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La mobilità sanitaria attiva non solo può ma deve avere un budget

di Claudio Maria Maffei

30 MAG -

Gentile Direttore,
lo scorso venerdì con un suo intervento Ettore Jorio ha su queste pagine riportato l’attenzione sul fenomeno della mobilità sanitaria. A tal  proposito ha criticato il fatto che alla Regione di provenienza venga “accollata la corresponsione del corrispondente DRG dovuto al prestatore, da liquidarsi, e conseguentemente pagarsi, nella sua interezza a seguito della compensazione della mobilità effettuata in sede nazionale di solito ogni biennio”.

Considera poi peggiorativo il fatto che sia frequente “la previsione nel budget annuale, da convenirsi contrattualmente, anche di prestazioni da effettuare in favore di una utenza extraregionale, la c.d. mobilità attiva.” Ipotizza infatti che in questo modo si verrebbero distrarre dolosamente le risorse destinate al soddisfacimento dei Lea della propria popolazione con una “chiara distrazione di somme penalmente rilevante” e “produttiva di un equivalente danno erariale”. Ritengo opportuno fare chiarezza su queste affermazioni  perché a mio parere il budget per la mobilità attiva va governato, ma va previsto.

Il punto di partenza che il professor Jorio non prende in considerazione è che in sede di riparto del Fondo Sanitario non si riconosce ex post la mobilità attiva (o passiva) di due anni prima, ma si finanzia quo ante la mobilità attiva dell’anno di riferimento per un importo pari al saldo di mobilità di due anni prima. Il che è cosa ben diversa. In questo modo si consente alle Regioni con saldo attivo di continuare a garantire le prestazioni ai cittadini delle altre Regioni avendo già un finanziamento dedicato. Ovviamente le Regioni con saldo passivo cedono per così dire alle Regioni con saldo attivo un pezzetto del proprio Fondo Sanitario, una partita che vale oltre 4 miliardi l’anno. Quindi per assurdo ci sarebbe distrazione di fondi se il finanziamento aggiuntivo per la mobilità attiva ricevuto da una Regione venisse riservato ai suoi cittadini.

Quindi un budget, e quindi un tetto, per la mobilità attiva può esserci. Aggiungo che ci deve essere perché in assenza di un budget dedicato le strutture private, che sono proporzionalmente quelle  che lavorano di gran lunga di più in mobilità attiva, tendono in assenza di tetti che la blocchino ad aumentare sempre più la produzione per i residenti nelle altre Regioni. Un aumento così spiccato in epoca pre-Covid (poi il Covid ha provveduto lui a calmierare i flussi di mobilità sanitaria) da costringere la Conferenza delle Regioni ad abbattere d’ufficio della metà almeno gli incrementi annuali di produzione in mobilità attiva delle Regioni.

Fa comunque bene il Professor Jorio a richiamare l’attenzione sul fenomeno della mobilità sanitaria cui andrebbe data una attenzione diversa sia i termini di monitoraggio che di regolamentazione. In termini di monitoraggio gli ultimi dati disponibili risalgono al 2019, con dati oltretutto disponibili solo come macroaggregati. Le matrici di mobilità con cui le Regioni si scambiano i dati sono di fatto secretate e sono solo con ritardo di due anni allegate al documento istruttorio per il riparto del fondo sanitario in una forma che non consente alcuna analisi, come  ad esempio quella sul peso della quota di mobilità di confine.

A proposito della mobilità di confine, c’è poi un evidente difetto di regolamentazione. Gli accordi di confine evocati più volte come strumento fondamentale per il governo della mobilità sanitaria sono finiti nel solito cono d’ombra riservato a tante buone idee in attesa di una loro concretizzazione. Anzi, Regioni che ne avevano tre come le Marche (li aveva con Umbria, Emilia-Romagna e Toscana) non ne hanno più nemmeno uno.

In una situazione così per fortuna ci sono i budget per la mobilità attiva che consentono se ben usati non solo di limitarla, ma anche di orientarla. Ma anche questi budget debbono oggi essere ripensati perché se ai cittadini il SSN in difficoltà nega sempre più le prestazioni, a forza di tetti si sposteranno le prestazioni  nel mercato privato e nel circuito delle Assicurazioni.

Claudio Maria Maffei



30 maggio 2022
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