranza rivendica di aver stanziato risorse come nessuno mai negli ultimi 5 anni e di avere fatto oltre 20 mila assunzioni.
Fa bene il Ministro a rivendicare le risorse in più e le assunzioni. Come le dicevo, sono azioni che servono ora per far fronte al Covid-19, ma non bastano per rimettere in sesto il SSN. Le dico solo che su 6.000 medici assunti ben 5.000 lo sono con contratti precari. Certo si aumentano i posti di Terapia intensiva e sub intensiva, ma qui c’è bisogno di competenze specifiche, di operatori con contratti stabili. Posti letto e competenze sono indispensabili anche per gli altri reparti, si pensi alle pneumologie e alle malattie infettive, che sono stati falcidiati da anni di tagli alla ricerca spasmodica di un efficientismo organizzativo incapace di guardare ai veri problemi di salute.

Sempre Speranza ha più volte annunciato di star lavorando ad un’ampia riforma del Ssn...
Per ora abbiamo letto sui giornali degli annunci e sono convinto che il lavoro al Ministero sia già in fase avanzata. Il punto, però, è che bisogna fare presto. Bisogna infondere fiducia ai cittadini. Devono sapere che il nostro SSN sarà in grado di affrontare anche una eventuale seconda ondata epidemica, sarà più resiliente limitando le ricadute negative sanitarie, sociali ed economiche. Senza fiducia non ripartono i consumi e l’economia ristagna.

La discussione sull’utilizzo del Mes però non promette tempi rapidi.
Come Anaao lo diciamo da tempo: occorre usare le risorse del Mes. Non capisco proprio tutte le ritrosie ideologiche, le diffidenze. Il Mes mette a disposizione immediatamente risorse economiche fino al 2% del nostro PIL, quindi fino ad un massimo di circa 36 miliardi. L’unica condizionalità è legata alla destinazione delle spese: devono essere finalizzate direttamente o indirettamente a contrastare l’epidemia e le sue conseguenze. E sarebbe curioso che non ci fosse tale condizione.  Anzi le dico di più: coloro che oggi si adoperano contro l’accesso dell’Italia al Mes, saranno gli stessi che si porteranno addosso lo stigma di chi ha rifiutato il più importante finanziamento del secolo per la nostra sanità.

Senta, ma qual è il rischio per la sanità se si perderà altro tempo?
Il rischio è che dove non è riuscito il Covid-19 a travolgere il Ssn sarà il post epidemia a farlo.

Addirittura?
Ma guardi che sono i fatti a parlare. Già ora scontiamo un incremento della mortalità per le malattie cardiovascolari tempo-dipendenti, legato al timore di contagio da parte dei pazienti e al ritardo con cui arrivano in Ospedale. Vi è anche un ritardo nella diagnosi e nel follow-up di patologie neoplastiche che sconteremo in termini prognostici nei prossimi mesi ed anni.  Il numero di attività accantonate tra visite, prestazioni diagnostiche, attività di screening e interventi è enorme. Parliamo di 500 mila interventi chirurgici in elezione e milioni tra visite specialistiche ed esami diagnostici. Serve chiaramente un aumento dell’offerta nei prossimi 6/12 mesi. Si può ottenere, da un lato, incrementando il personale, dall’altro con un grande piano di produttività aggiuntiva per cui servono risorse. Altrimenti i cittadini si rivolgeranno sempre più al privato, indebolendo un SSN giudicato incapace di risolvere i loro problemi.

Che tipo d’intervento serve quindi?
A livello economico serve un piano di almeno 25-30 miliardi di euro e per questo, come le dicevo, il Mes sarebbe importante usarlo. Rappresenta un formidabile catalizzatore per i piani strategici di riorganizzazione e rinnovamento delle strutture materiali e immateriali del SSN. Altrimenti si indichi rapidamente la fonte alternativa di finanziamento.

E con tutti questi soldi cosa andrebbe fatto concretamente, oltre che incentivare la produttività?
Partiamo dalla ristrutturazione degli ospedali. Molti costruiti più di 50 anni fa e incapaci di rispondere con flessibilità alle rimodulazioni organizzative e all’incremento dei posti letto necessari in corso di epidemia. Si pensi alla separazione dei percorsi tra infetti e non infetti e quindi alla salvaguardia delle attività verso le patologie ordinarie, trascurata in questa fase. Aggiungiamo la messa a norma per il rischio sismico. Altro punto essenziale è l’adeguamento delle strutture intermedie. Parlo di Ospedali di comunità, RSA e Centri di prossimità che hanno manifestato molte criticità nel contesto dell’epidemia. Anche gli investimenti in ricerca biomedica sono decisivi così come quelli nelle industrie della white economy, sia nel settore delle tecnologie sanitarie che della farmaceutica. Si tratta di settori ad altissimo tasso di innovazione e con livelli elevati di capitale umano, dove l’Italia vanta posizioni di avanguardia. Le apparecchiature diagnostiche e terapeutiche dei nostri Ospedali sono oramai obsolete nella maggioranza dei casi, per la scarsa possibilità di investimento per beni e servizi degli anni passati, e necessitano di essere rinnovate.  E’ fondamentale per affrontare in sicurezza eventuali recrudescenze epidemiche avere adeguate riserve di farmaci (antivirali, plasma iperimmune, desametazone, tocilizumab, anticoagulanti) e dispositivi di protezione individuale, purtroppo carenti nelle prime fasi epidemiche e ciò ha rappresentato uno dei fattori principali alla base dell’elevato numero di contagi tra il personale sanitario, nonché investire nell’approvvigionamento del vaccino appena disponibile. Non dimentichiamo la rivoluzione digitalica con ospedali e strutture territoriali sempre connessi per lo scambio di dati e lo sviluppo della telemedicina e del telemonitoraggio dei pazienti. Tutto ciò aiuterebbe a creare lo spazio nella spesa corrente del FSN per incrementare gli stipendi dei medici e dei dirigenti sanitari riportandoli a livelli più vicini a quelli europei. Tutti ne parlano, per ultimo il Segretario del PD Zingaretti, ma nessuno passa dalla enunciazione del problema alle proposte percorribili.  

