Gentile Direttore,
in questo momento storico, dopo un lavoro di ricognizione che ha palesato la disomogeneità italiana relativamente alla presenza della Psicologia nelle organizzazioni sanitarie, è in fase di costituzione il Coordinamento dei Direttori di Struttura Complessa di Psicologia e, proprio da questo vertice osservativo, riteniamo utile partecipare al dibattito in corso.
Risulta superfluo qui sottolineare come, specie nella fase post pandemica, i bisogni psicologici siano fortemente rappresentati in tutte le fasce di età e, con loro, la richiesta di una risposta da parte del SSN.
Si rende quindi sempre più necessario un lavoro di intercettazione precoce dei bisogni psicologici all’interno di un sistema che operi una funzione che va dal sostegno alla salute, ispirato al welfare di comunità, che contempla anche il benessere organizzativo, fino al livello di intervento specialistico, in ambito di patologia acuta o cronica non necessariamente psichica. Teniamo conto infatti dell’importanza della componente psicologica nel processo di cura e di assistenza di tante malattie fisiche e problemi di salute di salute, sino ad arrivare al tema del dolore e delle cure palliative.
Questa cornice comporta una ridefinizione della responsabilità della psicologia nel sistema delle cure. Da un lato, naturalmente, agli Psicologi impegnati nel territorio fanno capo interventi «in linea» con i compiti propri della professione nell’ambito della Salute Mentale, delle Dipendenze e dei servizi per i disturbi del neurosviluppo e dell’infanzia, della Disabilità, dei Consultori e dei Centri per la Famiglia; dall’altro si affianca una responsabilità della psicologia a livello delle «cure primarie» e della «integrazione sociosanitaria delle cure».
La funzione aziendale di Psicologia, riguardo alla quale sono in via di approvazione da parte della Consulta Stato Regioni le Linee guida, rappresenta in questa ottica una azione di coordinamento ed omogeneizzazione delle attività psicologiche, ma anche di una coerente integrazione trasversale con i vari ambiti organizzativi nei quali gli psicologi prestano la loro opera.
Il modello della filiera della psicologia proposto, che ha una visione ampia è ben collocata in una società che fa del concetto “One Health” la sua chiave di lettura.
Intendiamo sottolineare che, contrariamente a quanto alcuni paventano, questa modellizzazione non è volta a scardinare il lavoro d’équipe multidisciplinare. Basti pensare alla realtà dei trapianti d’organo o alla presa in carico delle malattie croniche dove, proprio per offrire la massima competenza, l’organizzazione prevede un’équipe i cui operatori afferiscono ognuno alla struttura di riferimento. L’organizzazione, in questo modo, è più complessa ma maggiormente in grado di garantire una visione di sistema rispetto al proprio specifico e, al contempo, un intervento ad elevata specificità.
All’interno delle strutture ospedaliere, così come nei servizi territoriali delle cure primarie o nei servizi consultoriali, sono anni che questo modello organizzativo funziona ed è l’unico che si è dimostrato in grado di garantire l’integrazione e la multidisciplinarietà degli interventi al complesso delle attività, senza limitarla a quelle poche strutture che riescono ad avere tutte le figure al proprio interno.
Non si può leggere la complessità dell’organizzazione sanitaria e attuare un’azione di sistema, oggi più che mai fondamentale di fronte al binomio aumento esponenziale dei bisogni/risorse limitate, solo a partire dal cono di lettura parziale di un campo specialistico.
La funzione aziendale di Psicologia cerca di organizzare ed omogenizzare una situazione che già è realtà in molti contesti e di prendere atto che, progressivamente, la missione della Psicologia si è estesa a gran parte delle attività delle aziende sanitarie, includendo anche importanti funzioni a supporto del personale sanitario e dell’organizzazione in quanto tale.
Non è un caso che oggi la presenza di psicologi, ancorché insufficiente e limitata, è già estesa in moltissimi e diversificati servizi in ambito territoriale ed ospedaliero anche se la mancanza di un coordinamento impedisce una reale programmazione su base aziendale. Come dimostra l’attuazione della legge 251 o altre situazioni (es. Farmacisti, Assistenti Sociali, ecc.) il coordinamento delle risorse lungi dallo sguarnire i servizi rende la multidisciplinarietà figlia di una gestione e non del caso e quindi offre una risposta migliore ai cittadini. Pensiamo, infatti, soprattutto agli utenti, perché i servizi devono rispondere a loro e non ad altri tipi di esigenza.
Maria Simonetta Spada
Margherita Papa
Direttore UOC Psicologia USL Toscana Sud Est