Rivoluzionari di professione o professionisti rivoluzionari della salute?
di Edoardo Turi
09 MAG -
Gentile Direttore, leggendo l’ultimo libro di Ivan Cavicchi (Art. 32 Un diritto dimezzato. Castelvecchi, Roma) e la prefazione di Giuseppe Conte, già Presidente del Consiglio, come è noto, prima con la Lega di Salvini (2018-2019) e poi con il PD, Liberi e Uguali e Italia Viva (2019-20121), si ha la sensazione di un cambiamento di paradigma da parte dell'autore.
Innanzitutto perché l’approccio politico e quello epistemologico si intrecciano, diversamente dalle precedenti opere, in cui i piani rimanevano separati. Ciò lo può notare più agevolmente chi, come chi scrive, proviene sia dal punto di vista generazionale e politico che dallo stesso mondo e percorso di Ivan Cavicchi, che conosco da almeno quaranta anni, seguendo il suo pensiero e il suo lavoro nel corso del tempo. Entrambi veniamo dalla stessa sinistra di derivazione marxista. Una sinistra che sin dagli anni ‘60 e ‘’70 del secolo scorso era fortemente radicata sul territorio e nei luoghi di lavoro, presente nelle istituzioni locali e nazionali, con una idea forte di trasformazione della società in senso anticapitalista, pur con tutte le contraddizioni, anche drammatiche, che ciò poteva comportare.
Ivan Cavicchi inoltre ha fatto parte del mondo del lavoro: operatore sanitario negli anni Settanta e militante (come si diceva un tempo: oggi questa parola è stata sostituita con attivista per l’ambiguità militare che contiene quando dagli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso la guerra è riapparsa con gli euromissili, le guerre nella ex Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Libia, Ucraina, Gaza, ecc. come scenario plausibile nelle nostre vite). Una sinistra radicale ma non estremista (il manifesto-PdUP), con e dentro la CGIL, anche criticamente. Una sinistra critica verso il Partito Comunista Italiano (PCI) e contro il compromesso-storico con la Democrazia Cristiana (DC), che ha rappresentato con il Governo di G. Andreotti nel 1978 e l’astensione del PCI, il quadro politico in cui è stata approvata la Riforma Sanitaria con la L. n. 833/1978. Il rapimento e l'uccisione di A. Moro e il terrorismo furono solo il seguito sanguinoso del mancato compimento di quel processo di trasformazione sociale politica dell’Italia dopo il suo lungo Sessantotto, bloccato dallo stragismo fascista con la complicità dei servizi segreti, dalla feroce reazione internazionale ad ogni cambiamento democratico in occidente (Marco D’Eramo, Dominio. Feltrinelli, 2020), di cui il golpe in Cile fu uno degli episodi, portando il PCI alla politica dell'unità nazionale.
Queste vicende hanno segnato drammaticamente l’evoluzione normativa della sanità in Italia e la sua concreta attuazione (
https://www.blog-lavoroesalute.org/malapolitica-sanitaria-salute-e-sanita-in-italia-tra riforme-e-controriforme-di-governi-e-ministri/), costituendo la modalità italiana del compromesso socialdemocratico tra capitale e lavoro. Ma quella sinistra di derivazione marxista da allora ad oggi non è più stata la stessa. Ci chiediamo se non anche da prima come fa Enzo Traverso (E. Traverso. Rivoluzione 1789-1989: un’altra storia, Feltrinelli, 2021) e come ho già avuto modo di scrivere su Quotidiano Sanità
https://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=94172, recensendo un precedente libro di I. Cavicchi. Soprattutto nel momento in cui progressivamente perdeva radici e radicamento sociale, diventava una pura “espressione geografica” parlamentare, accettando le compatibilità del sistema economico e sociale che avrebbe voluto trasformare.
In questo difficile contesto I. Cavicchi, al contrario di chi scrive, scelse di fare il salto (come molti di quella stessa generazione anagrafica e politica) da lavoratore o studente “militante”, a “militante politico di professione”. Ruolo non nuovo nel mondo politico tradizionale, ma per coloro i quali si inserivano come I. Cavicchi nel solco del movimento operaio e democratico ciò coincideva con il “rivoluzionario di professione” (V.I. Lenin, Che fare? 1902), esperienza che lui ha fatto non nel partito ma nel sindacato CGIL, un sindacato ancora oggi con milioni di lavoratori iscritti, ma che non poteva non portare al suo interno tutte le contraddizioni della sinistra.
