Accesso diretto e inappropriatezza: il rischio di smarrire il senso della riabilitazione
di Mauro Piria
19 GIU -
Gentile Direttore,ho letto con attenzione e rispetto la
riflessione proposta da un giovane fisioterapista, animata da un sincero spirito costruttivo e dalla volontà di promuovere un dialogo tra professioni sanitarie. Tuttavia, come medico fisiatra, non posso non rilevare alcune gravi omissioni e fraintendimenti di fondo, che rischiano di compromettere l’efficacia e la sicurezza del percorso riabilitativo a discapito, in primis, del cittadino.
L’articolo in questione propone, con favore, l’accesso diretto del cittadino al fisioterapista in ambito privato, suggerendo una ridefinizione dei ruoli fondata su percorsi formativi magistrali e sul modello anglosassone dell’“extended scope practitioner”. Questo approccio ignora completamente il “Piano di Indirizzo per la Riabilitazione” del 2011, documento ufficiale della Conferenza Stato-Regioni, che rappresenta il riferimento normativo e organizzativo dell’intero sistema riabilitativo italiano.
Questo documento – tuttora attuale, operativo e coerente con i bisogni clinici e organizzativi della riabilitazione moderna – non è un retaggio del passato, ma rappresenta un modello di presa in carico basato sulla sicurezza, l’interdisciplinarietà e l’appropriatezza degli interventi. Esso stabilisce che il percorso riabilitativo debba essere attivato e coordinato da un medico fisiatra, che elabora un Progetto Riabilitativo Individuale (PRI) dopo una valutazione globale della persona, integrando le competenze di tutti i professionisti coinvolti.
Questa architettura non è burocratica: è una garanzia per il cittadino. Evita il rischio di diagnosi mancate o errate, assicura l’inquadramento delle patologie sottostanti, individua eventuali controindicazioni e comorbidità, e guida la scelta di trattamenti mirati e realmente efficaci. In altre parole, tutela il paziente da percorsi inappropriati, inefficaci o potenzialmente dannosi.
Nella lettera il fisioterapista delinea un modello che, seppur suggestivo, descrive un mondo irreale, dove le patologie di interesse riabilitativo sembrano sempre riconducibili a “quadri semplici” e puramente muscolo-scheletrici, facilmente gestibili in autonomia dal fisioterapista. La realtà clinica quotidiana è ben diversa: la persona che accede ad un percorso riabilitativo presenta spesso quadri complessi, comorbilità misconosciute, patologie internistiche, neurologiche, reumatologiche, metaboliche o neoplastiche che si manifestano inizialmente con sintomi funzionali aspecifici.
In questi casi, solo una diagnosi clinica approfondita e tempestiva — competenza esclusiva del medico — può garantire la sicurezza del paziente. Su questo punto non possono esserci zone grigie né mediazioni: serve una diagnosi, SEMPRE. Affidare l’inizio del percorso a chi non ha una formazione diagnostica completa espone il cittadino a rischi gravissimi di ritardo diagnostico o inquadramento improprio.
Non è raro, purtroppo, assistere a quella logica, talora dichiarata esplicitamente, secondo la quale «se dopo alcune sedute la fisioterapia non funziona, allora si invia il paziente al fisiatra». Questo approccio, oltre ad essere clinicamente scorretto, può rivelarsi fatale in alcuni casi — o, nel migliore dei casi, far perdere tempo prezioso al paziente, ritardando la presa in carico appropriata e compromettendo gli esiti funzionali.
La proposta di accesso diretto, soprattutto se estesa a condizioni non “minori” o non sufficientemente inquadrate, espone il cittadino a rischi rilevanti di inappropriatezza clinica: diagnosi errate o mancate (soprattutto in presenza di patologie non muscolo-scheletriche o di bandiere rosse non riconosciute), trattamenti non indicati o ritardati, sovrapposizione di percorsi non coordinati. Tutto ciò non solo può compromettere gli esiti funzionali, ma può determinare un aggravio di costi per il sistema sanitario, a causa di prestazioni ripetute, ricorso a consulenze tardive o, nei casi peggiori, eventi avversi evitabili.
È illusorio pensare che la sola estensione del percorso formativo possa sopperire alla mancanza di responsabilità diagnostica e clinica: la valutazione globale della persona, l’inquadramento differenziale di sintomi anche comuni, la gestione delle comorbidità, il monitoraggio farmacologico e l’appropriatezza prescrittiva sono atti medici, insostituibili per garantire la coerenza e la sicurezza del percorso di cura.
Ritengo quindi che ogni evoluzione della fisioterapia debba avvenire in un’ottica di integrazione, mai di sostituzione o surrogazione del ruolo medico. L’autonomia operativa del fisioterapista è essenziale e da valorizzare, ma deve rimanere nell’alveo di un sistema organizzato, dove ciascuno contribuisce con le proprie competenze, nel rispetto dei limiti professionali e soprattutto nell’interesse primario del paziente.
L’efficienza, la qualità e la sostenibilità della riabilitazione non si ottengono con scorciatoie, ma con modelli cooperativi basati sulla responsabilità clinica, sull’interdisciplinarietà e sull’appropriatezza.
Cordialmente
Mauro PiriaMedico fisiatraVicesegretario Nazionale ANF
19 giugno 2025
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