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Sentenza del Tar Lazio: il medico radiologo deve essere presente a tutela del cittadino

di Stefano Canitano

25 AGO - Gentile Direttore,
il TAR del Lazio ha finalmente posto fine a una disputa senza grande fondamento, sancendo un principio chiave per la tutela dei pazienti. Non è possibile eseguire esami che prevedano l’esposizione a radiazioni ionizzanti senza la presenza di un medico, e nella fattispecie senza la presenza di uno specialista in Radiodiagnostica, come già nel frattempo stabilito dalla legge 101/2020.

Il TAR ha respinto un ricorso della Regione Veneto, che chiedeva l’annullamento delle “linee guida per le pratiche radiologiche clinicamente sperimentate” (art.6, DL187/2000, GURI n°261 9/11/2015) per “eccesso di potere per sviamento, irragionevolezza e manifesta illogicità”, ricorso contro il quale si erano costituiti in giudizio la Società Italiana di Radiologia Medica insieme al Ministero della Salute, ai quali si erano associati SUMAI-Assoprof e la FNOMCeO.

Nel merito la sentenza in primis enuncia l’infondatezza del ricorso, essendo cambiato il quadro normativo di riferimento con l’approvazione del DLgs 101/2020 in attuazione della direttiva 2013/59/Euratom che ha abrogato la 187/2000, nel quale (art.161 comma 1) è prevista l’adozione e l’applicazione delle “linee guida per le procedure radiologiche clinicamente sperimentate e standardizzate” pubblicate nella G.U. 261 del 9/11/2015. 

Il Collegio sancisce come infondata anche la seconda motivazione del ricorso, riguardante la natura delle linee guida, indicate come “atti atipici” dai ricorrenti, mentre la sentenza ne legittima il potere amministrativo vincolante, a prescindere dalla loro assimilazione a regolamenti veri e propri e quindi ne esclude la natura atipica.

Il nodo professionale più rilevante, a parere del sottoscritto, risiede nel terzo e nel quarto motivo di ricorso, strettamente correlati, nei quali i ricorrenti rivendicano l’ingerenza nella organizzazione del lavoro regionale, ed in particolare dell’uso della teleradiologia e telerefertazione delle sedi periferiche, così come interpretata dalle Regioni, intervenendo, sempre secondo i ricorrenti, in lesione delle disposizioni costituzionali relative alle competenze in Sanità. 

Queste considerazioni, afferma la sentenza, non tengono conto di quanto espresso nella 187/2000 relativamente alla necessità di “una applicazione uniforme sul territorio nazionale e di assicurare l’uso appropriato delle risorse umane e strumentali del Servizio Sanitario Nazionale” e che tali norme mirate alla radioprotezione sono già patrimonio di istituti a valenza nazionale, quali l’Istituto Superiore di Sanità e le Società Scientifiche competenti, fra le quali l’opponente al ricorso Società Italiana di Radiologia. 

Aggiunge la sentenza, a chiosa finale, che “l’espressa finalità delle previsioni normative, ossia la protezione dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti dei pazienti, non esclude, anzi inevitabilmente coinvolge, profili organizzativi necessari ad assicurarne l’effettivo perseguimento a livello amministrativo, anche allorché, come nel caso di specie, essi si risolvano nel prevedere la presenza di personale medico specializzato o la possibilità per il medico radiologo di modificare il protocollo di esecuzione in relazione alle esigenze cliniche del paziente.”

Non ci sarebbe altro da aggiungere a questa conclusione, se non che non vi è altra pratica a tutela dei pazienti che la irrinunciabile presenza del medico radiologo nel corso di esami diagnostici durante i quali vengono esposti pazienti a radiazioni potenzialmente pericolose, il cui uso inappropriato rappresenta un rischio inaccettabile e un vulnus alla sicurezza delle cure.

Stefano Canitano
Presidente della Sezione di Studio “Etica e Radiologia Forense” della Società Italiana di Radiologia Medica
Responsabile del Dipartimento dei Servizi della ASL di Rieti

25 agosto 2022
© Riproduzione riservata

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