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Governare i fondi integrativi è come far rientrare il dentifricio nel tubetto. E se il tubetto lo buttassimo?

di Claudio Maria Maffei

23 OTT -

Gentile direttore,
il tema dei fondi integrativi è estremamente difficile da comprendere e quindi da valutare. Comunque, difficile lo è per me, ma venirne a capo non deve essere tanto semplice visto che ancora non ci si è riusciti dopo una enorme quantità di analisi e di tempo istituzionale che è stata dedicata loro. L’immagine che mi è venuta in mente è quella del dentifricio che quando è uscito dal tubetto non riesci più a rimetterlo dentro. Metafora tanto abusata (ovviamente è anche nel repertorio del grande, per me, Pier Luigi Bersani), quanto efficace.

Per inquadrare in modo molto sintetico il tema dei fondi integrativi risulta utile la memoria della Banca d’Italia “Indagine conoscitiva sulle forme integrative di previdenza e di assistenza sanitaria nel quadro dell’efficacia complessiva dei sistemi di Welfare e di tutela della salute” del giugno 2023 messa a disposizione della Decima commissione permanente del Senato della Repubblica nell’ambito della indagine conoscitiva che la commissione dedica alla questione. Mi scuso per il saccheggio che farò a danno di questa memoria, ma perché fare tanta fatica quando qualcuno l’ha già fatta per te, anzi per noi?

Si legge nella memoria della Banca d’Italia che “L’offerta sanitaria in Italia si articola su tre pilastri: il primo è rappresentato dal servizio sanitario pubblico, che eroga livelli essenziali di prestazioni (LEA) secondo criteri di universalità, uguaglianza ed equità nell’accesso alle cure; il secondo è costituito da schemi collettivi di assistenza sanitaria (quali fondi sanitari, società di mutuo soccorso, casse ed altri enti no profit), che erogano prestazioni integrative rispetto ai LEA ed agiscono sulla base della ripartizione del rischio fra gli aderenti; il terzo pilastro è infine identificato da forme individuali di assistenza sanitaria (polizze sanitarie individuali), che operano secondo una logica assicurativa sulla base di stime probabilistiche relative alle frequenze e al costo dei sinistri.” Si legge poi poco avanti che “L’espressione “sanità integrativa”, con la quale si dovrebbe designare l’insieme dei soggetti e delle prestazioni ricompresi nel secondo pilastro, appare tuttavia fuorviante. L’erogazione di prestazioni non sostitutive del SSN riveste difatti un ruolo minoritario nell’ambito delle attività dei fondi sanitari, poiché ai fini del riconoscimento di benefici fiscali è sufficiente che appena un quinto delle risorse dei fondi sia destinato a prestazioni integrative. Inoltre i fondi sanitari sono molto spesso assicurati o gestiti direttamente da compagnie assicurative, per cui è formalmente difficile ricondurre le prestazioni intermediate all’una o all’altra tipologia di enti (che sono assoggettati a discipline molto diverse).”

Quanto ai benefici fiscali la Banca d’Italia fa presente nelle righe finali della sua memoria che: l’attuale sistema di incentivazioni fiscali è particolarmente frammentato, complesso e oneroso. I regimi agevolativi tendenzialmente beneficiano categorie circoscritte di soggetti economici a fronte di costi diffusi sull’intera platea di contribuenti, con perdite di gettito per l’erario difficili da quantificare e da monitorare. La maggiore opacità degli incentivi fiscali rispetto a espliciti programmi di spesa rende più difficile per i cittadini valutare le ricadute per la finanza pubblica delle scelte dei policymaker, alimentando il rischio di una composizione inefficiente del bilancio pubblico e di una eccessiva tendenza al disavanzo.

Fine delle citazioni della Banca d’Italia. Anche perché a mio parere al punto in cui si trova il Ssn c’è già abbastanza per buttare il tubetto. Fino a qui la Banca d’Italia ci ha detto che i fondi integrativi sono ormai largamente sostitutivi, che beneficiano categorie circoscritte e che determinano benefici fiscali opachi. Adesso aggiungo qualcosa io per giustificare firma e foto nella lettera. I fondi integrativi o quel che sono hanno altri effetti deleteri che anche se difficili da quantificare e monitorare al pari dei benefici fiscali sono altrettanto sicuri: aumentano la inappropriatezza delle prestazioni, aumentano la quota di mercato degli erogatori privati e “saltano” i meccanismi di presa in carico del Ssn. In questo modo hanno altri effetti collegati: non provocano sostanziali benefici alla lunghezza delle liste di attesa, favoriscono la tentazione dei professionisti di abbandonare il servizio pubblico per andare a lavorare nel privato e appesantiscono ulteriormente il carico di lavoro burocratico del medico di medicina generale. E, per concludere, i fondi integrativi o quel che sono diffondono l’idea che siccome il Ssn non lo si può salvare tanto vale salire su questa scialuppa.

A questo punto poco importa se i fondi integrativi incidono sulla spesa privata “poco” e comunque meno che negli altri Paesi, visto che sono evidentemente uno strumento poco adatto al nostro servizio sanitario pubblico, che (come dice la Banca d’Italia) dovrebbe erogare livelli essenziali di prestazioni (LEA) secondo criteri di universalità, uguaglianza ed equità nell’accesso alle cure.

Ai fondi integrativi sono state dedicate due commissioni parlamentari, una del Senato già citata e ancora in corso dopo due anni, e una della Camera dei Deputati del 2018. Scaricabili dalla pagina in rete di queste due Commissioni ci sono memorie, relazioni e contributi di ricercatori e di ogni tipo di stakeholder. Ma una sintesi in grado di ricollocare i fondi integrativi o quel che sono dentro le logiche del Ssn come lo conosciamo nessuno riesce a produrla. Per concludere riprendo quanto riportato molto autorevolmente a proposito del “secondo pilastro” alla fine del capitolo del rapporto OASI 2023 sui consumi privati: “Costruire le condizioni per la sostenibilità di questo settore significa combinare una maggiore disponibilità di risorse a un sistema di regole che ne delinei un preciso posizionamento nel quadro di un sistema universalistico, definisca le aspettative degli assistiti, chiarisca il rapporto tra contributi e benefici e intervenga sui rapporti di forza tra soggetti assicuratori, enti responsabili delle coperture e mondo degli erogatori, pubblici e privati.” Purtroppo, il timore è che queste espressioni che “suonano bene” rimarranno a lungo in attesa di una definizione di regole che traducano concretamente quelle aspirazioni. E nel frattempo il Ssn sta collassando.

La mia personale impressione è che il tema dei fondi integrativi o quel che sono abbiano una ulteriore grave colpa: sottraggano risorse intellettuali e istituzionali in termini di tempo ed energie che andrebbero forse meglio destinate a temi sempre fuori fuoco come gli sprechi in sanità, un tema inspiegabilmente “orfano” nel dibattito sul Ssn.

Claudio Maria Maffei



23 ottobre 2024
© Riproduzione riservata

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