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La Salute Mentale e il vuoto di idee e risorse: alcune domande per stimolare idee e possibili risposte 

di Renato Ventura

07 OTT - Gentile Direttore,

è sempre stimolante leggere nelle lettere al direttore di QS gli scritti di Angelozzi. Nell'ultimo suo scritto domina una sorta di pessimismo cosmico indotto dalla ricorrenza della giornata mondiale della salute mentale (SM) con l’”aggravante” della ricorrenza del centenario della nascita di Basaglia. Non posso nascondere che anche in me l'enfasi accordata, sia alla giornata mondiale della SM che al centenario della nascita di Basaglia, suscita talora un senso di fastidio per la ripetitività e il vuoto che nasconde.

Risulta inoltre intollerabile, specie per un familiare, il divario fra quanto viene spesso esaltato, con toni quasi mistici (la rivoluzione basagliana, mai conclusa), le varie riforme e le leggi (più recentemente i DDL che sono all'esame del Senato e della Camera) – che dovrebbero risolvere gli annosi problemi di una (ri)organizzazione dei servizi psichiatrici per essere in grado di rispondere alle mutate esigenze di salute mentale e sociali in tema di disturbo mentale – e la povertà e inadeguatezza dei servizi psichiatrici.

Personalmente, come famigliare e professionista, credo che sia necessario chiarire quali siano i motivi di fondo che rendono difficile dare risposte alle crescenti richieste di salute mentale e individuare, ove possibile, le premesse epistemologiche dalle quali partire per individuare possibili soluzioni.

Purtroppo come psicoanalista sono abituato più che a dare risposte a pormi delle domande.

Cercherò pertanto di porre degli interrogativi ai quali bisognerebbe rispondere prima di cercare soluzioni. Li elencherò per punti.

1. Siamo sicuri che il problema della scansa capacità dei servizi di rispondere alle accresciute richieste di salute mentale sia prevalentemente un problema di fondi e di forza numerica del personale? Io credo che sia oggi (anche per carenza di psichiatri) prevalente la necessità di modificare l'assetto organizzativo dei CSM con decisa prevalenza di psicologi e tecnici della riabilitazione e rivisitazione dell’assetto gerarchico. Ci sono poi le (de)motivazioni economiche degli operatori del pubblico che fa fuggire gli psichiatri nel privato e la scarsa attrattività di una professione ridotta, sempre nel pubblico, alla somministrazione di farmaci. Anche il possibile rischio di contenzioso medico legale (il problema della “posizione di garanzia”) e le aggressioni ai sanitari - mi pare francamente enfatizzate dai media e da alcune parti politiche per sostenere strumentalmente provvedimenti a impronta securitaria - non favoriscono certamente l’attrattività per una professione ricca di interesse ma povera di strumenti operativi se non la si arricchisce di altri saperi (psicologici, filosofici, sociali, antropologici…)

2. L’aumento delle richieste di prestazioni in capo al CSM è espressione di un aumento delle patologie psichiatriche o riflettono la distorsione del “mercato” della salute mentale? In altri termini, assistiamo veramente a un aumento di persone affette da disturbo mentale oppure è cambiata (positivamente?) la percezione e la sensibilità sociale nei confronti della sofferenza mentale tale da indurre a cercare la soluzione delle proprie ansie e difficoltà esistenziali ricorrendo alla medicina (alla psichiatria) per tamponarle? Sappiamo che i giovani spesso ricorrono all’uso di sostanze. E’ stata fatta una riflessione profonda circa l’intercambiabilità fra sostanze ugualmente dannose a causa di gravi effetti collaterali (gli psicofarmaci) e le sostanze che usano i tossicodipendenti?

L’aumento delle diagnosi del DSM non riflette una tendenza abnorme alla psichiatrizzazione di ogni condizione di devianza stigmatizzando e medicalizzando problematiche che spesso sono dipendenti più dai c.d. determinanti (psico)sociali che di pertinenza psichiatrica.

3. È la psichiatria che deve dare risposta a questo bisogno o non c'è una malintesa aspettativa che il ricorso alla psichiatria possa risolvere gli aspetti contraddittori e problematici della nostra esistenza e della società (definita “liquida” da Baumann)?
4. L’organizzazione dei CSM (e di tutto il complesso dell’organizzazione dei servizi psichiatrici) come strutture separate ove ricevere cure e assistenza per problemi di salute mentale non configura una persistente tendenza a considerare il disturbo mentale come espressione di diversità e pertanto da affrontare in luoghi e con modalità peculiari e non integrabili nella pratica medica a livello poliambulatoriale? Questa organizzazione (SPDC, CSM, Centri Diurni e residenzialità psichiatrica) non è di per sé emarginante e stigmatizzante?

5.Già esistono e in parte sono in via di (lenta) realizzazione le cosiddette Case della Comunità. Non dovrebbero essere queste le strutture, in un'ottica integrativa psicosociale, dove accogliere le persone con il disturbo mentale? Cosa si oppone a questo cambiamento radicale di prospettiva che potrebbe porre in primo piano la necessità di una risposta e di una accoglienza “di comunità” di cui hanno bisogno le persone con problemi psichiatrici?

6. Quanto si sta operando per una “seconda” rivoluzione basagliana in senso antistituzionale mirante a un progressivo smantellamento delle comunità terapeutiche da sostituire con la cosiddetta residenzialità leggera (housing sociale, microcomunità, case famiglia…)? Ecco un possibile risparmio di risorse. Ma anche il possibile ostacolo di grossi interessi del privato.

7. I tavoli ministeriali sulla riorganizzazione dell'assistenza psichiatrica prevedano la presenza, non solo consultiva, di familiari e utenti?

8. Quando le varie anime della psichiatria italiana rappresentata dalla SIP, dalla Università e dai Dipartimenti di Salute Mentale potranno e vorranno dialogare e convergere su alcuni principi di base relativi all'assistenza psichiatrica? Un recentissimo documento del Collegio Nazionale dei Dipartimenti di Salute Mentale, presentato in occasione della giornata della SM, mi sembra che possa rappresentare una possibile evoluzione positiva del pensiero psichiatrico tale da superare concezioni tardo ottocentesche kraepeliniane, basate sostanzialmente su una concezione del disturbo mentale da considerare come malattia (del cervello) e pertanto da curare con psicofarmaci (è ovviamente una semplificazione).

9. La psicologia italiana non è stata per troppo tempo assente dal dibattito, anche a livello legislativo e propositivo, sulla salute mentale e non si è arroccata nel privilegiare l'attività privata invece che proporsi come alternativa, anche culturale, alla interpretazione del disturbo mentali in chiave medico biologica invece che psicologico-sociale?

10. La formazione degli psichiatri e la stessa Clinica Psichiatrica non potrebbero/dovrebbero trovare una diversa collocazione a livello universitario aggregandosi a Dipartimenti di Scienze Umane (antropologiche, filosofiche, sociologiche…) invece che alla Facoltà di Medicina?

Ho cercato di schematizzare, in una sorta di decalogo, alcune considerazioni che spero possano stimolare un approfondimento che sembra carente sul tema della SM: il vuoto di idee lamentato da Angelozzi. Quanto alla carenza di risorse non ho competenze adeguate ma il problema è ben noto. Credo però che prima delle risorse sia necessario avere le idee. Mi scuso per la semplificazione e banalizzazione delle argomentazioni ma la necessità di sintesi richiesta dalla rivista obbliga a essere molto stringati.

Dott. Renato Ventura
Psichiatra e Psicoanalista SPI
Presidente La Tartavela ODV



07 ottobre 2024
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