Con quelle contraddizioni I. Cavicchi ha dovuto fare i conti e in particolare con quella che M. Weber aveva individuato tra chi vive “di politica” e chi vive “per la politica” (M. Weber La politica come professione, 1919 ne “Il Lavoro intellettuale come professione”, Einaudi 1980).
Di fronte alle asperità nella CGIL I. Cavicchi sceglie di tornare alla “professione” con un suo percorso, per un breve tratto forse discutibile, ma non più di altri (che dire di chi ha fatto il Direttore generale nei Ministeri, nelle Aziende sanitarie, nelle Regioni o l’assessore, il ministro o il parlamentare avallando le politiche che hanno veicolato la sanità al punto in cui ci troviamo?).
Questo percorso lo porterà al ruolo di sociologo della medicina, professore universitario e pubblicista. Da "rivoluzionario di professione” un ritorno, in veste diversa, a “professionista rivoluzionario” nella scia, si parva licet, di Giulio Maccacaro, Franco Basaglia, Laura Conti e Giovanni Berlinguer, che, con il loro bagaglio culturale e politico, hanno tentato di cambiare la società e le istituzioni in senso “rivoluzionario” anticapitalista, nella consapevolezza, che è la stessa di I. Cavicchi, del rapporto stretto tra ambiente, salute ed economia. Ma cosa vuol dire “rivoluzionario” allora come oggi nel mondo della salute, della medicina e della sanità? Come scriveva L. Conti (medica e ambientalista): “...siamo biologicamente conservatori perché vogliamo conservare l’essere umano così come è (ndr: il disabile, il malato cronico, ecc. curandolo per evitarne la morte), ma per farlo dobbiamo essere socialmente rivoluzionari” (L. Conti, Questo pianeta. Editori Riuniti 1983).
Ecco, molti di noi come l’attore Luigi Lo Cascio nella figura dello psichiatra Nicola Carati nel film La meglio gioventù (2003), hanno scelto di essere “professionisti rivoluzionari” (nella sanità, nella scuola, nell'università, nella magistratura, nella pubblica amministrazione, nell’informazione, nell’industria, nell’agricoltura), iniziando dalla scomoda critica del proprio ruolo sociale, anche perché i “rivoluzionari di professione” (la sinistra), hanno spesso tradito il loro mandato. Ma l’ulteriore salto che fa I. Cavicchi è da “lavoratore intellettuale" (e in sanità il lavoro intellettuale e quello manuale sono molto meno separati che in altri campi) a “funzione intellettuale” come chiarisce lo storico David Bidussa (D. Bidussa, Pensare stanca. Passato, presente e futuro dell’intellettuale Feltrinelli, 2024). Funzione scomoda per il potere e le nostre tranquille coscienze.
Scrive D. Bidussa: “Il lavoro intellettuale non è una ‘estetica del pensiero’, ma è fatica di pensare. Un corpo a corpo con le cose che si tenta di stringere, che ci si sforza di mettere a giorno, e di proporre alla pubblica discussione. L’impegno è prendere in carico i problemi, misurarsi con le ansie del proprio tempo, provare a dare risposte che replicano a domande. E quelle risposte, per essere proficue e per segnare una crescita, devono provocare nuove domande”.
Ed è questo che fa I. Cavicchi con l’ultimo libro della sua trilogia edita da Castelvecchi (Sanità pubblica addio. Il cinismo delle incapacità, 2023; Salviamo la sanità. Una riforma necessaria per garantire il diritto di tutti, 2024), in cui vuole indicarci la strada, che può apparire ingenerosa al costituzionalista, di rileggere l’art. 32 della Costituzione alla luce delle contraddizioni sociali e politiche di oggi.
È ancora valido quell’articolo della Costituzione? La Costituzione della Repubblica italiana nacque da un compromesso tra le forze politiche che formarono la costituente nel 1946 e le culture liberale, socialista, comunista e cattolica cui esse facevano riferimento (benché liberali e cattolici avessero avuto un ruolo determinante nell’ascesa del fascismo e più sfumato nella Resistenza), ma senza i post/neofascisti. La Costituzione fu promulgata nel 1947 e il 1948 è l’anno in cui l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) coniava la sua definizione di salute come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplicemente l'assenza di malattia o infermità”. La parola salute in Costituzione va letta dunque tramite quella definizione che poi nel 2011 l’OMS ha aggiornato come: “la capacità di adattamento e di autogestirsi di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive”.
