Gentile direttore,
pur essendo giurisprudenza ormai consolidata e, nonostante tre gradi di giudizio – l’ultimo dei quali esperito direttamente da quello che originariamente era il nascituro, medio tempore diventato maggiorenne e, quindi, titolato a difendere personalmente i propri interessi – la Cassazione ha dovuto ribadire, per il caso concreto che giudiziariamente si è concluso ieri (con l’ordinanza n. 3502/25), l’inesistenza di un diritto a non nascere se non sani.
Tanto, sul piano dei risarcimenti che notoriamente vengono esigiti dai medici operanti, ha un rilevo di non poco momento.
È stato, cioè, statuito che non esiste la possibilità di individuare la sussistenza di un danno biologico e relazionale in capo al figlio e, conseguentemente, riconoscerne la risarcibilità a fronte dell’unica alternativa di non nascere, neppure sotto il profilo dell’interesse ad avere un ambiente familiare preparato ad accoglierlo.
Gli originali ricorrenti, unici legittimati ad agire per la minore età del figlio, hanno sempre preteso dalla ASL, dal medico e dai suoi eredi (ed anche dall’Assicurazione con funzioni di manleva nei confronti di questi ultimi) il risarcimento dei danni subiti a causa della inadeguata e negligente prestazione professionale del medico durante la gravidanza, il quale, per non essersi avveduto delle gravi malformazioni congenite del nascituro, conseguentemente non le aveva comunicato alla madre non consentendole di valutare – laddove fosse stata correttamente informata – di stabilire se procedere o meno, alla interruzione della gravidanza.
Tanto secondo i ricorrenti avrebbe causato al nato il danno per la sua nascita indesiderata e della violazione del suo diritto a nascere sano.
I giudici di merito (di primo e di secondo grado), in totale sintonia, pur riconoscendo censurabile l’operato del medico e, di conseguenza, la sua responsabilità nei confronti dei genitori, non hanno accolto la richiesta di risarcimento dell’asserito danno, ravvisando un loro difetto di legittimazione ad agire, perché non hanno ritenuto che si potesse configurare in capo al figlio un danno da nascita indesiderata.
L’impostazione data alla vicenda che si è snodata ampiamente nel tempo, ha portato l’interessato (ovvero l’originario nato) frattanto diventato maggiorenne, a proporre ricorso all’ultimo grado di giudizio per dolersi di ben due motivi: che il diritto al risarcimento per il danno da mancato rilievo delle gravi malformazioni sia stato riconosciuto soltanto nei confronti dei genitori (e non anche nei suoi confronti quale soggetto di diritto, per quanto giuridicamente incapace) e la rivendicazione al proprio diritto, quale nascituro, a godere della propria vita senza pregiudizievoli limitazioni.
Limitazioni, invece, di cui è rimasto vittima per le quali ha chiesto ristoro “in considerazione delle precarie condizioni di vita che è costretto a vivere e tanto, non solo in riferimento alla situazione lavorativa, ma anche in riferimento al normale andamento dei rapporti familiari e sociali”.
Ma la Cassazione ieri, in richiamo ad una propria giurisprudenza consolidata, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso ritenendo la questione già disciplinata nel senso che “il nato disabile non può agire per il risarcimento del danno consistente nella sua stessa condizione, giacché l’ordinamento non conosce il “diritto a non nascere se non sano”, né la vita del nato può considerarsi integrazione di un danno-conseguenza dell’illecito del medico”.
In precedente occasione, aveva affermato in proposito che non se ne riscontra la stessa configurabilità in quanto “la ragione di danno da valutare sotto il profilo dell’inserimento del nato in un ambiente familiare nella migliore delle ipotesi non preparato ad accoglierlo» rivela sostanzialmente quale mero «mimetismo verbale del c.d. diritto a non nascere se non sani», andando pertanto «incontro alla …… obiezione dell’incomparabilità della sofferenza, anche da mancanza di amore familiare, con l’unica alternativa ipotizzabile, rappresentata dall’interruzione della gravidanza» non essendo d’altro canto possibile stabilire un «nesso causale» tra la condotta colposa del medico e le «sofferenze psicofisiche cui il figlio è destinato nel corso della sua vita”.
Precisando, altresì, che il danno del nato disabile risulta prospettato dai genitori come conseguenza del danno da essi asseritamente subito, mentre invece, stante la rilevata insussistenza, a maggior ragione difetta lo stesso presupposto per la configurabilità di un pregiudizio che si assume esserne conseguentemente derivato in capo al nato.
Queste le testuali parole della Cassazione, espresse oggi ma anche già nel lontano 2017, che coerentemente si sposano con quanto ritenuto due anni prima nel dichiarare che, se si riconoscesse la responsabilità del medico verso il nato, per un obbligo di coerenza, si dovrebbe ammettere anche il riconoscimento di pari responsabilità in capo alla madre che, sia pure nelle circostanze contemplate dall’art.6 della legge n. 194 del 1978, abbia portato a termine la gravidanza, benché correttamente informata.
Tanto perché, il conseguente risarcimento del danno finirebbe per assumere “un’impropria funzione vicariale, suppletiva di misure di previdenza e assistenza sociale: in particolare, equiparando quanto all’effetto, l’errore medico che non abbia evitato la nascita indesiderata, a causa di gravi malformazioni del feto, all’errore medico che tale malformazione abbia direttamente cagionato”.
Fernanda Fraioli
Procuratore regionale per il Piemonte