Gentile direttore,
correva l’anno 2024 quando la Sezione centrale di controllo della Corte dei conti, con una relazione fotografava, senza mezzi termini, la situazione delle Regioni rispetto ai fondi ricevuti dal 2020 per le liste d’attesa.
Rilevava, senza troppi infingimenti, che con le risorse destinate a tagliare le liste d’attesa nella sanità, si provvedeva (in troppi casi) al ripiano dei disavanzi delle Regioni.
Nelle 180 pagine di cui la delibera (n. 90 dell’11 novembre 2024) si compone, viene definito “di palmare evidenza” il fatto che “nonostante l'ammontare non indifferente di risorse messe a disposizione, il relativo utilizzo appare esiguo” proprio perché i magistrati contabili sono riusciti ad individuare, dandone espressamente conto, degli impieghi “alternativi” delle risorse stanziate per le liste d'attesa e che la “più ampia finalizzazione, normativamente prevista” dal decreto legge 198/2022 ha indotto “le Regioni ad utilizzare le risorse in via prioritaria per ripianare i loro disavanzi sanitari e, solo residualmente, per abbattere le liste di attesa”.
In numeri: al 31 dicembre 2024, su un finanziamento totale di 1,371 miliardi per gli anni 2022, 2023 e 2024 da parte del Ministero della Salute, alle Regioni restano ancora da impiegare 323 milioni, pari ad un 24% di inutilizzato.
È del 2 aprile 2025, invece, la lettera con la quale il Ministro della Salute recrimina la mancata applicazione delle misure del decreto anti-liste d’attesa apparendo, quantomeno, incredulo circa il decorso degli svariati mesi dalla data di approvazione che ancora continuano a far registrare resistenze o ritardi nell'applicazione con un chiaro richiamo alle considerazioni, più che inequivocabili, della Corte dei conti in merito all’esigua spesa che le Regioni hanno sostenuto riguardo ai fondi ricevuti dal 2020 per le liste d'attesa.
Ma questa recente lettera, un tantino più sostenuta, segue quella più soft, e oseremmo dire esplorativa, di una manciata di mesi prima, sempre inviata al Presidente della Conferenza delle Regioni, con cui il Ministro invitava a mettere fine a quelle irregolarità che la legge ha inteso eliminare ma che ancora il NAS, su suo specifico incarico, ha rilevato presso alcune strutture regionali.
La lettera del 2 aprile è più forte e maggiormente incisiva (si spera) perché ricca di riferimenti a dati reali ed inequivocabili, come si diceva, ricordando che su un finanziamento totale di € 1.371.956.271 per gli anni dal 2022 al 2024 da parte del Ministero della Salute, le Regioni non ne hanno utilizzato, o lo hanno banalmente accantonato, un ammontare pari a € 323.342.886.
Di contro, invece, nelle Regioni che hanno applicato le misure previste dalla legge, i risultati si riescono ad intravedere.
Il Lazio ne è un esempio, atteso che qui i tempi medi di attesa sono passati da 42 giorni nel 2023 a soli 9 nei primi mesi del 2025.
Con ciò dimostrando che, laddove la volontà di applicazione del disposto normativo c’è, i risultati si vedono e sono una dimostrazione, qualora ve ne fosse bisogno, che tanto si può fare, deducendone che, allora, il problema non è di ordine tecnico, bensì squisitamente politico ed organizzativo.
La collaborazione fornita dal Ministero è fortemente voluta e sentita, come anche voluta e sentita è dall’AGENAS, istituzionalmente preposta proprio ad esercitare una funzione di supporto tecnico-operativo alle politiche di governo dei servizi sanitari tra Stato e Regioni, che lo sorregge nella risoluzione di quelle criticità che ancora permangono nonostante l’attivismo degli organi centrali.
Tuttavia, resta un compito arduo perché anche se tutte le Regioni e le Province autonome hanno ottemperato, formalizzando un Piano operativo di recupero sottoposto ad uno specifico monitoraggio del Ministero, i dati così raccolti non sono confrontabili fra loro in ragione delle incoerenze dovute alle diverse metodologie applicate alle stime dei ricoveri e delle prestazioni ambulatoriali non erogate nell’anno 2020 e alla quantificazione del recupero che appare basata su metodi di calcolo differenti.
C’è allora da chiedersi – visto che la relazione dei giudici contabili ha rilevato che un monitoraggio complessivo è nei fatti ancora da costruire, perché i controlli messi in campo fin qui non hanno funzionato – se allora, forse, non bisognerebbe essere più incisivi togliendo qualche ostacolo, magari legislativo, perché di troppo.
Lo dimostra il grido di dolore che emerge dalla delibera quando con riferimento alle risposte fornite dal Ministero parla di “modo parziale e disomogeneo” da parte delle Regioni e delle PA che non sono state in grado di fornire al riguardo un quadro aggiornato e completo rendendo, così, difficoltoso la verifica delle misure adottate, non soltanto con riferimento al passato, ma anche con riferimento agli esiti dei successivi monitoraggi che hanno riguardato l’attuazione delle misure attuative dei singoli Piani regionali.
E, quel ch’è peggio, la constatazione che circa le risultanze degli esiti di appositi monitoraggi, non si hanno informazioni in ordine all’operatività dei meccanismi sanzionatori, legislativamente previsti e finalizzati a stimolare le capacità di risposta delle autonomie territoriali in ordine alle richieste di dati ed elementi da utilizzare da parte del Ministero della salute per il monitoraggio delle misure rivolte all’abbattimento delle liste di attesa.
