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Piccoli ospedali in crisi per carenze di medici

20 GEN - Gentile Direttore,
i servizi degli ospedali più piccoli e periferici rischiano di chiudere per consunzione: la perdita anche di un solo medico, infatti, può rallentare o addirittura bloccare quelle attività che già adesso sono portate avanti da organici inadeguati e carenti. Regione ed Asl dovrebbero evitarlo: basterebbero minimi interventi per continuare ad assicurare questi fondamentali servizi.
 
La Legge 8 marzo 2017, n. 24 all’art. 1 recita: ”Comma 1. La sicurezza delle cure è parte costitutiva  del diritto  alla salute  ed  è  perseguita nell'interesse dell'individuo e della collettività. Comma 2. La sicurezza delle cure si realizza anche mediante l'insieme  di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla  gestione  del rischio connesso all'erogazione di prestazioni sanitarie e l'utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative” .
 
La Circolare del Ministero della Salute del 30 marzo 2020 n. 80706 afferma “si raccomanda di includere nelle attività non procrastinabili sia ambulatoriali che di ricovero, tutte le attività programmate di ambito oncologico (incluse le prestazioni di II livello previste dalle campagne di screening oncologico)”.
 
Abbiamo la pandemia in corso. Molte, anzi troppe attività elettive ed ordinarie sono state bloccate e stentano a ripartire. Sappiamo bene, noi operatori sanitari, che le altre malattie non sono andate in vacanza e l’evidenza dimostra che anche un big killer quale è il cancro, non si è distratto neanche un secondo. Tutto ciò pesa dannatamente sulla vita stessa delle persone che stanno rinunciando anche a curarsi, figuriamoci a partecipare alle attività di screening.
 
A questo si aggiunge una carenza di personale che, in special modo nelle strutture ospedaliere periferiche, mette in affanno i pochi dirigenti medici presenti e che sempre più si trovano in grande difficoltà a garantire l’erogazione delle prestazioni. In alcune realtà, i cosiddetti piccoli ospedali o presunti tali, diviene concreto il rischio di interrompere le prestazioni ambulatoriali ordinarie e non urgenti.
 
Ma che significa non urgenti? Per il paziente e per i suoi familiari anche l’aumento infinitesimale dei valori di un marcatore tumorale rischia di rappresentare una urgenza, quantomeno di tipo emotivo. Il rischio di sbagliare è dietro l’angolo, la stanchezza anche fisica può precedere l’errore e l’errore precede il contenzioso medico-legale e giudiziario.
 
Alle necessità di riempire i vuoti nelle dotazioni organiche, argomento sul quale la Cisl Medici insiste da sempre, ci sono Aziende ed Asl che rispondono in maniera rapida e ci sono Aziende ed Asl che rispondono con improduttiva pedanteria quasi a certificare, laddove ce ne fosse bisogno, l’inadeguatezza di un sistema incapace di affrontare un problema se non in maniera rigidamente formalistica e con tempi di azione così lunghi che neanche bisognasse riscrivere la storia universale tanto per rifarsi al Pendolo di Foucault.
 
Ma il bisogno di salute espresso dalla popolazione non può aspettare o essere messo in pausa in attesa degli eventi. Il rischio è la riduzione e la chiusura di servizi essenziali, il pellegrinaggio dei pazienti verso santuari ospedalieri sempre più lontani e la perdita definitiva di quel contatto umano che dovrebbe rendere il rapporto medico-paziente non impersonale.
 
Luciano Cifaldi
Oncologo, segretario generale Cisl Medici Lazio

20 gennaio 2021
© Riproduzione riservata

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