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27 APRILE 2025
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Il gattopardo e la Medicina Generale

di Michele Diana

19 MAR - Gentile Direttore,
la falsa narrazione della perdita del rapporto fiduciario tra medico e paziente nell'eventuale passaggio alla dirigenza dei medici di famiglia, credo avvenga, da parte sindacale, per la temuta perdita della esclusiva nella rappresentatività; e da parte dell'ente previdenziale per la temuta perdita di solidità economica. Ma il futuro, che piaccia o meno, è la figura di un medico di Medicina Generale Dirigente del territorio, o quantomeno di un medico con un contratto orario, analogo a quello degli specialisti ambulatoriali. Con le tutele tipiche di questi contratti di lavoro: ferie retribuite (art.36 Costituzione), assenze retribuite per malattie/infortunio/studio, tredicesima, trattamento di fine rapporto, uso gratuito di beni aziendali quali ambulatori, auto di servizio, strumentazione informatica, personale di ambulatorio, oneri di utenze, sorveglianza sanitaria ex D.Lgs 81/2008 e smaltimento dei rifiuti degli ambulatori.

Attualmente nessuna di queste tutele è presente, ed è questo alla base della disaffezione dei giovani medici, che non scelgono di fare questa attività nella loro vita; senza contare che il Corso di Formazione in Medicina Generale non è una vera specializzazione universitaria, continua ad essere gestito dagli Ordini, e comporta un magro compenso mensile, pari alla metà (!) di quanto percepito da uno specializzando.

Inoltre, un giovane medico, una volta conseguito il titolo di specialista in una qualsivoglia disciplina, ha diverse opportunità di lavoro nella vita, compresa la libera professione; il giovane medico che termina la borsa di formazione in medicina generale; invece, potrà fare solo il medico di famiglia, quindi un unico sbocco professionale, e senza le tutele, ormai irrinunciabili, di cui abbiamo detto prima. Infatti, da alcuni anni, le borse di frequenza per diventare medico di medicina generale vengono assegnate in percentuali inferiori rispetto ai posti disponibili, ed esiste una percentuale cospicua di abbandono successivo.

C'è infine il problema di riempire le Case di Comunità con personale medico proveniente dal territorio. Altrimenti rimarrebbero, come dicono in molti, cattedrali nel deserto, e tutto questo deve essere garantito ai cittadini entro il 2026, pena la perdita (con restituzione) dei fondi del PNNR. La pandemia ci ha insegnato, col sacrificio di vite umane, proprio di colleghi di medicina generale, che il medico di famiglia non può continuare ad essere una monade isolata e staccata dal resto del SSN. Ma deve meglio inserirsi in una logica distrettuale, che preveda per il cittadino la presenza costante di professionisti che possono accoglierlo e curarlo, senza costringerlo a recarsi al Pronto Soccorso per qualsiasi problema che possa essere affrontato e risolto sul territorio.

La narrativa della perdita del rapporto fiduciario, della continuità di cura e della prossimità, nonché della paventata dimissione in massa per protesta, viene utilizzata da più parti affinché questa evoluzione e questo cambiamento non avvengano, e affinché, alla fine, il gattopardo possa, come sempre, prevalere. Ma non è possibile avere tutto, ed ogni scelta di programmazione sanitaria comporta la rinuncia ad un modello, che appare ormai superato e non più attuale.

Se vogliamo un Servizio Sanitario moderno e al passo con i tempi, con una medicina territoriale potenziata a livello distrettuale, che filtri ed alleggerisca i Pronto Soccorso; se vogliamo restituire ai reparti ospedalieri la loro vocazione specialistica, di urgenza, di elezione e di accoglienza per la terminalità; se vogliamo che il territorio si occupi della cronicità e della prevenzione, ebbene il futuro è tracciato, e si chiama Casa della Comunità, con medici di medicina generale, pediatri e specialisti presenti tutto il giorno, alternandosi. Senza contare che il cittadino potrà sempre continuare a rivolgersi, informandosi sugli orari di turno e presenza, al medico al quale è abituato e legato fiduciariamente. Invece, nel caso di necessità non rimandabili, o per le attività ripetitive, un medico vale l'altro: l'interessante è essere assistiti. Le località remote, lontane dalle case di comunità, potranno comunque contare su medici che vi ruotano, in ambulatori locali, messi a disposizione dai Comuni, dalle associazioni, dalle ASP; quindi, anche questo è un falso problema.


Con riferimento alla proposta di legge espressa da Forza Italia, infine, essa prevede un impegno orario misto, in parte nel proprio ambulatorio (in base al numero di assistiti) e in parte nelle case di comunità, con medici sempre inquadrati come convenzionati parasubordinati. Essa non è facilmente applicabile, rendendo i medici una sorta di Arlecchino servo di due padroni, e determinando quindi più problemi di quanti vorrebbe risolverne, perché non tiene conto dell'impegno attuale in visite domiciliari, dell'attività ambulatoriale a porte chiuse, dopo le visite, in back office, per rispondere alle mail ricevute, ai messaggi, per effettuare le telefonate e per la compilazione delle ricette, dei piani terapeutici e per assolvere alla schiacciante burocrazia che obera il nostro lavoro. Quindi così com'è formulata, appare superficiale e non va bene: il medico non può staccare la spina per recarsi altrove senza aver finito il proprio lavoro.

Inoltre non risolve il problema delle tutele del lavoro di cui si è detto prima, soprattutto per una professione ormai sempre più femminile. Infine, essa offre la possibilità di anticipare la fuoriuscita dal lavoro con uno "scivolo", ma senza chiarire chi si fa carico dei relativi oneri contributivi.

Per concludere, speriamo, non tanto per noi medici a fine carriera, ma per i giovani, che una riforma epocale, col passaggio alla dipendenza o con un inquadramento analogo alla specialistica ambulatoriale, vada finalmente in porto. Alla faccia del gattopardo.

Michele Diana
MMG

19 marzo 2025
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