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Sul caso “Marlia”. Se le norme pensano più agli “spazi professionali” che al paziente

di M.T.Iannone e G.Candini

12 AGO - Gentile direttore,
nei mesi appena passati sono stati pubblicati numerosi articoli sul “caso Marlia” riguardante la vicenda dei due tecnici di radiologia rinviati a giudizio in quanto, a dire dei giudici, avevano “invaso” un campo di stretta competenza medica e, proprio in questi ultimi giorni, il “caso” si è ripetuto con l’invio di 12 avvisi di garanzia ad altrettanti Tecnici di Radiologia.
 
Pur non volendo entrare per nessun motivo in valutazioni di merito legate a vicende giudiziarie, tali episodi ci danno l’occasione di riflettere ancora sul problema non risolto della giusta collocazione, armonizzazione e collaborazione tra le figure professionali che operano utilizzando le radiazioni ionizzanti.  Se è vero, ad esempio, che la norma nazionale (il DLgs 187/00) che recepì la direttiva europea sull’argomento (97/43/EURATOM) ha posto un’eccessiva enfasi sulla figura del medico, va anche chiarito che, quando si afferma, in alcuni articoli pubblicati  anche in questo quotidiano (es.: QS 16 giugno 2013, QS 5 Luglio 2013), che il tecnico è abilitato “a svolgere in via autonoma gli interventi per la protezionistica fisica o dosimetrica”, il concetto di autonomia va, ovviamente, inquadrato e interpretato nell’ambito più complesso della operatività delle procedure di misura e non nella totale, se non addirittura esclusiva, competenza sulle problematiche di radioprotezione e dosimetria che viene invece riconosciuta ad altri professionisti. 
 
Ancora una volta si rileva quindi la tendenza a “dimenticare” che ogni figura professionale ha il suo ruolo, che il fisico specialista in fisica medica - fisico medico - ha compiti ben precisi in questo percorso e che è solo dalla giusta collaborazione, professionalmente competente  e umanamente sapiente, di tutti gli operatori coinvolti che può derivare la giusta protezione dei pazienti a cui offriamo i nostri servizi e che si affidano alla nostra professionalità.
In altri (es. QS 20 maggio 2013)si fa menzione di alcune modifiche intervenute nel recepimento della direttiva comunitaria rispetto al testo europeo, che hanno prodotto una norma nazionale non in linea con l’intendimento del legislatore sovranazionale con conseguenze che aprono a conflitti in quanto “interessate” a porre più attenzione e valore ad alcune figure. Ciò impone di intervenire fornendo ulteriori  contributi alla discussione con l’obiettivo di portare nuovi suggerimenti per il dibattito in vista della revisione della normativa che seguirà la nuova edizione della Direttiva comunitaria di prossima pubblicazione.
 
A questo proposito, per evitare che in futuro si ripeta quanto avvenuto nella fase di recepimento della Direttiva EURATOM  97/43, giova ricordare alcuni passaggi che hanno segnato il percorso che ha portato alla definizione del testo del D.Lgs 187/2000.
 
Allorquando fu possibile prendere visione della bozza della Legge, il testo apparve da subito contenere elementi che potevano arrecare seri pregiudizi per una corretta applicazione di un efficace sistema di radioprotezione del paziente e pertanto, tra le prime iniziative, venne scritta una lettera, a firma del presidente dell’AIFM ad alcuni parlamentari che ricoprivano incarichi nel settore della Sanità.
Nello stesso periodo, una lettera analoga, ma arricchita con alcune analisi dettagliate, fu inviata anche al Sottosegretario alla Sanità facendo riferimento al testo trasmesso alla Conferenza Stato Regioni nonché direttamente all’allora Ministro della Sanità Rosi Bindi con una lettera inviata il 1° Marzo del 2000.
Ma tutti i tentativi si dimostrarono vani e, in via informale, si venne a sapere che il motivo del mancato accoglimento delle nostre richieste fu dovuto ad una presa di posizione delle Associazioni Mediche dell’Area Radiologica le quali, senza mezzi termini, chiesero di non accettare gli emendamenti proposti dalla Associazione Italiana di Fisica Medica. Per tale motivo, l’AIFM scrisse ai Presidenti delle Associazioni una lettera per invitarli ad “un confronto allo scopo di trovare soluzioni che consentissero a tutti di poter operare nelle condizioni migliori  per la realizzazione degli obiettivi della direttiva”. A quella lettera, come del resto anche alle altre, non venne mai data risposta.
 
