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Salute mentale: diritti dimezzati o diritti illusori? 

di Andrea Angelozzi

19 MAG -

Gentile Direttore,
è sempre interessante leggere gli scritti di Ivan Cavicchi, e anche la lettura del suo recente “Articolo 32. Un diritto dimezzato” suscita inevitabilmente una serie di riflessioni relative all’ambito della salute mentale.

È infatti facile ritrovare anche nella Legge 180/78, le caratteristiche con cui norme assiomatiche, che definiscono in modo non dinamico solo le condizioni iniziali, portino poi di fatto a diritti dimezzati. E vi ritroviamo un problema basilare di “anomia”, dove cioè la salute, in questo caso mentale, non ha una definizione; manca infatti, direbbero i sostenitori del lean thinking, il valore da raggiungere, ponendo quindi tutto a rischio di essere “muda”, spreco.

In effetti la Legge 180/78 è scritta in gran parte per negativo, con la cancellazione dell’ospedale psichiatrico e dell’arbitrio nei trattamenti coatti, ponendo il positivo come un riflesso, centrato tuttavia solo sulla malattia: le condizioni per i trattamenti obbligatori, il privilegio per la volontarietà e per i trattamenti territoriali, i posti letto in ospedale generale. Ma nemmeno una parola è spesa per descrivere un possibile modello di salute mentale, quel concetto di incolumità ed integrità che può nascere solo da una visione complessa, che tenga conto delle variabili ambientali, sociali, economiche e soprattutto del loro mutare. Ci si occupa cioè di patogenesi, ma non di salutogenesi, ed il riferimento alla prevenzione, senza un modello di questo tipo, è solo fare clinica anticipata. Questo sorprende, tenendo conto del clima culturale in cui la Legge di Riforma era nata, facendo sospettare che la fretta di evitare le conseguenze referendarie sia stata una problematica consigliera.

Non a caso, coerentemente con quanto ci ricorda Cavicchi per la salute in genere, manca un reale riferimento alla speranza di vita ed alla sua qualità, che ora ci si palesa davanti drammaticamente nella grave minore aspettativa di vita dei pazienti psichiatrici (da 15 a 25 anni) ed in una logica emergente di cronicità e di lungo assistenza, in gran parte anche istituzionale.

Così come ritroviamo due problemi essenziali: in primo luogo la aziendalizzazione, che ha di fatto riformato la Legge 180/78 e ridotto in modo definitivo i diritti del malato psichico per un benessere in tutti i suoi aspetti, nel più limitato diritto a prestazioni di cura esigibili, per giunta erogabili secondo vincoli di disponibilità economica.

In secondo luogo la crescente privatizzazione sostitutiva, che ha delegato a soggetti privati quello che poteva avere senso solo come complessa integrazione fra i tanti attori pubblici che costituiscono la comunità di vita della persona. Una questione che pone non pochi problemi in relazione all’art 41 della Costituzione che dice che l’iniziativa economica è libera, ma non può svolgersi in contrasto con con la salute, l’ambiente, la sicurezza e la libertà e dignità umane.

Ma soprattutto Cavicchi ci ricorda che la complessità non può essere né irrigidita né ridotta a pochi enunciati pietrificati. Tradotto nel mondo della salute mentale, ci suggerisce di scoprire i suoi “metavalori” cioè le condizioni necessarie purché una persona possa avere una adeguata speranza di vita e salute, i cambiamenti che possono determinarla, i modi in cui può essere espressa e costruita, anche nell’interesse per le future generazioni, come da art 9 della Costituzione.

Ed occorre costruire un “metadiritto”, diverso dal semplice diritto, perché all’enunciato che lo dichiara allega sempre i modi e le condizioni per essere concretamente organizzato, obbligando la politica a costruire i mondi possibili che connettano ambiente, economia, società e sanità e permettano programmi che si possano adattare ai mutamenti.

