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Professioni sanitarie. Due norme di buon senso per il Governo Draghi

di Saverio Proia

Sto parlando del giusto inquadramento giuridico di quei profili professionali - assistente sociale, operatore sociosanitario e di sociologo - che costituiscono l’architrave dell’integrazione sociosanitaria e poi di avviare a soluzione l'annosa questione, che si trascina da decenni, dell'assunzione a tempo indeterminato del dirigente assistente sociale del servizio sociale professionale

12 FEB - In riferimento alla proposta avanzata l'altro ieri su QS sull’estensione del diritto alla libera professione intramuraria alle altre professioni sanitarie e sociosanitarie (che dai commenti ricevuti mi sembra sia stata accolta largamente positivamente) necessita di alcune precisazioni che mi permetto di sottolineare.
 
La prima è che la proposta non rappresenta una imitazione della normativa della libera professione della dirigenza medico e sanitaria ma ha una sua specificità; la seconda che sarebbe necessario prevedere per il personale turnante giorno e notte degli adeguamenti contrattuali, quali ad esempio una riduzione d’orario, qualora si avvalesse del diritto alla libera professione per evitare un suo eccessivo carico di lavoro e, di conseguenza, aprire spazi ulteriore di nuova occupazione per le nuove generazioni di professionisti sanitari, modello decisamente non esportabile nei confronti del personale medico per la nota carenza di specialisti, carenza destinata ad acuirsi nei prossimi anni.
 
Mi permetto di suggerire al nuovo Governo un'ulteriore modifica - chiamarla riforma mi pare eccessiva in quanto si tratta di un dovuto e tardivo adeguamento legislativo ad una situazione già mutata da decenni e alla quale non si è ancora posto rimedio - e cioè il giusto inquadramento giuridico di quel personale che costituisce l’architrave dell’integrazione sociosanitaria. Una semplice modifica dall’enorme importanza: il diritto al giusto nome nel “catalogo” dei profili professionali del Servizio Sanitario Nazionale e visto che i media continuano a chiamarli eroi, salvo poi a non trattarli adeguatamente economicamente e giuridicamente, sarebbe ora che almeno la giusta collocazione venga riconosciuta.
 
Certamente la parola giusta può avere un enorme valore in sé, pensate all’impegno e all’enorme campagna mediatica e alle modifiche legislative che abbiamo messo in essere positivamente per far superare e ancora non si è riusciti completamente il termine “paramedico” o “non medico” per le professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica o a far capire ai media che con il termine infermiere non si debba far comprendere profili che infermieri non sono.
 
Si tratta dei profili professionali di assistente sociale, operatore sociosanitario e di sociologo che nell’articolo 1 dello Stato giuridico del personale del SSN (dpr 761/79) mi pare l’unico articolo ancora vigente di un ordinamento superato è collocato erroneamente nel ruolo tecnico, anche se l’assistente sociale successivamente conquistò la sua legislazione ordinistica e quindi, casomai, il legislatore avrebbe dovuto inserirla nel ruolo professionale, insieme agli altri professionisti diversi dai sanitari e l’operatore sociosanitario chiamandosi sociosanitario perché dovrebbe stare in un ruolo tecnico?
 
Abbiamo creduto, in buona fede, che la questione fosse risolta con l’approvazione dell’articolo 5 della legge 3/18 che contestualizzando e rivitalizzando la mai attuata area delle professioni sociosanitarie previste dal dlgs 502/92, aveva collocato questi profili appunto nell’area delle professioni sociosanitarie, cambiano finalmente almeno la collocazione professionale come indicava anche l’Atto di indirizzo del Comitato di Settore Regioni Sanità nelle direttive all’ARAN per la stipula del vigente contratto sanità, prevedendo una diversa aggregazione dei profili in aree professionali rispondenti alla reale organizzazione del lavoro in sanità ed alle vere linee di produzione attuative del diritto alla salute e non alle desuete articolazione giuridiche del DPR dell’altro secolo. Ma ciò non è stato inserito compitamente nel contratto rimandando il tutto ad una Commissione Paritetica che ancora non ha concluso i suoi lavori.
 
