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Il calvario di un paziente-medico in Pronto soccorso

di Vincenzo Tegazzin e Massimo Tosini

11 GEN - Gentile Direttore,
è ormai notorio che la L.833/78, istitutiva del Servizio sanitario nazionale (d’ora in poi Ssn), sia la più grande riforma strutturale del nostro Paese dal secondo dopoguerra e, la prevenzione, la cura e la riabilitazione, ne rappresentano i pilastri fondamentali. È altresì evidente che, con la riforma del titolo v della Cost., si siano venuti a creare 21 sistemi sanitari regionali concorrendo, in tal modo, a creare forti diseguaglianze fra i cittadini sia in termini di accesso alle strutture, sia con riferimento alla qualità delle prestazioni.

La carenza ormai cronica di personale, il sottofinanziamento, la riduzione dei posti letto negli ospedali e la mancanza di strutture alternative sul territorio, a cui il DM 77/2022 cerca di porre rimedio, ma senza dimenticare la pandemia, hanno sostanzialmente portato quasi al collasso il nostro Ssn.

Oggi, purtroppo, il sistema è molto più malato di coloro che cura e necessità quindi di un radicale intervento di riforma (il DM citato va in questa direzione), ma attraverso un salto di paradigma: dalla patogenesi alla salutogenesi!

Le carenze strutturali del Ssn colpiscono anche laddove insistono eccellenze e, a tal fine, desideriamo esporre un recente caso avvenuto nell’Aou di Padova.

Un paziente-medico, trasportato con l’ambulanza al Pronto Soccorso (d’ora in poi Ps), semiparalizzato e in grave pericolo di situazione medica irreversibile, è stato accolto con codice verde!?! Solo dopo due ore, completamente paralizzato, veniva visitato da un ortopedico che, dopo mezz’ora, faceva rivedere dal proprio responsabile.

Solo grazie alla negoziazione tra pari, si è convenuto di sottoporre a Rmn il paziente-medico a chiarimento di altra Rmn eseguita 5 gg prima presso altra struttura. Erano già passate 4 ore dall’arrivo in Ps. Il trasporto dal Ps alla Neuroradiologia, l’esecuzione dell’esame diagnostico, il ritorno in Ps e, a seguire, il ricovero in Neurologia, ma senza poter essere sottoposto a neuroradiologia diagnostica per il forte sospetto di una fistola arterovenosa della dura madre con edema del cono midollare che poteva risolversi in un infarto del midollo e conseguente emiparesi.

Lasciamo ai lettori immaginare lo stato d’animo del paziente-medico dovuto alla condizione clinica, ai tempi d’attesa e alla disorganizzazione comunicativa tra il Ps e reparti di degenza e senza tralasciare il fatto che doveva lui, pregare un infermiere perché gli mettesse un catetere vescicale per evitare il rischio di un riflesso vagale da distensione vescicale.

A causa delle lungaggini organizzative e logistiche il paziente-medico doveva aspettare il giorno successivo per essere sottoposto a indagine radiodiagnostica che, iniziata alle nove del mattino, si concludeva alle tredici. Ricevute le dovute rassicurazioni, si sottoponeva a intervento, iniziato alle ore 16:30 e concluso alle 20:00, con chiusura definitiva della fistola e successivo ricovero in neurochirurgia.

Nonostante l’errore iniziale, l’assegnazione di un codice verde in Ps di un paziente paralizzato, le interminabili ore d’attesa e la disorganizzazione comunicativa tra i nodi del sistema, il caso ha avuto un esito fausto grazie alla competenza e all’impegno dei medici e del personale sanitario, ma soprattutto grazie al reciproco ascolto tra pari: da un lato i medici che hanno preso in carico il paziente e, dall’altro, il paziente-medico perfettamente lucido e consapevole del suo quadro clinico.

In forza dell’esperienza testé descritta ci chiediamo:

1) è forse opportuno rivedere la gestione del triage coinvolgendo il medico nella sua validazione?

2) non è forse necessario ricostruire una relazione empatica tra medico e paziente con conseguente risparmio di tempo e energie?

3) è conveniente far tornare l’ospedale pubblico luogo deputato alla gestione delle patologie acute?

4) è urgente rilanciare il nostro Ssn ispirato al principio universalistico?

L’articolo di Luciano Fassari del 2 dicembre scorso, indica le sfide che dovranno essere affrontate nel corso dell’anno corrente. In forza del già citato DM 77/2022, a parere di chi scrive, le Case di Comunità dovranno essere riempite di nuovi contenuti per non essere trasformate in meri poliambulatori polispecialistici. Come dicevamo all’inizio, per fare ciò è necessario un salto di paradigma: dalla patogenesi alla salutogenesi!

Solo contrastando le patologie non trasmissibili, vere e proprie epidemie del mondo opulento, sarà possibile contrastare gli sprechi, liberare risorse e far tornare l’Ospedale alla sua vera funzione: curare le patologie acute! Agli Ospedali di comunità il compito di gestire la fase post acuta e alle Case di comunità, dotate di personale adeguato e di nuove professioni (LM 67!?!), il compito di conservare la salute piena o residua dei cittadini.

Dott. Vincenzo Tegazzin
Paziente-medico

Massimo Tosini
Sociologo della Salute e socio ASSD

11 gennaio 2023
© Riproduzione riservata

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