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27 APRILE 2025
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Tre mosse per salvare le case di comunità e i medici di famiglia

di Nicola Preiti

14 MAR -

Gentile direttore,
non vale in sanità la regola di Agatha Christie secondo la quale tre indizi fanno una prova. Nella sanità italiana è il contrario: non basta una tonnellata di prove per determinare una scelta politica. E non solo di questo governo.

Senza il passaggio alla dipendenza di tutti i medici di famiglia, e la piena integrazione di questa fondamentale figura professionale nei servizi distrettuali, non c’è alcuna possibilità che si modernizzi l’assistenza territoriale, non c’è alcuna possibilità che le case di comunità assolvano ai compiti preposti dal DM 77/2022, non c’è alcuna possibilità che si risolva il problema dei PS e si affrontino seriamente le liste d’attesa. Certo non è questa la sola condizione sufficiente, ma è indispensabile.

Ce lo dice per ultimo, in ordine di tempo, il Report AGENAS sul monitoraggio della applicazione del Dm 77/2022 al 31/12/2024. A fronte del 90% di cantieri attivi o conclusi per realizzare le 1.717 case di comunità previste, ci troviamo solo 46 strutture con tutti i servizi attivati, compreso medico e infermiere. Meno del 3%. Una fotografia impietosa che dimostra che queste strutture, stando così le cose, non solo non saranno attive alla fine del 2026, ma non funzioneranno mai, con relativa dissipazione di risorse e ulteriore compromissione del SSN. Magari potrà succedere che con una prossima riforma si cambierà ancora il nome alle strutture, in modo da lasciare tutto com’è, come nel Gattopardo. Null’altro.

Si discutono soluzioni parziali, far fare ai Medici di medicina generale, alcune ore di qua e alcune ore di là, come se si trattasse di fare lavori diversi. O di una differente graduazione dell’impegno nel distretto. Si tratta invece di far fare ai medici semplicemente il loro lavoro, quello che oggi non riescono più a fare e che è indispensabile per il buon funzionamento di tutto il SSN. Ma lo devono fare in piena integrazione con gli altri servizi in modo da essere i protagonisti dell’assistenza territoriale.

Peraltro la categoria non trae alcun beneficio da questa situazione. E’ sotto gli occhi di tutti, infatti, lo stillicidio di competenze e funzioni che questi medici sta cedendo ad altri soggetti, con perdita di ruolo, identità e attrattività per questa professione, schiacciata da una carico burocratico che spesso limita la possibilità di fare il medico.

E non è un problema sostanziale di soldi, non è al MEF che si risolve il problema ma al Ministero della Salute. E’ qui che si deve decidere di intervenire con coraggio nell’assetto della medicina generale.


Basterebbero tre misure per spianare la strada alla concreta realizzazione dei nuovi standard di assistenza territoriale. Altrimenti neanche maggiori risorse garantirebbero l’obiettivo.

1) Instaurare specifico rapporto di dipendenza per tutti i medici di famiglia (pediatri e specialisti ambulatoriali) con superamento delle convenzioni.

2) Definire un vero ruolo unico per tutti i medici del territorio: Medico Territoriale (analogo al medico ospedaliero). Ogni categoria professionale mantiene la sua specificità e la sua autonomia, ma rientra in una organizzazione unitaria distrettuale.

3) Abolizione della figura del medico di continuità assistenziale facendolo diventare a tutti gli effetti quello che è, un MMG.
E’ incredibile che una parte della categoria che ha lo stesso titolo di MMG debba essere mantenuto in sostanza nella riserva indiana della ex guardia medica (e ormai non si trovano più). Oltre ad una ingiustizia, è uno spreco di risorse professionali, e comunque incompatibile con il nuovo assetto delle cure territoriali.

Disponendo oggi di circa 37.000 medici di famiglia e 13.000 medici di continuità assistenziale, avremmo complessivamente 50.000 medici per 51 milioni di cittadini di età superiore ai 14 anni, da impegnare appieno nell’assistenza territoriale.

Così avremmo insomma sufficienti risorse affinché il medico di famiglia possa mantenere il suo ambulatorio (tutti avrebbero 1.000 assistiti, con recupero della dignità professionale). Tutti diventerebbero medici del Distretto, contribuendo così a dare sostanza al nuovo assetto delle cure territoriali con realizzazione del Dm 77/22. Si ottimizzerebbero le risorse professionali ed economiche, e si salverebbe la categoria dei medici di famiglia aprendo ad un futuro professionale prestigioso per la stragrande maggioranza di medici di famiglia oggi convenzionati.

Si può fare, ministro Schillaci. Basta non inchinarsi alla lobby.

Nicola Preiti
Neurologo. Già firmatario ACN Medicina Generale



14 marzo 2025
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