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Pronto soccorso e medici di famiglia. No al “tifo da stadio”

di Francesco Buono

24 APR - Gentile  Direttore,
leggo con estremo interesse gli articoli e le lettere riguardanti gli Amb Med, gli uni e le altre estremamente vari anche in campo di cultura generale, visto che si cita Leibniz e dopo la fine del memorabile “apartheid” sudafricano si propone una rivisitazione del concetto di “sviluppo separato” applicato questa volta alle professioni e non alle persone (almeno così sembra).
 
Originale e senz’altro degna di interesse appare anche la cura con la quale autorevoli esponenti del mondo ospedaliero individuano soluzioni valide per la Medicina del Territorio, forse concettualmente in contraddizione con l’assunto teorico di cui sopra (ma neanche tanto se, riconnettendoci idealmente all’apartheid stesso, ci rifacciamo ai rapporti all’epoca esistenti tra lo stato centrale e le homelands…).
Nell’ipotesi che alcuni di essi siano impegnati nella militanza politica o abbiano incarichi di partito, sarebbe utile sapere se il loro punto di vista sia esclusivamente personale o se rispecchi quello della formazione politica di appartenenza, ma tale dilemma non mi esime, rispettando l’evidente autorevolezza degli interessati,  dal venire incontro a tale impostazione adottando lo stesso criterio e prospettando quindi  a mia volta l’individuazione delle opportune soluzioni per i numerosi  -  ahimè -  problemi della medicina ospedaliera.
 
Innanzitutto la grande numerosità delle strutture sanitarie, nei numeri addirittura imbarazzante se rapportata ad altri Paesi , mi pone l’interrogativo se essa non sia sovradimensionata rispetto alle reali esigenze dei cittadini ed oltremodo onerosa per le finanze pubbliche, atteso che al di là dei costi vivi di funzionamento materiale c’è da aggiungere il relativo esubero di Unità Operative Complesse e relativi Primariati.
Secondariamente, sarebbe interessante sapere alcuni dettagli in più sul meccanismo per il quale siano così enormemente rappresentati i codici verdi rispetto ai bianchi, dappoichè i secondi generalmente sono considerati “tipici” della Medicina del Territorio (anche se l’integralismo del Chronic Care Model che vedo prospettato teoricamente dovrebbe sottrarli a tale ambito operativo, almeno quelli in acuzie e non affetti da concomitanti patologie croniche…) che così platealmente negli anni passati è stata tacciata di “latitanza” nei consueti e stucchevoli articoli riguardanti il sovraffollamento dei PS, quest’anno fortunatamente assenti nelle cronache (non sarà forse per effetto dei vituperati  PVI e poi degli AMB MED???).
 
Infine, non guasterebbe, nell’interpretazione della multiforme realtà sanitaria del nostro Paese, sapere quale sia il percorso che può portare un PS per così dire “ordinario” a divenire Un DEA di I e II livello, il che gioverebbe all’interpretazione dei dati di chi volesse capire se le inesorabili leggi dei numeri non celino un inconfessabile “cui prodest”…
Forse, in un momento in cui, data la sfavorevole congiuntura economica del nostro Paese, non è facile pensare ad afflusso di finanziamenti aggiuntivi per il Comparto Sanità, una razionalizzazione dell’offerta ospedaliera potrebbe essere  economicamente necessaria e propedeutica alla “messa a sistema” della Medicina del Territorio a saldo invariato per lo Stato, e sarebbe a mio avviso auspicabile che ciò avvenisse per opportuna iniziativa politica, senza attendere eventuali azioni della Magistratura contabile.
 
Un celebre connazionale di Leibniz, Max Weber, molto si dilungò nella sua ricerca sociologica sulla differenziazione tra “etica della convinzione” e “etica della responsabilità”: ecco, forse il momento attuale richiederebbe a molti, in particolare a chi riveste cariche di rappresentatività, di adottare quest’ultima lasciando da parte il “tifo da stadio” che al momento appare sterilmente inutile se non dannoso.
 
Francesco Buono
Medico di medicina generale a Roma

24 aprile 2013
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