Nella formulazione dell’art. 32 il compromesso tra le culture costituenti è evidente: ” La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. “Repubblica” e non Stato per la forma che essa assume al successivo art.114 (La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato), in base al sospetto che dopo venti anni di dittatura fascista i costituenti avevano nei confronti dello stato centrale (governo, ministeri); “individuo” in ossequio a una impostazione liberale (e non “persona”, termine più tipico del mondo cattolico); "collettività" in armonia con le culture socialiste e comuniste (anche qui non “comunità” lessico della cultura cattolica che poi, guarda caso, sostituirà “salute” da “case della salute” a “case di comunità” come evidenziato in
https://www.blog-lavoroesalute.org/ma-cosa-sono-queste-case-di-comunita/), “diritto fondamentale” l’unico così definito in tutta la Costituzione; “indigenti” (quindi né poveri, né proletari sempre continuando un’analisi semiotica del testo costituzionale), in cui la solidarietà prende il sopravvento sugli egoismi. Indigenti saremmo tutti se dovessimo pagarci l'assistenza sanitaria di tasca nostra ma al tempo stesso non è gratuita tranne che per coloro i quali essendo “indigenti” non contribuiscono alle spese che la Repubblica sostiene per la salute tramite il prelievo fiscale che deve essere proporzionale al reddito in base all’art. 53 della Costituzione (Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Il sistema tributario è informato a criteri di progressività). Ma già con questi ulteriori riferimenti costituzionali oltre l’art. 32 e alla luce del lavoro di Michael Marmot sui determinanti sociale e le disuguaglianze della salute (M. Marmot La salute diseguale. La sfida di un mondo ingiusto. Il Pensiero Scientifico Editore, 2016) e degli artt. 3 (eguaglianza), 9 (ambiente), 34 (istruzione), 36 (reddito), 38 (disabilità) e 41 (danno alla salute e all’ambiente), vediamo che la salute può essere qualcosa che va ben oltre la sanità e le cure. La Costituzione diventa così un corpo vivo in quanto terreno di conflitto democratico tra le forze sociali e politiche e le rispettive culture che vi hanno dato vita nel 1947. Quindi ne prevale una lettura o un'altra in base alla capacità di organizzazione del conflitto politico nella società. Conflitto cui la sinistra sembra aver da tempo abdicato, così da rendere l’art. 32 un “mezzo diritto” come scrive I. Cavicchi.
Se la salute non attraversa tutte le politiche (ambientali, reddito, lavoro, casa, istruzione, servizi) i danni per la salute si scaricheranno tutti, come già avviene, sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN). La cui sostenibilità è diventato il mantra dei “professionisti della difesa del SSN”, parafrasando Leonardo Sciascia sulla mafia (Corriere della sera, 10 gennaio 1987). Ma è proprio per questa sua valenza democratica e socialmente avanzata che la Costituzione repubblicana è stata oggetto di modifiche, avvallate, purtroppo, da quasi tutte le forze politiche ma il cui stravolgimento oggi è uno degli obiettivi del governo di destra-centro.
Si è iniziato con il referendum Segni che ha eliminato il sistema elettorale proporzionale voluto anche dal PDS (eredi del PCI), poi la riforma del Titolo V votata dai DS (eredi del PCI) dai Popolari/Margherita (eredi della DC), l’eliminazione del Senato e la riduzione dei parlamentari (e qui anche i 5 Stelle hanno le loro responsabilità). Fino alle proposte di autonomia regionale differenziata e premierato del governo in carica. Siamo sicuri che oggi il Parlamento sarebbe in grado di modifiche riformatrici più avanzate?
Ci auguriamo che l'ipotesi formulata da I. Cavicchi di salute come meta diritto, la compossibilità tra ambiente, economia e salute oltre le politiche neoliberiste, il superamento dell’aziendalizzazione in sanità, la predicibilità, la cabina di regia, riescano ad aprire il dibattito a sinistra su ambiente, salute e sanità e che la fiducia nei 5 Stelle sia ben riposta considerando che comunque, senza il loro apporto, la sinistra non avrebbe alcuna speranza di vincere le elezioni. Ma per questo si rimanda alla lettura del libro. Con una speranza per la nipotina Livia, da cui il libro trae spunto, per noi operatori sociosanitari e per la collettività: che si apra una breccia nel pensiero egemonico neoliberale che ha contagiato, pur con varie sfumature, tutta la sinistra e augurando a I. Cavicchi, con le parole di D. Bidussa, che continui il suo impegno: “una vocazione in cui ciò che è in gioco non è predicare il vero ma sforzarsi di dare forma al giusto”.
Edoardo TuriMedicoDocente di Igiene medicina sociale Sapienza Università di Roma,Già Direttore di Distretto ASLAttivista di Medicina Democratica e del Forum per il Diritto alla Salute
09 maggio 2025
© Riproduzione riservata
Altri articoli in Lettere al direttore