Ecco proprio sull’assistenza territoriale, crede si debba puntare sulla dipendenza per i medici di famiglia?
Guardi, la scelta del rapporto di lavoro non può certamente essere imposta. Poi, a mio parere, non si tratta di cambiare stato giuridico, operazione sempre problematica, lunga e difficile da affrontare, ma di funzioni da esercitare. Si tratta di un nuovo modo di lavorare, di operare in team multiprofessionali e multidisciplinari andando verso una medicina di comunità che integri le nuove strutture della Medicina generale con i Dipartimenti di Igiene e Prevenzione, che vanno rivitalizzati, e i Distretti socio-sanitari. Una organizzazione capace di intercettare sul territorio l’insorgenza dei nuovi casi di Covid-19, di garantire precocemente le famose tre T (testare, tracciare e trattare) in modo da evitare il riversarsi di una casistica non controllata sugli ospedali, causa importante nell’epicentro epidemico della saturazione dei posti in Terapia intensiva. Le epidemie si combattono soprattutto sul territorio. E sul territorio va affrontato anche il problema della cronicità, sviluppando una stretta continuità assistenziale con l’Ospedale, prima, durante e dopo il ricovero dei pazienti che sono in genere complessi e multi-patologici. Anche in questo caso le piattaforme digitaliche possono essere di grande aiuto.

Ma occorre riformare anche la Costituzione? Penso al Titolo V.
Ho spesso affermato la necessità di ricentralizzare le politiche sanitarie nel nostro Paese. Il federalismo che abbiamo vissuto in tutti questi anni lo definirei scarsamente solidale, quasi “da abbandono”. L’epidemia ha evidenziato le criticità dell’attuale assetto di governance istituzionale.  Sia chiaro, non si intende limitare l’autonomia organizzativa delle Regioni, come Anaao pensiamo che serva un maggiore potere del Ministero della Salute in termini di programmazione e indirizzo nonché di verifica degli obiettivi,  con possibili interventi sostitutivi  per garantire non solo l’equilibrio economico delle Regioni, come finora è stato fatto dal MEF,  ma soprattutto il diritto di accesso alle cure, la piena esigibilità dei LEA  e in definitiva quel diritto alla salute,  unico e indivisibile, il solo che la Costituzione definisce come fondamentale. Una autonomia differenziata ci porterebbe, al contrario, verso uno stato federale sul modello degli Stati Uniti che proprio durante l’epidemia hanno mostrato enormi difficoltà nell’assumere decisioni univoche e concordate nel contrasto della sua diffusione e ne stanno ancora pagando le conseguenze in termini di numero di contagi e mortalità. A quel punto sarebbe improprio continuare a parlare di SSN.

Tema caldo è sempre quello della formazione. Sono aumentate le borse di specializzazione ma pure i posti a Medicina. Non trova che siamo di fronte ad un circolo vizioso?
Purtroppo è così. Abbiamo salutato con favore l’investimento fatto sui contratti di specializzazione anche se non ci stancheremo mai di dire che per far fronte alla carenza di medici specialisti, che nei prossimi 5 anni sarà fortissima dato l’elevato numero di professionisti che lascerà il lavoro per raggiunti limiti pensionistici ma anche per il tremendo stress test che tutti gli operatori in prima linea hanno subito, occorre fare uno sforzo in più. Dobbiamo assolutamente chiudere l’imbuto formativo e per il prossimo anno serviranno almeno 3 mila contratti in più rispetto ai 15/16 mila posti di formazione post laurea tra specializzazioni e medicina generale del 2020. Una volta risolto l’imbuto, si dovrà garantire che ad ogni laureato possa corrispondere o un contratto di specializzazione o una borsa in Medicina generale, nell’ambito di una seria programmazione dei fabbisogni. 

E sull’aumento dei posti a Medicina portati a 13.072 dal Ministro Manfredi?
Un intervento inutile, al di fuori di ogni logica di programmazione, fatto per soddisfare il desiderio di espansionismo delle Università. Il punto è che quando si adottano certe misure si dovrebbe guardare con una prospettiva di almeno 10 anni. Ebbene nel 2030, quando quei medici usciranno da un lungo e impegnativo percorso di studio e formativo, il lavoro per tutti non ci sarà più perché la gobba demografica dei baby boomers, assunti nel SSN intorno alla sua costituzione, sarà stata riassorbita. Insomma, rischiamo una nuova pletora medica come è stato negli anni ’70 e ’80. 
 
Luciano Fassari

13 luglio 2020
© Riproduzione riservata

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