Preoccupazione riconosciuta come ben avvertita dall’attuale Governo come dimostra, nella Relazione di accompagnamento al decreto n. 73/2024, la considerazione che il mero calcolo delle percentuali di copertura dei tempi di attesa per classe di priorità sulle prestazioni prenotate ed erogate, con tempistiche differite e con numerose distorsioni di calcolo non assicura l’orientamento della programmazione dell’offerta secondo parametri realistici e tempestivi per la mancanza di un reale set di indicatori di flusso e per l’incapacità di dimensionare la consistenza delle liste d’attesa per prestazioni ambulatoriali e di ricovero.
Senza contare i metodi adoperati, a dir poco arcaici, quali l’utilizzo dei dati tratti dalla Tessera Sanitaria fornito al Ministero della salute dal MEF con cadenze prestabilite che vengono autodichiarati dalle regioni e dalle province autonome, così come per il monitoraggio delle agende pubbliche e accreditate, collegate ai sistemi CUP regionali e sovra-aziendali, la cui rilevazione viene condotta dalle regioni e dalle province autonome e trasmessa al Ministero della salute mediante la compilazione di un file Excel.
Insomma, in una parola, non sono al momento disponibili sistemi informativi strutturati in modo da rilevare le informazioni ritenute necessarie per il monitoraggio richiesto.
I numeri, ricordati dal Ministro sono proprio quelli che anche la Corte dei conti ha conteggiato evidenziando che nel 2023 una delle due fonti di finanziamento presentava una disponibilità di 483,87 milioni, ma la spesa reale si è fermata a 69,13 milioni, ovvero al 29,7%; l’altra, coperta dalla quota vincolata dello 0,3% del fondo sanitario nazionale, presentava 365,48 milioni e ne sono stati usati 171,23, ovvero il 46,9%, senza che, però, ciò abbia comportato un miglioramento per le liste d’attesa proprio per le differenti finalità per le quali sono state utilizzate le risorse.
Ad ogni buon conto, la media dei due capitoli essendo di 239,4 milioni di euro su 803,4, pone la spesa effettiva al di sotto del 30%.
E, sempre per restare in tema di numeri, va rilevato che i 2,049 miliardi stanziati per recuperare i ritardi conseguiti negli ultimi cinque anni, pur ovviamente a motivo della notoria crisi pandemica, sono comprensivi anche dei 500 milioni di euro stanziati dall’ultima manovra di bilancio i quali rischiano, pertanto, di non portare al risultato sperato.
Per questo a fronte di qualche asperità normativa che, andrebbe limata, nell’immediato sarebbe opportuno intervenire con gli strumenti che si hanno a disposizione e che sono, primariamente, una maggiore flessibilità del prodotto della conferenza Stato-Regioni nella collaborazione con il Ministero (oggetto questo della lettera del 26 marzo u.s. nella quale il Ministro si rammarica della mancata calendarizzazione che ha, quale effetto, quello di allontanare ad un tempo indefinito l’attivazione dei poteri ministeriali sostitutivi), accanto ad un robusto sviluppo di un monitoraggio effettivo e puntuale che si pone come il cuore delle ben nove raccomandazioni che i giudici contabili, attraverso la delibera, hanno rivolto al Dicastero della Salute.
Come anche opportuno sarebbe dare attuazione alla Piattaforma Nazionale delle Liste d’Attesa prevista dal decreto n. 73/24, non a caso rubricato “Misure urgenti per la riduzione delle liste d’attesa delle prestazioni sanitarie” ed istituita preso AGENAS con il preciso compito di realizzare l’interoperabilità con le piattaforme delle liste di ciascuna Regione, coerentemente con l’obiettivo del potenziamento del Portale della Trasparenza previsto dal PNRR che, in quasi un anno di vita, ancora non è riuscita a vedere l’attuazione, lasciando persistere un ormai ingestibile allungamento dei tempi d’attesa.
Con la conseguenza che a rimanere sospeso sine die, è l’obbligo per le Regioni di creare un Centro unico di prenotazione integrato con le agende delle strutture pubbliche e private accreditate che prevede anche l’introduzione di un sistema di disdetta delle prenotazioni, il divieto di chiudere le agende, l’attivazione dei percorsi di garanzia che assicurano al paziente che non riesce ad ottenere una prestazione in tempi congrui dal pubblico di poterla ricevere dal privato convenzionato o tramite l’attività intramoenia.
Soltanto in questo modo sarebbe possibile non assistere più a situazioni che hanno del paradossale come quanto accaduto alla ASL di Taranto e riportato dalla cronaca nei giorni scorsi ove una donna ha ricevuto una chiamata telefonica dal locale ospedale, il quale comunicava di aver inserito il coniuge in lista d’attesa.
Peccato che il paziente, oltre che già defunto da un anno, avesse fatto ricorso alla sanità privata presso la quale aveva, a sue spese, subito l’intervento chirurgico.
Perché, come a chiare note osservato nella delibera, l’abbattimento dei tempi di attesa per le prestazioni sanitarie è uno degli obiettivi prioritari del SSN e l’erogazione dei servizi entro tempi appropriati, rispetto alla patologia e alle necessità di cura, rappresenta una componente strutturale dei LEA, così come previsto dal DPCM del 29 novembre 2001.
La velocizzazione dell’attuazione delle misure contenute nel D.L. n. 74/2024, che sola può rappresentare un valido strumento per conseguire i descritti risultati, è soluzione non più procrastinabile da attuare dopo un ripensamento dei meccanismi che delineano le modalità di individuazione degli obiettivi degli enti del SSN in materia di liste di attesa e la determinazione e la liquidazione delle relative risorse statali messe a disposizione.
Proprio come dall’interlocuzione intercorsa tra Ministero e giudici contabili, è emerso.
Fernanda Fraioli
Procuratore regionale per il Piemonte