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Il confuso ‘restyling’ del Codice di deontologia medica

di Fabio Cembrani

29 AGO - Gentile Direttore,
ho letto con attenzione il commento di Ivan Cavicchi che segnala la ‘pecca’ di fondo della nuova versione (ancora in bozza) del Codice di deontologia medica che, ripensamenti a parte, dovrebbe essere approvata dalla FNOMCeo entro l’anno, individuandola nel non aver affrontato il nodo centrale della sostenibilità  della cura posto dalla post modernità. Il commento fa peraltro seguito ad alcune prese di posizione indirizzate a Lei come Direttore e ad altre apparse sul Corriere della Sera di qualche giorno fa in cui si annuncia il restyling del Codice di deontologia medica limitatamente alla parola ‘paziente’ sostituita da ‘persona assistita’.
 
Condividendo l’idea di fondo espressa da Ivan Cavicchi sono motivato a prendere una posizione perché il restyling operato da chi ha rivisto l’attuale versione del Codice riguarda altri termini senza coinvolgerne altri sui quasi era davvero il caso di intervenire.
 
Un ambiguo restyling  riguarda la volontà espressa in maniera anticipata dalla persona. Nella versione in vigore del Codice di deontologia medica la si qualificava ricorrendo al termine linguistico di‘direttive anticipate’ (art. 38) mentre nella nuova versione del Codice le ‘direttive’ sono però divenute‘dichiarazioni’: perché una cosa sono le ‘direttive’ che impegnano la responsabilità del medico (in primis, quella etica), altra cosa sono, invece, le ‘dichiarazioni’  che lasciano naturalmente il tempo che trovano.
 
Apro a questo punto, un inciso. Andrea Puggiotto, un giurista, ha scritto, recentemente, che le parole non sono mai neutre e che esse sono vere e proprie pietre: perché il linguaggio, come insegnano i neuro linguisti ed i sociologi della comunicazione, individua le categorizzazioni di cui ci serviamo nella vita di tutti i giorni influenzando le percezioni concettuali che si consolidano dentro i gruppi sociali producendo gli stereotipi che, a loro volta, sono la base cognitiva dei pregiudizi che sopravvivono anche in questa nostra epoca postmoderna.
Un restyling che era necessario riguardava, invece, la parola composta (ambigua e davvero fuorviante)‘consenso informato’ che è rimasta tale nella bozza del nuovo Codice.

È pur vero che tutti i discorsi che hanno per oggetto l’autodeterminazione della persona umana utilizzano opzioni linguistiche diverse che, in parte, rappresentano il precipitato nella nostra lingua di termini inglesi (‘informed consent’, ‘livingwill’, ‘decision making’, ‘capacity’, ecc.), per altra il prodotto  della loro translitterazione linguistica (‘consenso informato’) e, per altra ancora, il tentativo di opporsi a ciò per il tramite di significanti solo apparentemente simili (‘consenso libero e informato’, ‘volontà della persona’, ‘autodeterminazione’, ‘autonomia’, ‘convincimenti personali’, ‘dichiarazioni anticipate di trattamento’, ‘direttive anticipate di trattamento’, ’testamento biologico’, ‘volontà previa della persona’ e chi più ne ha più ne metta) che, spesso, finiscono con il deviare dal piano di realtà che si vuole rappresentare. Con meccanismi confondenti diversi.
Li individuo: (a) nelle dubbie equiparazioni (ad es. tra ‘volontà’ e ‘convincimento’) come registrato nel disegno di legge che avrebbe dovuto disciplinare le dichiarazioni anticipate di trattamento fortunatamente non approvato dal Parlamento; (b) nel capovolgimento dei processi (come può essere prestato un consenso libero se questo non è preceduto da una strutturata comunicazione finalizzata a condividere il certo e l’incerto di ogni attività di diagnosi e cura?); (c) nelle forti rivalità nell’ipotesi in cui la persona non autorizzi il piano di trattamento proposto dal medico o quando emergano idee contrastanti tra i familiari nell’ipotesi di incapacità della persona; (d) nelle pericolose discriminazioni quando si discute della pregnanza giuridica tra la volontà attuale e quella espressa dalla persona in maniera anticipata; (e) non da ultimo, nelle banalizzazioni che finiscono con lo stereotipizzare la relazione di cura.
 
A me pare che se un restyling del Codice era necessario esso doveva interessare non solo alcune parole (peraltro di scarsissimo interesse) ma l’idea di dar piena forma e sostanza ai diritti fondamentali di ogni persona umana garantiti dalla nostra Carta costituzionale: tra questi la libertà (art. 13), il diritto ad avere una coscienza (artt. 2, 3, 19 e 21) ed il diritto di ciascuno di noi di realizzarsi nella pienezza di quell’idea di dignità che ci caratterizza come esseri umani liberi ed autonomi e di non essere, pertanto, sottoposti ad alcun trattamento sanitario se questo non è da noi consentito in forma libera (art. 32). 
 
Questi diritti, rafforzati dal diritto europeo (Carta fondamentale dei diritti dell’Unione europea) e da quello comunitario (CEDU), sono diritti riconosciuti pienamente alla persona umana dalla nostra Costituzione senza alcuna deriva nichilista o eutanasia come qualcuno continua strumentalmente ad affermare perché l’idea di autodeterminazione della persona e la libertà di disporre di sé possono fondarsi sia in relazione all’art. 32 (dunque, al diritto alla salute), sia in relazione all’art. 13 (e, dunque, alla libertà personale), sia in relazione alla nostra coscienza ed alla nostra dignità (artt. 2, 3, 19 e 21). Il che stride, evidentemente, con la volontà di difendere ad oltranza la sacralità e l’inviolabilità della vita umana fondando l’assunto sulle previsioni costituzionali che vanno, invero, nella direzione opposta affermando che la persona umana è quella (e solo quella) in grado di esercitare le libertà di cui è titolare, di essere l’artefice dei suoi confini biologici, psicologici e sociali e di sviluppare il proprio creativo autoritratto conformemente ai propri valori spirituali o filosofici, alla nostra appartenenza politica, alla nostra umanità ed a quell’idea di dignità che ci caratterizza come persone uniche ed irripetibili. Con una visione che deve essere, necessariamente, laica e pluralista vista la complessità prodotta dalle profonde trasformazioni sociali di questa nostra epoca postmoderna e dalla presenza, nella comunità civile, di etnie, di culture e di religioni diverse che chiedono alla politica di dare effettiva esigibilità ai diritti di ogni persona umana ed a promuovere, attivamente, la libertà quale faro rischiarante che offre concreta pienezza alla nostra identità biografica.
 
Peccato, però, che la nuova versione in bozza del Codice di deontologia medica appaia oltremodo rinunciataria e che essa abbia realizzato un parziale (ed opinabile) restyling che riguardava, invece, l’idea di un’arte della cura che deve saper responsabilmente confrontarsi con i diritti fondamentali di ogni persona umana promuovendo un’idea di salute ampia e dinamica, lungo le coordinate che le sono state date dall’Organizzazione Mondiale della sanità e che ha, invece, subito un drastico ridimensionamento (art. 3) rispetto alla versione, pur rinunciataria (di ‘benessere fisico e psichico’), del Codice deontologico vigente
 
 
 
Dr. Prof. Fabio Cembrani
Direttore U.O. Medicina Legale, Trento

29 agosto 2013
© Riproduzione riservata

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