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Salute mentale. Perché dobbiamo parlare di coazione benigna

di Gemma Brandi, Mario Iannucci

02 MAG -

Gentile Direttore,
Barbara Capovani è la psichiatra pisana che sarebbe stata uccisa brutalmente per mano di un uomo portatore di una severa sofferenza mentale, noto da venti anni agli organi pubblici della Salute Mentale toscana. Si tratta di un cittadino italiano figlio di un uomo cinese, che avrebbe abbandonato la famiglia e vivrebbe in California, e di una donna di Napoli che ha lasciato quella città pare per sottrarre la prole a influenze familiari che non riteneva positive. Se il minore dei figli della donna avesse trovato una sua collocazione sociale più che soddisfacente, questo non sarebbe accaduto al primogenito.

La diagnosi che la Dottoressa Capovani aveva formulato a suo carico nel 2019 è di quelle agghiaccianti e imbarazzanti per ogni specialista in psichiatria: disturbo di personalità paranoide, narcisistico ed antisociale, associato con una consapevolezza lucida circa il disvalore delle sue scelte trasgressive.

Agghiacciante tale diagnosi lo è per evocare il pericolo che i disturbi di personalità in causa sottendono e la scarsa presa che i farmaci hanno su tali sofferenze strutturali; ma è anche imbarazzante, perché una somma di diagnosi rinvia a una incertezza diagnostica e perché viene introdotta la supposta capacità di intendere o di volere dell’imputato, destinata a ricacciare il paziente fuori della porta di una competenza prognostica e terapeutica, oltre che diagnostica. È quanto sarebbe accaduto a Gianluca Paul Seung, stando alle segnalazioni dei suoi familiari e al collage anamnestico che la stampa ha provato a mettere insieme.

Le parole composte e l’atteggiamento addolorato del Procuratore della Repubblica di Pisa, nella intervista rilasciata poco dopo l’arresto dell’uomo, sono utili, insieme a quelle scomposte rilasciate da alcuni specialisti in psichiatria e da esponenti politici direttamente coinvolti, per comprendere meglio come questa e una miriade di altre storie mettano in scacco le istituzioni chiamate a lavorare insieme per prevenire le tragedie prevedibili e dunque potenzialmente prevenibili.

Ha detto Giovanni Porpora, a proposito dell’imputato: “Si entra nel campo dello psichiatrico, dove è difficile trovare qualcosa di razionale… Soggetti che, oltre ad essere colpevoli, sono a loro volta vittime, oggi, di una società che forse non è in grado di prendersi carico di queste tipologie di soggetti…”.

Il magistrato mette il dito nella piaga, facendo comprendere come la Giustizia sia portata fuori strada da condotte che nulla hanno di spiegabile su una base razionale, in quanto ispirate dalla follia.

La follia tende a intrudersi nei vuoti lasciati dalla rete istituzionale, a confondere le acque, a generare scelte irrazionali, se le istituzioni che non sono preposte a dare una lettura della follia, appunto, non vengono supportate da quelle a ciò preposte, pertanto deputate alla scelta e alla indicazione di percorsi terapeutici, in senso allargato e dunque ben oltre i farmaci, percorsi che siano in grado di attutire il rischio di caduta libera di persone imbrigliate da idee che aprono a comportamenti apparentemente inspiegabili. Il limite che “queste tipologie di soggetti” reclamano non è un limite punitivo, ma un limite che cura: la luminosa virtù del limite, appunto.

È dunque indispensabile una cooperazione interistituzionale e interdisciplinare che permetta di porre un argine degno dello scopo qui indicato. Nessuna istituzione da sola se la caverà con “queste tipologie di soggetti”, mentre insieme le istituzioni potrebbero assai di più di quanto sia immaginabile a tutta prima.

È un lavoro di ricamo a più mani, di messa a punto di strumenti adatti e sottoposti a un controllo interprofessionale, gli stessi che permettono di raggiungere risultati di salute e sicurezza. Le parole di alcuni specialisti in psichiatria intervistati -“I delinquenti non sono pazienti…”- e di politici che hanno parlato pubblicamente del cittadino toscano, Gianluca Paul Seung, come di uno “spietato assassino”, mostrano quale ignoranza profonda attanagli gli organismi chiamati a definire la cura di “queste tipologie di soggetti”.