Stessa sorte toccò alla lettera del Sindacato SDS-SNABI inviata a firma del Segretario Nazionale, in data 14 Marzo 2000 al Ministro della Sanità e al Presidente della Conferenza Stato Regioni. In tale lettera, nella quale il Sindacato della Dirigenza Sanitaria  esprimeva pesanti critiche al testo di Legge in via di approvazione, tra l’altro, si leggeva: Il ruolo del fisico, secondo le indicazioni della Direttiva, assume  un rilievo non secondario per gli aspetti che riguardano l’ottimizzazione delle pratiche diagnostiche e terapeutiche nell’impiego delle sorgenti di radiazioni ionizzanti.
…………………………………
La figura del Responsabile di impianto radiologico, fatta coincidere con il medico specialista, rappresenta una evidente forzatura voluta dagli estensori del documento al fine di garantire ad ogni costo la totale autonomia decisionale del radiologo anche in un settore, quale quello della radioprotezione, per il quale la Direttiva ha individuato la necessità di definire specifiche responsabilità , apporti  pluridisciplinari e adeguati percorsi di formazione e aggiornamento.
Un'altra evidente alterazione dei contenuti della Direttiva è costituita dalla riscrittura dell'art.6 p.3 nella quale la frase "Negli interventi di radioterapia è rigorosamente associato un esperto in Fisica Medica" è stata cambiata in "Nelle procedure inerenti la radioterapia lo specialista deve avvalersi di un esperto in Fisica Medica".
Lo stesso dicasi per la frase successiva "Nelle pratiche terapeutiche normalizzate di medicina nucleare e nelle attività diagnostiche di medicina nucleare deve essere disponibile un esperto in Fisica Medica" che è stata modificata in " Per le attività di medicina nucleare in vivo deve essere possibile consultare un esperto in Fisica Medica" modificando quello che era un obbligo di disponibilità e quindi di presenza effettiva con una vaga possibilità di consultazione ed eliminando di fatto il contributo richiesto nelle attività di diagnostica in vivo.
Per le altre pratiche radiologiche si demanda ad apposite linee guida l’individuazione di quelle che eventualmente debbano prevedere l’intervento di un esperto in fisica medica per consulenza ………… se richiesto.
 
In sostanza in quella fase vennero completamente stravolti alcuni dei principi fondamentali contenuti nella direttiva e molti dei contenuti innovativi che prevedevano chiaramente invece funzioni, ruoli e responsabilità (datore di lavoro, responsabile dell’attività clinica, responsabile di controlli di qualità e della valutazione dosimetrica, esecutore delle attività pratiche e dell’esecuzione degli esami radiologici) si persero nei meandri delle “attività corporative”. Ogni richiesta di emendamento proposta alla Conferenza Stato-Regioni ricevette rifiuti netti da parte del rappresentante del Ministero della Salute.
 
Tutto ciò oggi non deve essere dimenticato e anzi va tenuto ben presente per evitare che si ripeta di nuovo quanto accaduto in passato; gli obiettivi della norma europea non erano diretti a definire spazi professionali ma rivolti esclusivamente alla radioprotezione del paziente, esercitata in maniera competente e nel rispetto di ogni professionista coinvolto nel percorso di cura.
 
Vorremmo concludere questa riflessione mettendo l’accento sulle responsabilità che il legislatore italiano si assume quando impegna il suo lavoro per il bene dei cittadini che lo hanno scelto;  spesso invece, colpevolmente o no, se ne dimostra inconsapevole mostrando una eccessiva superficialità nella valutazione del proprio operato prestando troppo facilmente il fianco alle richieste di alcune aree di potere. Inutile meravigliarsi poi delle conseguenze scaturite da situazioni come quelle del “caso Marlia” e di quello verificatosi in questi ultimi giorni in cui se la decisione della Magistratura finisse con “bloccare il sistema sanitario”, ciò altro non sarebbe che la conseguenza di scelte fatte a monte e che il “giudice di turno” non potrebbe far altro che applicare, come è suo dovere.
Bisogna invece dare voce a coloro che sono coinvolti attivamente nelle discipline professionali, superando il limite delle posizioni di difesa della propria area di competenza per aprirsi ad una crescita culturale che ci impegni tutti e che metta al servizio del bene comune le competenze di ognuno per definire nel migliore dei modi i ruoli che possano dar vita ad un vero e proprio lavoro d’équipe. L’auspicio non può che essere che quanto accaduto non si ripeta nel momento in cui si procederà alla revisione della normativa di recepimento della nuova Direttiva Europea sulla radioprotezione. Solo in questo modo sarà possibile costituire, di fatto e di diritto, un nuovo ed efficace sistema di radioprotezione a garanzia della qualità delle prestazioni radiologiche erogate dalle strutture del Servizio Sanitario Nazionale e non solo.
 
dott.ssa Maria Teresa Iannone
Biogiurista, Presidente Comitato di Bioetica
Coordinatore Servizio di Bioetica
Ospedale San Giovanni Calibita
Fatebenefratelli - Isola Tiberina, Roma

dott. Giancarlo Candini
Direttore UOC Fisica Medica, ex Presidente AIFM
Azienda Ospedaliera Universitaria, Ferrara

   

12 agosto 2013
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