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La “libertà” per i no vax

di Filippo M. R. Tusa

16 NOV - Gentile Direttore,
sono solo uno studente di medicina. Premessa necessaria, non per scusarmi di eventuali mancanze, errori né per escludermi dal peso della responsabilità di ciò che ho scritto. Non sono un docente, medico specializzato o operatore sanitario che già opera e si confronta con la realtà del quotidiano. Non posso avere contezza delle dinamiche sociali alla base di decisioni effettuate dai decisori politici precipuamente posti al ruolo.
 
Vi scrivo perché ho letto della notizia delle misure prese in Austria.
In Italia e non solo, in questi tempi, si è discusso dell'obbligo vaccinale.
 
Sono entrambe delle misure coercitive, prese nell'interesse della gestione della cosa pubblica. La limitazione per i non vaccinati, però, credo sia una misura fortemente discriminatoria rispetto all'obbligo vaccinale. Questo, credo, si inserisca nel quadro di una misura positiva (ius positum) che non discrimina parti di una popolazione ma impone un obbligo, per tutti, giustificato coerentemente, da una necessità di gestione della sanità pubblica. La limitazione, invece, pone in sé per sé stessa, una discriminazione che trovo intollerabile, perché una misura "brutta".
 
L'obbligo vaccinale, per cui non sono contrario ma nemmeno lo rivendico come misura risolutiva assoluta, è una reazione di uno Stato, preposto alla gestione della cosa pubblica, che, lasciando prima autonomia relativa al cittadino di porre in essere le azioni richieste, vedendo poi l'inadempienza, ricorre ad una misura di "emergenza".
Leggo e ho letto “libertà”.
A tutti i manifestanti, chiederei, in clima di confronto, cos'è per loro la libertà. Confronto, non distruzione o banalizzazione dell'altro, come invece sempre più spesso molti volti noti della politica o persino divulgatori scientifici hanno dimostrato, "educandoci" al disprezzo dell'altro.
Ancora di più, chiederei se pensano vi sia e quale sia la differenza tra libertà e liceità o arbitrarietà.
 
Perché leggo ovunque un clima di forte inimicizia e incattivimento delle persone che protestano nelle piazze. Ho sentito ragionamenti sul disinteresse nel proteggere chi non può fare il vaccino, “i più deboli”. Farei notare a chiunque ragiona in tal maniera che qualsiasi farmaco moderno, non è in natura. Quindi si smetta di andare in farmacia, si smetta di andare negli ospedali. Si smetta di usare la tecnologia, perché quella in natura non assiste. Si smetta anche di usare i mezzi e si ritorni a camminare a piedi, senza suole e senza medicamenti per le eventuali ferite nei piedi.
Ciò che leggo è una profonda mancanza di cultura della libertà e della responsabilità.
Perché libertà non significa fare ciò che mi pare, anzi.
 
Un adagio più che noto, recita "la mia libertà di fare qualcosa finisce quando inizia la tua libertà al che quel qualcosa non venga fatta".
Immediato: se tu sei a casa tua e io non sono con te, non posso obbligarti a non fumare. Se tu sei a casa mia e tu sei con me, tu non puoi obbligarmi al tuo fumare.
Se però ci troviamo in un luogo pubblico, come ci si comporta? Occorre contemperare entrambe le libertà. Comunicare, insomma.
 
Nella vita di tutti i giorni, però, i rapporti sono profondamente squilibrati perché ognuno di noi si considera con l'altro diseguale. Sovente, ci si considera qualcosa di più, mai qualcosa di meno.
 
Qui, interviene lo Stato, regolando i rapporti tra le persone.
Stessa cosa avviene con la vaccinazione con l’aggravante che si tratta di partecipare al gioco collettivo. Se vogliamo giocare tutti al monopoli, seguo le regole del monopoli. Non gioco a monopoli con le carte francesi da scala quaranta. No? La questione non è così semplice perché la premessa alla base è che le persone si rendano conto e si sentano partecipi al gioco.
 
Quello che ho letto e che vedo è la richiesta di chiarezza, di certezza. E qui, sempre da studente, con l'umiltà quindi del mio ruolo, da ascoltatore, penso che questo problema sia stato creato dalla stessa comunità scientifica.
 
Per una comunicazione essere efficace, ce ne siamo accorti in questi due anni, occorre che entrambi gli attori della comunicazioni abbiano gli strumenti di codifica e decodifica. 
Siamo sicuri che l'intera popolazione generale abbia gli strumenti per decodificare?
I messaggi sono coerenti con lo spirito della Scienza, che è quello di procedere, dubitando, verifica, ipotesi?
 
La sfiducia che ho visto crescere nella popolazione è la sfiducia del vedere la Scienza come fonte di salvezza e certezza. E i dibattiti in televisione di eminenti docenti che, a volte, contraddicevano altri eminenti docenti, non ha fatto bene. Ed è stato uno spiacere da studente vedere questo spettacolo.
 
Perché quel dibattito, all'interno della comunità scientifica, viene visto come una tappa necessaria. Non esiste la verità, esiste il confronto, il dibattito, l'argomentazione.
Se non si ha chiaro questo meccanismo, dal di fuori, il confronto e il dibattito, sembra confusione, non il normale incedere, appunto, della Scienza.
 
Filippo M. R. Tusa
Studente in Medicina alla Sapienza di Roma

16 novembre 2021
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