Di fatto non è questo ora il mondo della salute mentale. Non solo l’enunciato legislativo di base è monco del valore da raggiungere ma ha dimostrato nel tempo la incapacità di costruire modelli complessi con una realtà in evoluzione. Nel 1978 il problema erano gli ospedali psichiatrici ed i pazienti ricoverati da anni, ora gli stessi servizi si trovano con una incidenza first ever per la fascia 18-25 anni, che è passata, sul totale annuo, dal 7% del 2015 al 13% del 2023; si trovano con una gestione senza strumenti della situazione conseguente alla chiusura degli OPG che assorbe risorse infinite; e con patologie che 10 anni or sono avevano un impatto irrisorio rispetto a ora.

Il tutto senza che siano state aggiunte risorse e con questo non intendo solo le risorse economiche, inferiori perfino in valori assoluti rispetto a quelle del passato, ma soprattutto di pensiero. Ci si limita, come nel jazz, a variazioni sul tema, pensando che basti aggiungere compiti e concetti. Si lanciando linee di indirizzo senza che esista chi le possa applicare, si aggiungono ambulatori specialistici per patologie, che frammentano e disperdono; si assiste al proliferare di altri soggetti (la psicologia ospedaliera o la psicologia di base, giusto per fare esempi) che agiscono in maniera isolata e fuori da un progetto comune. Lo stesso Sistema Informativo Salute Mentale aggiunge numeri, ma senza avere voce, e ci illustra quanto accaduto, senza però che ne emerga un minimo di programmazione futura.

A questi diritti dimezzati, nel caso della salute mentale, credo però vada aggiunto un aspetto specifico: ci sono anche i diritti illusori.

E’ un po’ come se la organizzazione della salute mentale in Italia chiedesse al fondo che non si creda a quanto sinceramente afferma. Si è affermato il diritto di non essere chiuso per anni in manicomio, ma si sono aperte strutture residenziali senza reale riabilitazione e limite di permanenza; si è affermato con la chiusura degli OPG il diritto per i malati autori di reato alla cura ed alla riabilitazione, ma anche nel recente incontro al Consiglio Superiore della Magistratura del 15/05/2025 è stata ribadita dalla psichiatria la richiesta di strutture di custodia per “inemendabili”; si ribadisce il diritto ad essere curati nel territorio di vita, ma di fatto sono i ricoveri che vanno alla grande, mentre i centri di salute mentale si impoveriscono; si è ribadito il diritto dei pazienti psichici ad essere ricoverati come gli altri negli ospedali generali, ma di fatto in molti ospedali gli SPDC sono corpi estranei, spesso anche formalmente avulsi dal resto, e talvolta collocati in strutture periferiche che dell’ospedale generale non hanno nulla; si è ribadito il diritto ad una relazione terapeutica ed alla sua continuità, ma la cura vede spesso l’avvicendarsi di terapeuti per i motivi più vari, e l’unica costante è il trattamento farmacologico, ogni tanto rimaneggiato e non sempre alla luce dell’EBM. Si è parlato di prese in carico totali degli aspetti psichici, sociali e medici, ma poi alla fine sono moltissimi i pazienti abbandonati ad essere gestiti da famiglie abbandonate a sè stesse. Si è sbandierato il TSO come uno strumento finalmente rispettoso dei diritti e della dignità della persona, ma poi la Cassazione stessa pone alla Corte Costituzionale dubbi sul reale consistenza di questo rispetto e comunque la contenzione impera senza dati e senza controllo.

Alla fine la normativa, la organizzazione, e talvolta la stessa cultura della psichiatria in Italia, come in un gigantesco quadro di Magritte, che raffigura una pipa con il titolo “Questa non è una pipa”, proclama diritti che alla fine non rispetta, quasi che al fondo non ci creda veramente. Per carità le situazioni sono tante e presentano problemi diversi, ma allora, appunto, smettiamola con i grandi proclami e guardiamo a cosa realmente viene fatto.

Dei tanti mondi possibili di cui ci parla Cavicchi, ha preso forma questo, e, fino a che non lo si accetta di vedere, non vedo come possa svilupparsi quella cultura della complessità, ove diritti e metadiritti siano chiari e che apra ad una reale programmazione di quello che serve e soprattutto di quello che servirà per le generazioni future.

Andrea Angelozzi

Psichiatra



19 maggio 2025
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