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Cure Domiciliari: il “modello Lazio” e il contributo essenziale degli erogatori accreditati

di Roberto De Cani

15 NOV -

Gentile Direttore,
negli ultimi due anni le cure domiciliari hanno assunto una rilevanza mai avuta prima sia negli atti della programmazione sanitaria, sia nell’attenzione del grande pubblico. È ormai noto che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha fissato l’obiettivo di assistere a domicilio almeno il 10% degli over 65 entro il 2026 e che per raggiungerlo sono state destinate risorse per circa 2,7 miliardi di euro.

L’evoluzione delle cure domiciliari parte con l’inserimento dell’ADI nei Livelli Essenziali di Assistenza del 2017, che danno per la prima volta una definizione estesa di Cure Domiciliari: l’insieme delle prestazioni mediche, infermieristiche e riabilitative erogate a domicilio, unitamente agli accertamenti diagnostici, alle forniture di farmaci, dispositivi medici e diete nutrizionali. Questa concezione integrata è oggi ripresa da alcune regioni in un’ottica di “sistema allargato” di cure domiciliari, ma che non trova ancora una dimensione erogativa unitaria che invece genererebbe un’efficace ed effettiva presa in carico del paziente cronico, multicronico e fragile assistito a domicilio.

Più recentemente, come noto, abbiamo assistito all’equiparazione delle cure domiciliari con gli altri ambiti sanitari soggetti alla disciplina autorizzatoria e all’accreditamento, fino alla definizione, nell’accordo tra il Ministero e le Regioni, dei requisiti minimi organizzativi, tecnologici e strutturali di accreditamento uniformi a livello nazionale.

La Regione Lazio è stata precursore di questa svolta con l’avvio del sistema di accreditamento già a inizio 2020, che ha visto crescere la fondamentale collaborazione con il Sistema Sanitario degli oltre 30 enti privati accreditati attivi in Regione. Oggi si può effettivamente parlare di “Modello Lazio” sia perché i requisiti nazionali sono stati mutuati da quelli laziali, sia perché sono presenti alcuni elementi peculiari che rappresentano un indubbio valore aggiunto:

la capacità del sistema di prendere in carico pazienti con profili che necessitano interventi ad alta intensità assistenziale;

la possibilità di erogare nei PAI esami diagnostici domiciliari che sono parte del percorso di cura del paziente;

la compresenza e collaborazione tra erogatori pubblici e privati in un sistema di offerta misto che può rispondere con più efficienza e flessibilità agli indirizzi della programmazione sanitaria.

Oggi il Sistema Sanitario laziale (dati di Italia Longeva del 2021) eroga cure domiciliari a circa il 2,73% degli over 65 e al 4,68% della popolazione over 75. Secondo le stime del Ministero della Salute, per raggiungere il target del 10% fissato dal PNRR, la Regione Lazio deve triplicare le assistenze domiciliari oggi attivate, incrementando il totale degli assistiti di circa 100.000 persone.

Se da un lato le risorse allocate non mancano (per la sola Regione Lazio si aggirano complessivamente intorno a 400 milioni di euro nel prossimo triennio), dall’altro il problema da affrontare non può essere solo un mero aumento dei pazienti: ad un incremento quantitativo deve corrispondere anche un aumento qualitativo delle prestazioni erogate a domicilio per garantire appropriatezza, gestione globale del paziente, supporto ai caregiver e presa in carico continuativa dei bisogni assistenziali. Una possibile strada è rappresentata dalla definizione di percorsi di cura legati alla gestione domiciliare delle cronicità e delle relative terapie erogate a domicilio. Per esempio se si definisse un profilo “ADI respiratorio” con cui attivare, su specifici cluster di pazienti, anche periodici accessi sanitari domiciliari di follow up e di monitoraggio dei parametri vitali (anche in telemonitoraggio) e di riabilitazione respiratoria si otterrebbe un significativo miglioramento dell’aderenza terapeutica, la possibilità di prevenire riacutizzazioni e insorgenze di altre patologie e in generale una efficace presa in carico del paziente spesso anziano, fragile o non autosufficiente.

Ugualmente, prevedere in sinergia con i reparti ospedalieri percorsi strutturati e omogeni su tutto il territorio regionale di dimissioni protette porterebbe ad un alleggerimento della pressione sulle strutture e sulle liste d’attesa e ad una riduzione dei ricoveri prolungati per mancanza di alternative, grazie a percorsi domiciliari strutturati con modalità assistenziali più intense nel primo periodo per stabilizzare il quadro clinico e rendere quantomeno autonomo il paziente.

Queste proposte non possono non considerare la criticità che colpisce tutta Italia ma con una netta situazione emergenziale in Lazio: la carenza di personale sanitario soprattutto infermieristico, che è condizione indispensabile per potenziare l’assistenza domiciliare. Un’azione necessaria per rendere attrattivo questo ambito assistenziale è una più equa valorizzazione economica dei professionisti e delle organizzazioni accreditate, rivedendo e attualizzando le tariffe, come molte regioni stanno facendo anche alla luce delle risorse aggiuntive previste. Rendere sostenibile e attrattivo il setting domiciliare anche con una giusta valorizzazione economica è la prima condizione per garantire i livelli di presa in carico attuali e incrementarli secondo gli obiettivi PNRR.

Recentemente, nel corso di diversi interventi pubblici, l’Assessore D’Amato ha riconosciuto il valore degli erogatori privati accreditati che sono oggi la spina dorsale delle cure domiciliari, lanciando un vero e proprio appello ad una nuova alleanza tra pubblico e privato per potenziare la capacità del sistema di rendere “la casa come primo luogo di cura”. È un appello che gli Homecare Provider accreditati raccolgono con favore in un’ottica propositiva e collaborativa per garantire cure domiciliari sempre più adeguate ai nuovi bisogni clinici e assistenziale e per migliorare la qualità di vita dei pazienti e delle loro famiglie.

Roberto De Cani

Referente ADI - Unindustria Lazio Sezione Sanità



15 novembre 2022
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