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Ma i servizi sanitari si occupano delle diseguaglianze?

di Giorgio Simon

27 GIU -

Gentile Direttore,
il PNRR e molti altri atti di programmazione sanitaria degli ultimi anni pongono l’accento su due cambiamenti importanti che influenzano lo stato di salute generale e l’impegno del servizio sanitario: l’incremento della prevalenza delle malattie croniche e l’invecchiamento della popolazione. Attorno a questi temi si definiscono obiettivi di medio termine, organizzazione dei servizi e percorsi formativi del personale sanitario.

C’è però un ulteriore tema trasversale che troppo spesso è ignorato o messo in secondo piano.  Il tema è quello delle crescenti diseguaglianze di accesso ai servizi e di esiti di salute nella popolazione italiana, in poche parole la progressiva riduzione dell’equità del Servizio Sanitario Nazionale; equità ulteriormente messa in discussione dalla pandemia Covid.

È ormai risaputo da anni che le persone più povere e meno istruite hanno peggiori abitudini di vita (fumo, alcol, alimentazione, movimento), usano meno la prevenzione, si ammalano di più, hanno minore accesso ai servizi e minore speranza di vita. Il recente rapporto BES (Benessere Equo e Sostenibile dell’ISTAT) ha messo in evidenza che le persone meno istruite sono morte più di Covid rispetto al resto della popolazione.

Altri studi italiani hanno dimostrato che chi vive in condizioni affollate, ha un reddito più basso, un più basso livello di istruzione si è ammalato ed è morto di più. Se il livello di istruzione ha una funzione “protettiva” per la salute, la didattica a distanza ha aumentato il divario tra ricchi e poveri, riducendo le opportunità di promozione sociale che la scuola può fornire alle famiglie più disagiate.

Se questi e molti altri ancora sono gli indicatori la domanda è: il PNRR, il DM 77 ci porteranno ad occuparci delle diseguaglianze? La risposta probabilmente è che se ne occupano solo in parte e principalmente in riferimento alle diseguaglianze territoriali Nord- Sud. Credo invece che proprio ora la scommessa sia tutta aperta.

Se, come scritto nel DM 77, dobbiamo attivare infermieri di “comunità”, case “di comunità”, ospedali di “comunità” bisogna rovesciare il paradigma che ci porta a prendere in carico principalmente di chi accede ai servizi e non l’intera comunità. Dovremmo invece preoccuparci soprattutto di chi ai servizi non accede, di chi rinuncia alle cure, di chi sta al margine, di chi abbandona la scuola precocemente, dei poveri, dei lavoratori poveri, dei bambini poveri e delle famiglie povere.

Per questo bisogna aggiungere alle solite “emergenze” dell’invecchiamento e della cronicità quella delle diseguaglianze. E dobbiamo pensare a servizi, distretti, ospedali, operatori che siano capaci di riconoscere, affrontare e farsi carico del disagio e della povertà. Siamo bravissimi a produrre e misurare PDTA sulle singole malattie, molto meno a occuparci dei cittadini, del loro disagio e del loro destino. Ora probabilmente è arrivato il momento di rovesciare il paradigma.

Giorgio Simon

Già direttore generale AAS 5 Friuli Occidentale



27 giugno 2022
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