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L’importanza della dimensione organizzativa delle aziende sanitarie 

di Mario Alparone

30 APR -

Gentile Direttore,
la dimensione organizzativa all’interno delle aziende sanitarie è molto importante così come in tutte le aziende di rilevanza strategica. Questo non si traduce ovviamente solo nell’avere un chiaro organigramma e regolamento delle funzioni, sarebbe troppo semplicistico, ma sicuramente anche questo ha la sua rilevanza per migliorare l’efficacia dell’azione. Sull’efficienza vanno poi agite leve di carattere trasversale tipicamente definite da processi e percorsi attraverso strumenti di organizzazione differenti.

Quindi, non tanto per incapsulare le responsabilità aziendali in inutili verticalizzazioni gerarchiche, molte delle quali appunto hanno sicuramente una dimensione trasversale sia in ambito clinico sia per le strutture di supporto, è importante definire chiaramente le responsabilità aziendali per indurre cambiamenti strutturali e non legati solo alla buona volontà ed alle capacità’ dei singoli.
Diversamente anche l’azione del più lungimirante e capace dei direttori generali rischia di vanificarsi e di incontrare serie difficoltà di ‘messa a terra’.

Quante volte ci siamo sentiti dire “si ha ragione direttore ma io non ho questa responsabilità”. Da questo punto di vista (organizzativo) ritengo che in sanità ci siano molti ambiti di miglioramento.

Vorrei brevemente analizzare alcuni tra i principali ambiti di riflessione e ripensamento della dimensione organizzativa che mi è capitato di affrontare come Direttore Generale di una azienda sanitaria pubblica, alcuni dei quali, eclatanti, se confrontati con quelli a cui ero abituato nella mia esperienza di dirigente apicale in ambiti lavorativi diversi.

Andiamo con ordine, partendo dall’alto. La cosiddetta Direzione Strategica. Le aziende sanitarie purtroppo, con l’unica eccezione degli IRCCS, sono aziende monocratiche nelle quali il Direttore Generale, anche da un punto di vista organizzativo, accentra molte, troppe, responsabilità in maniera diretta. Questo funge infatti da Legale rappresentante, come il Presidente di un cda ed anche da CEO (Chief Executive Officer o Amministratore Delegato) ed a lui riportano appunto molte strutture in maniera diretta. Questo accentramento eccessivo di funzioni rappresenta un limite allo sviluppo della società ed anche alla corretta suddivisione delle responsabilità aziendali limitando l’esercizio della delega che è anche fondamentale per far crescere la professionalità apicale dei dirigenti strategici.

Ora, se si vanno ad analizzare gli organigrammi delle aziende sanitarie, soprattutto fino a qualche anno fa, si nota che i due o tre direttori strategici (in alcune regioni esiste il Direttore sociosanitario ed in altre no ed anche questa cosa penso vada omogeneizzata) che affiancano, come primi collaboratori, il Direttore Generale vengono disegnati come funzioni a generico supporto del Direttore.

Funzioni? Sì cioè non sono a riporto specifico e diretto del Direttore Generale e da loro non dipendono altre funzioni. Come se fossero un gruppo di advisor del Direttore Generale senza attribuzioni specifiche. Nella tassonomia della legge sanitaria non sono inoltre considerati come organi aziendali (lo sono il direttore generale, il collegio sindacale, il collegio di direzione) ma non la direzione strategica.

Ed allora come può esprimersi al meglio tale Direzione se non è chiara l’attribuzione di compiti e responsabilità? Abbiamo voglia poi di fare seminari e convegni sul ruolo delle Direzione strategiche e su cosa voglia dire leadership del cambiamento. Teoria se poi non si definiscono con chiarezza ruoli, responsabilità e riporti.

Nel primo incarico che assunsi come direttore generale spiegai subito ai miei diretti collaboratori cosa mi aspettassi da loro con una semplice frase che evidenziava la necessità di dare perimetro, responsabilità ed anche autonomia ai miei primi riporti. In riunione dissi loro: Signori io gestisco tre persone voi tremila. Poi coerentemente disegnai l’organigramma con un riporto diretto di ognuno di loro sul direttore generale ed un ambito di riferimento delle responsabilità chiaro: direttore sanitario ambito ospedaliero, direttore sociosanitario ambito territoriale, direttore amministrativo macchina di governo aziendale ed amministrativa.

Ora sembra scontato e la Regione Lombardia, ad esempio, ci arrivò alcuni anni dopo suggerendo nei POAS ( Piano di organizzazione aziendale strategico) la definizione di Polo Ospedaliero e Polo Territoriale ma nel 2016 non era così. Scontato infatti non era e forse ancora oggi lo è solo sulla carta e dico subito il perché.

Il direttore socio sanitario era appena stato introdotto dalla legge 23/2015 e le sue competenze e responsabilità erano prive di applicazioni concrete. Ad esempio nel mio POAS chiarii che, indipendentemente dal fatto che sul territorio si erogassero prestazioni sanitarie (tipicamente ambulatoriali) o sociosanitarie la responsabilità organizzativa delle unità territoriali era del direttore sociosanitario che si avvaleva del direttore sanitario solo per la conduzione clinica ma non organizzativa e le risorse sul territorio anche i medici e gli infermieri riportavano gerarchicamente a lei/lui. Passaggio non scontato. Ora ci sono anche i distretti introdotti con il dm 77 diversi anni dopo.