Nel frattempo, però, nella legge di bilancio del 2018 è stato modificato il DPR 761/79 introducendo il ruolo del personale della ricerca sanitaria in aggiunta ai quattro ruoli preesistenti: sanitario, tecnico, professionale ed amministrativo; questi fatti hanno motivato vari deputati a chiedere la modifica (un atto dovuto di adeguamento normativo che il Ministero della Salute avrebbe dovuto proporre ed attuare come ha fatto, giustamente, per il personale della ricerca sanitaria, come principio di buona amministrazione) fino a che nella conversione del decreto legge Ristori 4 l’emendamento, prima firmataria la senatrice Paola Boldrini addirittura fu compreso nel testo “bollinato” ma tolto con un potere indiscutibile, che non comprendo, dalla Presidente del Senato perché “estraneo alla materia”.
 
Ma quale estraneità, vien da chiedrsi, considerando che esso era ed è finalizzato a rafforzare l’impegno verso la prevista integrazione sociosanitaria motivando maggiormente il personale interessato, tra l’altro a costo zero? Ma è evidente che non può finire qui ed in questa maniera ed infatti la questione è stata rilanciata dall’ Atto Camera Ordine del Giorno 9/02790-bis-AR/048 presentato dagli onorevoli Campana, Carnevali, Schirò, Siani, Pini, Rizzo Nervo e approvato in sede di votazione della legge di bilancio il 27 dicembre 2020 con il quale si “impegna il Governo:
• a valutare l'opportunità di istituire con un'apposita norma nel primo provvedimento utile che il personale dipendente del Servizio sanitario nazionale appartenente ai profili professionali di assistente sociale, sociologo ed operatore sociosanitario già collocato nel ruolo tecnico di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 761 del 1979, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 5 della legge n. 3 del 2018 sia invece, collocato nel ruolo sociosanitario;
 
• a valutare l'opportunità di inserire nel primo provvedimento utile, di intesa con la Conferenza delle Regioni, una norma che specifichi la direttiva con la quale si indichi alle Aziende Sanitarie e agli altri Enti del Servizio sanitario nazionale che avendo istituito il servizio sociale professionale di cui all'articolo 7 della legge n. 251 del 2000, possono assumere, a tempo indeterminato, il relativo dirigente assistente sociale avvalendosi della medesima normativa concorsuale (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 gennaio 2008) già prevista per gli altri dirigenti delle professioni sanitarie dei cui all'articolo 6 della legge n. 251 del 2000 sostituendo solo la tipologia di laurea magistrale con quella specifica di assistente sociale stabilita dall'articolo 7 della legge n. 251 del 2000.”
 
E’ auspicabile che il nuovo Governo possa dar corso a questo impegno in quanto si tratta di un adeguamento legislativo di nessun costo ma dal massimo rendimento, giusto e atteso in quanto, come richiama lo stesso ordine del giorno, è ormai necessario che il personale dipendente del Servizio Sanitario Nazionale appartenente ai profili professionali di assistente sociale, sociologo ed operatore sociosanitario - già collocato nel ruolo tecnico di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 761 del 1979, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 5 della legge n. 3 del 2018 - sia collocato nel ruolo sociosanitario, da istituire con una specifica norma nel primo provvedimento utile, dando così il “giusto diritto al giusto nome” del ruolo nel quale questi operatori e professionisti debbano essere collocati in quanto non svolgono competenze di tipo strettamente tecnico ma atti e funzioni che contribuiscono direttamente alla realizzazione del diritto alla salute come sancito dall'articolo 32 della nostra Costituzione e della conseguente normativa attuativa nazionale e regionale, in integrazione funzionale con le professioni sanitarie, comprese nella citata legge n. 3 del 2018.
 
Come è noto la finalità del Servizio sanitario nazionale, come definita dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, cioè la tutela della salute come «stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia» fa sì che debba essere attuata non solo in un sistema sanitario in senso stretto bensì dando corso ad un'articolata e complessa attività con più professionisti ed operatori per individuare e conseguentemente modificare quei fattori che influiscono negativamente sulla salute individuale e collettiva promuovendo al contempo quelli favorevoli.
 
