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Ancora su bioetica e crisi della medicina

di Claudio Testuzza

30 MAG - Gentile Direttore, 
l’ultimo articolo dell’amico Cavicchi (La crisi della medicina e l’assenza della bioetica) pubblicato venerdì scorso dal suo giornale mi da l’occasione di interrogarmi sul significato delle parole e degli atti che coinvolgono i medici e gli operatori della sanità. 

 Intanto cosa si intende per “ bioetica”. Prendo a rifermento questa definizione della Trecani: “Disciplina accademica e ambito di riflessione interdisciplinare che si occupa dell’analisi razionale dei problemi morali emergenti nell’ambito delle scienze biomediche, proponendosi di definire criteri e limiti di liceità alla pratica medica e alla ricerca scientifica, affinché il progresso avvenga nel rispetto di ogni persona umana e della sua dignità”. 

In sintesi indagine speculativa su problemi morali ed etici sollevati in campo medico e biologico da interventi o esperimenti che coinvolgono più o meno direttamente la vita umana o anche animale. 

Se questo è il fondamento del concetto e della prassi che sottende  la complessità degli atti medici, mi sembra opportuno  sottolineare che accanto alla corretta affermazione, ripresa da Cavicchi, dal libro di Luisella Battaglia (“Bioetica”) che individua il malato, per definizione, un soggetto vulnerabile,  sia da riferire, questa sofferta definizione, anche per il medico. 

Non si tratta, dunque, solamente di spazi organizzativi, di servizi e di strutture, ma dell’agire di un uomo difronte alle avversità di un altro uomo. Della scelta  di scegliere, di operare, di adoperarsi per alleviare  o annullare la malattia. E’ questa la scelta etica che è deve essere alla base della medicina e dell’operatore. 

Cavicchi, per averle anche vissute, sa bene cosa siano l’ansia, il dolore, il dubbio che ci colpiscono di fronte ad una malattia ad una diagnosi: amputare o meno un arto in cancrena, scegliere il nascituro o la madre, dire o non dire la gravità della malattia. In tanti di questi momenti è l’etica di una professione vissuta come dignità che ci impone di agire. In quei momenti vengono portati alla nostra attenzione gli elementi che costituiscono il concetto di ordine naturale che per tanti secoli ci ha accompagnato nella sviluppo delle conoscenze. Ma sappiamo anche di non essere      “ soprannaturali “ ma terreni, limitati, dubbiosi e per questo vulnerabili.                     

Non è presente una giustapposizione fra medico e paziente, ma un intimo dialogo fra terapeuta e malato. 

La necessità è, quindi, dare all’operatore i dettami e i limiti del comportamento da seguire. 

Questo è quello a cui deve sottendere un  “codice” deontologico di una professione che, questa sì,  è “impareggiabile”. 

Claudio Testuzza

30 maggio 2022
© Riproduzione riservata

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