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La riduzione del danno e dei rischi (rdd/rdr) é un approccio evidence-based

di Rete ITARDD

23 LUG - Gentile Direttore,
apprendiamo sconcertati che nella prefazione della relazione al parlamento si denuncia “il fallimento delle politiche rinunciatarie della riduzione del danno”. La nostra posizione è che -se non si vogliono ignorare ideologicamente le evidenze - il presunto fallimento della rdd semplicemente non esiste. Digitando su PubMed le parole “Harm reduction” appaiono, ad oggi, circa 14 mila studi pubblicati dopo il 2000. La rdd dunque non è fallita ma anzi gode del suo miglior momento di salute a livello di evidenze da quando -a partire dalle esperienze nate direttamente dalle persone che usano sostanze- è stata implementata come intervento rivolto a intere popolazioni.

Il NEJ pubblica a gennaio un articolo in cui mostra come offrire consulenze di rdd alle persone che si approcciano ai servizi. Sul WPJ si afferma che i programmi di distribuzione di siringhe sterili riducono la trasmissione dell’HIV con percentuali comprese tra il 34-58%. Questa evidenza è confermata da numerose review al punto da permettere agli autori di un articolo apparso sull’AJP di riformulare gli interventi non solo in funzione della certa riduzione delle infezioni ma di allargare i criteri di outcome anche agli effetti che questi interventi hanno sui fattori sociali.

I fattori strutturali e sociali spiegano la maggior parte della varianza degli outcome associati all’uso di sostanze. Persone appartenenti a gruppi vulnerabili sperimentano un maggiore impatto proprio di quegli elementi strutturali che incidono su tutta la popolazione. La rdd permette a equipe di professionisti (medici, psicologi, educatori, infermieri, ass. soc.) di entrare in contatto con persone che non afferiscono ad alcun servizio. Gli interventi si rivolgono a tutti i consumi dal tabacco alle Nps e possono essere erogati sia nel contesto urbano, nelle discoteche, nei party\festival, negli ospedali, nelle carceri e persino nei luoghi di lavoro.

L’evidenza suggerisce che persone che entrano in contatto con servizi di rdd hanno una probabilità 5 volte superiore di ricercare e iniziare un trattamento, confermando quindi che i servizi possono essere un primo passo verso le cure. Esistono evidenze che mostrano come stati che non possiedono policy su programmi di rdd abbiano una maggiore incidenza delle malattie associate a determinati consumi. La rdd interviene direttamente nei contesti e permette di arginare l’isolamento sociale tipico delle persone che usano sostanze, aumentare l’accessibilità ai servizi, migliorare le relazioni sociali, offrire counseling specifici e diminuire l’impatto devastante sulla salute dei fattori strutturali.

I nostri interventi quindi non si limitano alla distribuzione di materiale sterile ma hanno effetti sulle variabili socio-relazionali. Il rifiuto di implementare strategie basate sull'evidenza non è solo sbagliato ma è anche una decisione economicamente dannosa—negli US ogni dollaro speso in programmi di rdd genera risparmi compresi tra $ 6,38–7,58.

In uno studio pubblicato a maggio sul Lancet viene dimostrato come i servizi di rdd che ottengono fondi governativi hanno un impatto maggiore sulla salute, erogano un maggior numero di prestazioni, riuscendo ad essere più efficaci su tutti gli outcome di salute studiati. Il principale problema della rdd quindi non è il suo inesistente fallimento ma la carenza strutturale dei finanziamenti da parte dei vari governi che si sono succeduti negli anni. I lavoratori della rdd non possono accedere a concorsi pubblici e sperimentano nonostante la notevole professionalità una precarietà costante, hanno retribuzioni molto più basse rispetto ai colleghi che lavorano in servizi integrati nel SSN, lavorano in “progetti” che si rinnovano o non si rinnovano in base alle volontà politiche del momento. Questa incertezza rende difficile innovare adattando gli interventi alla velocità dei cambiamenti che avvengono negli ambienti sociali quando parliamo di sostanze psicoattive e aumenta il turnover verso posizioni lavorative maggiormente garantite ostacolando la professionalizzazione degli operatori e il loro investimento personale di carriera.

Se con “rinunciatarie” si intende dire che questi target di intervento non mirano direttamente all’astinenza tout court di ogni persona bisogna capire che la rdd si rivolge, intervenendo nei contesti reali, anche a quelle persone che non intendono porre fine al loro consumo o che ancora non lo hanno deciso apertamente o che non hanno sviluppato dipendenze e\o consapevolezza ma che possono ugualmente sperimentare condizioni di rischio.

Attraverso un approccio non giudicante i professionisti tentano di stabilire alleanze con le persone che usano droghe al fine di sostenerle nella riflessione rispetto ai loro comportamenti, tentando di ridurre i rischi che i fattori sociali possono avere sulla loro salute.

Non si capisce in che modo potrebbero i professionisti entrare in contatto con queste persone, direttamente nei loro contesti di vita, giudicandole ed emarginandole, ancora di più rispetto a ciò che è successo negli ultimi 50 anni. Noi non ci presteremo a questa furia ideologica che rischia di travolgere tutto il lavoro che con fatica hanno svolto i professionisti impegnati sul campo in Italia da circa 40 anni. Una popolazione è composta per definizione da individui diversi; è bene ricordare che la popolazione delle persone che usano droghe non si esaurisce con gli studenti, né con le persone che hanno disturbi conclamati. Esistono adulti che fanno uso ma non hanno patologie di alcun tipo, persone che fanno uso pur non raggiungendo criteri soglia per la diagnosi psichiatrica e\o psicologica e persone con disturbi che non accedono ad alcun trattamento (negli US circa l’80%).

Quando parliamo dell’utilizzo di sostanze dovremmo considerare i bisogni dell’intera popolazione e non tutti sono pazienti. Dalla distribuzione dei preservativi fino al counseling tutte le nostre azioni hanno il fine di migliorare la salute pubblica. È umiliante essere quotidianamente additati come con-causa del problema piuttosto che come una possibile soluzione, nonostante i nostri sforzi ed i nostri sacrifici. Il progetto del governo di ridurre questa intera popolazione ai giovani in età scolastica e alle persone che hanno bisogno di trattamento comunitario è fallimentare perché ignora l’esistenza della maggior parte delle persone che fanno uso di sostanze - dal tabacco fino all’eroina - e ignora la realtà sociale italiana in cui il consumo di ogni sostanza è ormai ampiamente diffuso.

Chiediamo quindi agli ordini professionali di competenza e alle società scientifiche di prendere chiara posizione in favore del nostro lavoro e della nostra professionalità. Per quello che ci riguarda continueremo a difendere i principi della rdd, i professionisti che vi lavorano e la salute delle persone che usano sostanze.

Rete ITARDD
Associazione italiana di operator* della riduzione del danno e dei rischi

BIBLIOGRAFIA ALLEGATA

23 luglio 2024
© Riproduzione riservata

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