Gentile Direttore,
tema delle interruzioni volontarie di gravidanza affiora spesso nel dibattito pubblico a causa di un continuo “rimodellamento” legislativo - trasversale nel mondo - spesso e volentieri affrontato dalla politica in maniera ideologica. La recente notizia della decisione dello Stato dell’Oklahoma di vietare l’aborto a meno di utilizzarlo come strumento per salvare la vita della donna nel corso di un’emergenza medica, ha riacceso la discussione.
La divisione tra realtà in cui è o non è giuridicamente possibile eseguire un’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) è fin troppo semplicistica, non tenendo, infatti, conto della reale applicazione del diritto.
In Italia - dove tale diritto è regolamentato dalla legge 194/78 - una donna che decide di accedere ai servizi di interruzione volontaria di gravidanza ha, quasi sette possibilità su dieci (67%) di vedersi negato da un ginecologo/a tale accesso in virtù del diritto all’obiezione di coscienza individuale riconosciuto dall’art. 9 della legge 194/1978 che ha contestualmente sancito la non punibilità delle IVG.
Se analizziamo poi, i singoli casi regionali, emerge il preoccupante dato per cui regioni come il Molise non hanno più alcuna disponibilità di ginecologi non obiettori disposti ad esercitare la pratica.
Da ciò ne deriva che le donne interessate ad abortire e che risiedono in regioni con tassi elevatissimi di obiezione di coscienza saranno inevitabilmente costrette a peregrinare per il resto del Paese alla ricerca di ginecologi non obiettori disposti a completare l’IVG, facendo spesso i conti come, ad esempio, nel caso del Molise o della Basilicata, con infrastrutture carenti.
Non sancisce, però, la stessa legge 194/1978 che per garantire l’accesso ai servizi abortivi deve essere organizzata una adeguata mobilità regionale del personale medico non obiettore? E che quindi dovrebbero essere i medici a spostarsi, e non le donne? Questo è solo uno dei diversi e ormai più che evidenti cortocircuiti interni ad una legge che 44 anni fa poneva un vittorioso freno al fenomeno degli aborti clandestini, ma che oggi si dimostra apertamente insufficiente e lacunosa sul fronte dell’autodeterminazione delle donne. All’obiezione del personale ginecologico si è aggiunta quella degli anestesisti, infermieri, ostetrici e persino - pur essendo fuori da ogni limite legislativo - dei farmacisti per quanto concerne la contraccezione d’emergenza.
Addirittura intere strutture si rifiutano di erogare il servizio, in violazione di una legge che non sembra materialmente più esistere.
I problemi riguardano peraltro anche il lato medico. Essendo, infatti, i ginecologi obiettori la maggioranza del totale, la decisione di performare IVG implica inevitabilmente - nel contesto di una branca specialistica così ampia, che va all’ostetricia alla chirurgia passando per la procreazione medicalmente assistita - una dedizione totale del personale a discapito di attività non meno importanti per la propria carriera professionale.