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Covid. “Non basta un ventilatore a creare un posto di terapia intensiva. Manca il personale, si rischia un crollo nella qualità dell’assistenza”. Intervista a Domenico Minniti (Aaroi Emac)

di Giovanni Rodriquez

"Possiamo anche raddoppiare il numero di posti letto, ma con il personale attualmente in servizio non possiamo seguirne più di 7.000". E sulla possibilità di arruolare specializzandi del 3° anno: "Siamo in guerra e magari sarà necessario farlo, ma serve prima un decreto che li tuteli dal punto di vista medico-legale". Sulle cure domiciliari: "Manca ancora un'adeguata assistenza, così si rischiano congestioni nei Pronto Soccorso per codici verdi, con file incongrue". È allarme sulle morti indirette: "Tra un anno ci potremmo accorgere di una possibile impennata di decessi da tumore, infarto ed altro". 

02 NOV - Non basta l'invio di ventilatori per realizzare nuovi posti di terapia intensiva. Serve anche altro. E, soprattutto, manca il personale. Il rischio è il crollo della qualità dell'assistenza con un incremento delle infezioni ospedaliere. Ed è allarme sulle morti indirette da covid: tre una anno potremmo accorgerci di un'impennata di decessi per tumori, infarto ed altro a causa del crollo degli screening e la reticenza dei pazienti nel recarsi in ospedale.
 
A fare il punto della situazione è Domenico Minniti, presidente dell’Aaroi Emac Calabria.
 
Dott. Minniti, i numeri forniti dal Commissario Arcuri giovedì scorso riguardo le terapie intensive sono attendibili?
Per quanto riguarda la mia Regione, la Calabria, direi di no. Quel dato sui 146 posti è stato estrapolato da un decreto del commissario ad acta del 2016 che preveda l’istituzione di quei posti posti letto. Posti in realtà mai realizzati. Noi avevamo 107 posti, non 146. Oltre questi, sono stati attivati soltanto altri 6 posti, strutturalmente parlando. Gli altri sono posti 'volanti' che si recuperano o chiudendo le sale operatorie o individuando dei luoghi talvolta non a norma.
 
Si parla poi dei ventilatori distribuiti dal Commissario, come se questi fossero di per sé sufficienti all'attivazione di nuovi posti di terapia intensiva. Ma è davvero così?
Assolutamente no, il solo ventilatore di per sé non basta, sono necessari anche altri dispositivi elettromedicali. Ma soprattutto, anche ammesso ci siano oltre ai ventilatori di Arcuri anche tutto il restante necessario, resta un problema fondamentale: manca il personale. 
 
Ad oggi, quanti sono i posti letto di terapia intensiva che si riescono a seguire in maniera adeguata?
Non più di 7000. Questa è una valutazione che abbiamo fatto come Aaroi Emac. Noi possiamo anche raddoppiare i posti letto di terapia intensiva, ma il numero degli operatori disponibili resta sempre quello, per cui la qualità dell’assistenza che si riesce a fornire non può che calare drammaticamente, e proporzionalmente aumenta anche rischio delle infezioni in terapia intensiva. Perché è logico che se restano sempre le stesse persone a dover fare il nursing ad un numero doppio o triplo di pazienti, la possibilità di trasmettere infezioni da un paziente all'altro aumenta notevolmente. Questo per farle capire l'importanza dell'assistenza nelle terapie intensive.
 
E se a questo punto, data la situazione, si sfruttasse il Decreto Calabria iniziando ad arruolare anche specializzandi dal 3° anno?
In questo momento siamo in guerra, e magari sarà quindi necessario farlo. Mi lasci però dire che si dovrebbe prima affrontare un problema di natura medico-legale. Questo perché lo specializzando non può fare in piena autonomia quello che fa uno specialista. È la norma a prevederlo. Bisogna quindi metterli nelle condizioni di non dover rischiare possibili contenziosi medico-legali.
 
E come di potrebbe fare?
Servirebbe un decreto legge per tutelarli. È necessario visto che già ora, anche noi professionisti, ci aspettiamo che alla fine di questa pandemia ci sarà qualcuno che proverà a presentarci il “conto” dal punto vista legale.
 
Si parla sempre del tasso di occupazione dei posti letto di terapia intensiva da parte di pazienti Covid. Sappiamo che già oggi diverse Regioni hanno sforato la soglia critica del 30% (Campania, Umbria e Valle d'Aosta). Ma quanti sono i pazienti non Covid che occupano questi reparti?
Le nostre terapie intensive hanno generalmente un tasso di occupazione del 100%, anche in periodi non covid. È sempre difficile trovare posti letto liberi. Generalmente questi vengono sempre occupati visto che il loro turnover è comunque elevato. In questo contesto specifico, con la riduzione dell'attività chirurgica già approvata in diverse Regioni, diciamo che è più facile avere un contingente di posti letto lasciato prudenzialmente libero.
 
C'è poi da dire che i pazienti Covid tendono ad occupare quei posti letto per più settimane.
Esatto, il tasso medio di occupazione di un posto letto di terapia intensiva di un paziente Covid è di 20. Questo, ovviamente, rallenta il turnover dei pazienti. Ma la terapia intensiva dovrebbe essere l'extrema ratio.
 
Cosa manca allora?
Manca ancora un'adeguata assistenza a livello domiciliare. Dobbiamo sensibilizzare i medici di medicina generale e quelli delle USCA, affinché ci sia una diagnosi precoce ed una terapia precoce a domicilio in modo da riuscire a ridurre drasticamente l'ospedalizzazione e non mandare in crisi gli ospedali.
 
Manca però un protocollo condiviso di cura a domicilio per questi pazienti
È vero, questo perché il virus si conosce poco. Non si capisce bene ancora quando cominciare il cortisone o l'eparina a basso peso molecolare. È difficile avere un protocollo condiviso. Però tenere sotto controllo i pazienti a casa e rendersi conto di quando la situazione sta virando al peggio potrebbe aiutare. Del resto facciamo i medici, sappiamo che attualmente abbiamo quei tre farmaci a disposizione, è nostro dovere provare a curare queste persone anche a casa. Anche perché l'ospedalizzazione di questi pazienti porta a congestioni nei Pronto Soccorso per codici verdi, con file incongrue ed un rallentamento delle performance dei grandi ospedali.
 
Il Ministero della Salute la scorsa settimana ha ufficializzato un crollo degli screening oncologici a causa del Covid. Aumenterà anche la mortalità indiretta?
Credo purtroppo di sì, e ce ne renderemo conto tra un anno con una possibile impennata di decessi da tumore, infarto ed altro. 
 
Giovanni Rodriquez

02 novembre 2020
© Riproduzione riservata

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