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Se vince la Destra per la sanità cambierà qualcosa?

di Antonio Panti

19 SET -

Gentile Direttore,
i programmi e le dichiarazioni elettorali delle forze politiche e le osservazioni e le proposte di personalità o di associazioni professionali hanno dato forma, su QS, a un interessante dibattito che provoca qualche riflessione.

Come appaiono piuttosto simili le proposte politiche (il che mostra una scarsa attenzione ai valori sostanziali del servizio sanitario quasi fossero dati e non da riconquistare ogni giorno) così la massima parte dei commenti degli osservatori si accentra sulla soluzione delle criticità, raramente affrontando la questione basilare, cioè la garanzia del mantenimento della sanità pubblica così come prevedeva la 833.

Mi ha colpito come fossero più frequenti le critiche alla sinistra, quasi questa fosse l’unica depositaria di un possibile pensiero riformista, e quanto raramente e timidamente si ponessero domande alla destra, che in passato ha governato per molti anni la sanità e che, a quanto sembra, si appresta a governarla in futuro, almeno secondo le previsioni più attendibili.

Nel rimarcare con puntigliosa acribia gli errori della sinistra si dimentica che per intere legislature, negli ultimi trent’anni, la destra ha governato e non risulta che abbia mai cambiato alcunché di significativo né affrontato le patenti criticità del servizio che la pandemia ha solo accentuato.

Comunque, nel leggere i programmi elettorali, sembra scontato il mantenimento dei valori fondanti il servizio sanitario, l’universalità del diritto e l’uguaglianza dele prestazioni. Quindi dobbiamo dare assistenza, in quanto persone, anche agli immigrati irregolari. E’ sottinteso?

Ma il problema basilare è la sostenibilità. Non è facile trovare le risorse per soddisfare i diritti in gioco nella sanità di fronte ai costosi strumenti che la medicina moderna offre alle attese sociali. Allora le vere domande a cui non troviamo risposta, e che vanno poste a chi governerà, riguardano alcune dirimenti questioni.

Primo, il finanziamento cioè la garanzia che comunque non si scenderà al di sotto della percentuale del PIL analoga a quella dei maggiori Stati europei, quale che sia il regime fiscale adottato; secondo, i limiti all’autonomia regionale in modo che non ne soffra l’uguaglianza tra cittadini; terzo, il divieto di affidamento “chiavi in mano” al privato di settori del servizio, sostituendo il pubblico o distorcendone i vincoli programmatori; quarto, la definizione legislativa della governance professionale.

Le proposte elettorali sulla sanità offrono soluzioni parziali, rattoppi talora anche corretti, ma che non affrontano le questioni principali perché queste non hanno luogo nella discussione sulla sanità, chiunque governi, ma nei programmi economici generali e allora sarebbe stato bene appuntare la discussione su questi aspetti, in particolare sul programma di politica economica della destra.

E se vincesse il PD? Certamente il confronto si svolgerebbe all’interno del quadro valoriale che ha sostanziato il servizio sanitario, verificando le proposte e la correzione di pregressi errori. Nell’altro caso, quel che possiamo comprendere dai programmi della destra preoccupa sul versante dell’autonomia regionale e dell’affidamento al privato di parti del servizio.

Mi è giunto per posta un unico santino elettorale da parte di Salvini che proclama perentorio: “via il numero chiuso a medicina”. Immagino che sia il suggerimento di qualche consulente che non vede oltre la punta delle scarpe. Questo è il vero dilemma, che i programmi su una questione politica e sociale come la sanità, che la modernità ha collocato al culmine della difesa dei diritti di cittadinanza, sia stata oggetto di così scarse e inadeguate proposte da parte di tutte le forze politiche.

Da un lato appare evidente come le professioni abbiano perso un’occasione unica per difendere il servizio con un’azione unitaria la cui mancanza peserà sul futuro, dall’altro il non aver approfondito in una discussione più vasta le posizioni della destra che oscillano tra nazionalismo e iperliberismo lascia prevedere un lungo periodo di assestamento dei rapporti tra governo e professioni con un’ulteriore perdita di tempo e un incremento del generale clima di incertezza.

Antonio Panti



19 settembre 2022
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