Per supportare tale strategia di promozione del benessere, che trova nel «Patto per la Salute» un torte stimolo attraverso l'integrazione socio-sanitaria, la legge n. 3 del 2018 all'articolo 5 ha istituito una specifica area delle professioni socio-sanitarie, rinnovando quanto già previsto dall'articolo 3-octies del decreto legislativo n. 502 del 1992 e prevedendo che nell'immediato confluiscono in detta area i preesistenti profili professionali di operatore sociosanitario, assistente sociale, sociologo ed educatore professionale, giusta scelta del legislatore in un settore, quale quello socio-sanitario, ad elevata espansione per l'attuale quadro demografico ed epidemiologico.
 
La creazione di questa specifica area delle professioni socio-sanitarie non può che prevedere ipso facto il superamento della desueta articolazione del personale nei quattro ruoli (sanitario, professionale tecnico ed amministrativo) prevista dalla legge n. 833 del 1978, al quale si è aggiunto recentemente il ruolo della ricerca con 1 articolo 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205, commi 422 e seguenti, non più aderente all'evoluzione scientifica, tecnologica, normativa e formativa intervenuta nel quarantennio successivo e che ha prodotto l'attuale sistema nel quale prevale la mission di salute più che di sanità in senso stretto.
 
Come ho ricordato, purtroppo, la richiamata norma dell'articolo 5 della legge, in sede di contrattazione collettiva non è sembrata sufficiente per dar corso ad una specifica area delle professioni sociosanitarie e comunque la collocazione contrattuale in un'area funzionale sociosanitaria non risolverebbe la collocazione giuridica dei dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale appartenenti a tali profili che rimarrebbe, con evidente contrasto legislativo, collocata nel ruolo tecnico.

Si tratta di un evento negativo che ha generato contrarietà tra il personale interessato, in particolare tra operatori sociosanitari e assistenti sociali attualmente inquadrati nel ruolo tecnico nonostante i contenuti propriamente sociosanitari dei loro profili altresì impegnati in prima fila nella lotta al COVID-19, anche a rischio della vita o di patologie invalidanti.
 
Inoltre, giustamente e puntualmente, non essendo sato accolto uno specifico emendamento in tal senso presentato in ultime ordine di tempo dall’onorevole Elena Carnevali, per il parere negativo, a mio giudizio non comprensibile anzi errato, del MEF, per avviare a soluzione l'annosa questione, che si trascina da decenni, dell'assunzione a tempo indeterminato del dirigente assistente sociale del servizio sociale professionale di cui all'articolo 7 della legge n. 251 del 2000, che prevede solo l'assunzione a tempo determinato, non essendoci analoga definizione per l'assunzione a tempo indeterminato nell'articolo 6 della medesima legge per i dirigenti delle aree professionali infermieristica-ostetrica, tecnico-sanitaria, della riabilitazione e della prevenzione.
 
Ricordo che per ovviare a questa carenza legislativa alcune Regioni “coraggiose ed illuminate” dirette da maggioranze di diverso colore politico, hanno avviato le relative procedure di concorsi per il reclutamento di dirigenti del servizio sociale a tempo indeterminato avvalendosi, per analogia della normativa concorsuale dei dirigenti delle suddette professioni sanitarie, operazione di buon senso e di buona amministrazione e quindi si tratterebbe, anche con un semplice atto della Conferenza delle Regioni, di assumere come modalità comune quanto quelle Regioni “coraggiose ed illuminate” hanno già positivamente realizzato oppure a contenerlo in una norma nazionale che non ha costi..
 
Sarebbe quanto mai augurabile che l’ormai prossimo Governo dei “Migliori” possa prevedere nel primo provvedimento utile queste due norme semplici da realizzare ma dall’alto valore, con il minimo sforzo ma con il massimo rendimento.
 
Come richiesto dallo stesso Parlamento e se, come pare, l’integrazione sociosanitaria diventerà centrale nell’agenda del nuovo Esecutivo.
 
Saverio Proia

12 febbraio 2021
© Riproduzione riservata

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