Anche il direttore amministrativo aveva delle attribuzioni da rivedere. Ad esempio non risponde del bilancio e non ha la responsabilità del controllo di gestione. Il Bilancio nelle aziende sanitarie viene firmato dal Direttore Generale e dal direttore della struttura di Bilancio. Il controllo di gestione poi veniva messo a riporto diretto del direttore generale creando una frammentazione tra il momento della Pianificazione e della rendicontazione e della necessaria revisione degli obiettivi che doveva ricomporre direttamente il direttore generale. Nella ordinaria organizzazione aziendale il ciclo di panificazione/rendicontazione ed analisi degli scostamenti con la necessaria poi verifica delle azioni da intraprendere per raggiungere gli obiettivi di budget viene attribuita al direttore finanziario, il cosiddetto CFO (Chief Financial Officer). Figura che in sanità non esiste essendo il direttore amministrativo solo a capo delle funzioni giuridico amministrative (personale, acquisti, affari generali etc). Anche in questo caso riunii le responsabilità con grande disappunto del mio allora direttore amministrativo che poi, nel tempo, capì.

Sulle strutture di supporto vorrei fare solo un accenno a quelle dei sistemi informativi anche se ci sarebbe da intrattenersi su diverse altre.

Sicuramente una struttura fondamentale per supportare al meglio sia l’azione strategica sia l’azione clinica sia la dimensione della gestione dell’accoglienza e delle prestazioni verso l’utenza esterna. Eppure concepita in maniera purtroppo tradizionale in termini di competenze ed esercizio del ruolo nell’ esperienza che ho avuto io. Non me ne vogliano i tanti ottimi direttori IT delle aziende sanitarie. Nelle moderne aziende sanitarie la complessità dei supporti tecnologici necessari e delle esigenze aziendali comporta il profondo ripensamento del ruolo della funzione. Non serve più chi sviluppa codice, ci sono le soluzioni software di mercato specialistiche che coprono molto bene e da anni le esigenze degli utenti, anche dal punto di vista dell’infrastruttura fisica e del cosiddetto ‘ferro’ (hardware) la scelta del cloud ha sicuramente irrobustito anche dal punto di vista di sicurezza, una dimensione che prima normalmente veniva gestita con non poche difficoltà in casa.

Quella che secondo me è mancata è una IT strategy che fosse in grado di gestire la complessità del cambiamento e la complessa interoperabilità tra i sistemi. Ogni volta che entravo in una azienda la prima cosa che chiedevo al mio IT manager era la mappa logica dei sistemi applicativi aziendali. Alcuni rispondevano dopo due mesi ed in maniera parziale. Una capacità quindi di creare una architettura di sistema abilitante il cambiamento e con una costruzione logica ma integrata di applicativi specialistici. Una visione di sistema macro e non micro. Altro fondamentale ruolo che ho trovato carente in tali funzioni è stata la capacità di svolgere efficacemente da anello di congiunzione tra le esigenze utente (cliniche ed amministrative) e quello dei principali software vendor e la capacità di gestire e realizzare progetti. Questo causava progetti infiniti nella maggior parte dei casi non gestiti con logiche professionali di project e programme management dove era difficile comprendere quali fossero le reali difficoltà implementative per indirizzare soluzioni che molte volte erano di natura organizzativa e non IT. Non era un problema di volontà delle persone, ci mancherebbe, ma di competenze. Mancavano le competenze funzionali e organizzative. Ovvero quelle che hanno gli analisti funzionali che riescono a tradurre le esigenze utente in realizzazioni tecniche. Queste competenze non erano nel DNA delle tradizionali funzioni IT abituate, una volta a scrivere codice oppure a gestire data center cose non più necessarie. Si tratta di dotarsi di funzioni che siano in grado di abilitare il cambiamento organizzativo attraverso skills che vanno dalla mappatura dei processi a quelli della programmazione e della verifica strutturata degli stati avanzamento.


Ecco quindi la mia idea di creare funzioni che abilitino il cambiamento attraverso l’introduzione di queste figure in azienda che siano in grado di comprendere i bisogni, analizzare i processi, realizzare soluzioni tecnologiche gestendo in maniera efficace il rapporto con i fornitori in ottica di partnership e non di dipendenza. Attenzione si possono comprare supporti da consulenti esterni di premiate aziende del settore ma questa soluzione la vedo, nel lungo termine, poco lungimirante perché quelle competenze sono ormai necessarie in maniera strutturale nelle aziende sanitarie. Raggruppai così figure di ingegneri gestionali ed analisti di processi in strutture di gestione operativa (prima confinate a progetti di gestione delle sale operatorie) unificandole con i vecchi Sistemi informativi e talvolta anche le ingegnerie cliniche (oggi sempre più caratterizzate da competenze di processo organizzativo). Queste funzioni sono inoltre fondamentali per riuscire a creare quelle trasversalità, tra funzioni organizzative, non colte dagli organigrammi aziendali per definizione verticali per realizzare progetti strategici di cambiamento.

Anche sui capi dipartimento ci sarebbe da ragionare ed a lungo. Una funzione fondamentale in una azienda sanitaria per collegare la strategia aziendale alla dimensione clinica ma che bisogna sviluppare in termini di interpretazione del ruolo, per ora troppo confinato ad una dimensione solo clinica e poco organizzativa. Lo farò in una prossima edizione perché merita uno spazio adeguato. Per ora mi limito a concludere che le aziende sanitarie sono organizzazioni di professionisti e quindi particolari e differenti rispetto ad aziende commerciali o manifatturiere perché il principale asset che le caratterizza sono appunto i professionisti e non il prodotto o il servizio ma non per questo non necessitano di investire tempo e sforzi in organizzazione aziendale in termini di strumenti e cultura.

Mario Alparone
Già Direttore Generale di aziende sanitarie



30 aprile 2025
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