Una ignoranza che va sposa al panico psichiatrico difronte alla responsabilità introdotta dalla posizione di garanzia. Tale panico porta la psichiatria odierna a teorizzare come imprevedibile e non prevenibile quasi ogni condotta psicopatologica, persino il suicidio di un paziente schizofrenico in crisi che rifiuti le terapie antipsicotiche da giorni e che chieda di essere ricoverato senza ottenere l’accoglienza auspicabile.

Vale la pena rammentare come la posizione di garanzia dello psichiatra comporti il rischio di coinvolgimento colposo del professionista solo quando una condotta aggressiva di un malato di mente sia dimostrato essere stata prevedibile e dunque prevenibile, situazioni davvero eccezionali nel curriculum di uno psichiatra attento quanto un chirurgo alla sua pratica.

Franco Basaglia usò uno stratagemma per chiudere i manicomi, consistente nell’escludere dalle competenze della novella Salute Mentale ogni forma di dipendenza patologica -i Disturbi da Dipendenza sono quadri psicopatologici nel Manuale Statistico Internazionale dei Disturbi Mentali e in tutti i Paesi a occuparsene è la psichiatria- e gli autori di gesti aggressivi che comportassero l’intervento della Giustizia.

Questo peccato originale ha nondimeno permesso la chiusura degli Ospedali Psichiatrici e la nascita di una Salute Mentale estesa sul territorio e oggi quarantacinquenne. Si sarebbe potuto credere che fosse tempo per aprire la Salute Mentale ai campi impropriamente e strategicamente abbandonati. La spinta non ha però seguito la via di una decostruzione perseverante dell’internamento giudiziario, come auspicavamo alla fine degli anni ’90, bensì la strada di una trasgressione speculativa guidata dalle tonanti e scandalizzate parole di un Presidente della Repubblica che definì gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari “luoghi indegni di un Paese appena civile”.

La sgangherata e ideologica risposta ai problemi della trasgressione dettata dalla follia ha portato al varo delle cosiddette REMS, navigli in balia delle onde, alla cui guida non sono Giustizia, Sicurezza e Salute Mentale all’unisono, ma una Salute chiamata a gestire problemi che richiedono garanzie che la Salute non è in grado di offrire. La soluzione all’italiana di tenere questi luoghi chiusi, con qualche guardia giurata qua e là, senza la necessaria sicurezza, di sottodosarne il numero e di sceglierne gli utenti, ha prodotto effetti illegittimi e pericolosi: persone destinate alle REMS restano “sequestrate” in carcere e altri soggetti prosciolti, ma pericolosi socialmente, attendono a piede libero un posto nelle REMS.

La mancanza di una collaborazione stretta tra Salute Mentale - che non va identificata con un perito psichiatra - Giustizia e Sicurezza è alla base della tragedia di Pisa e di molte altre analoghe tragedie. Se il Paese non saprà dotarsi di una cassetta degli attrezzi comune per fronteggiare le emergenze che “queste tipologie di soggetti” pongono, di casi come quello che riempie la stampa negli ultimi giorni torneremo a leggerne. Senza dubbio occorre che siano chiamati in causa coloro che conoscono la materia e hanno dato prova consolidata di sapersi occupare di una programmazione seria nel campo. Ogni ipotesi psichiatrica prioritariamente difensivistica va vista come segno di superficialità, altro che di scientificità e di logica, e dunque come vizio supremo assai pericoloso.

A partire da esperienze e conoscenze affidabili e dalla scelta di comunicare con modestia e rispetto reciproco, le istituzioni potranno uscire da una palude che non fa onore all’Italia e che potrebbe determinare passi indietro solo apparentemente risolutivi. Serve una nuova cassetta degli attrezzi per “queste tipologie di soggetti”, o forse basta rimettere in uso strumenti desueti e maltrattati perché ritenuti maltrattanti, a partire da obblighi alla cura gestiti in spazi adeguati e con mentalità fiduciosa e preparata davvero. Da venti anni parliamo di coazione benigna, definita nel 2018 dalla European Psychiatric Association gentle coercion.

Gemma Brandi, Mario Iannucci

Psichiatri psicoanalisti
Esperti di Salute Mentale applicata al Diritto



02 maggio 2023
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