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Spesa pubblica. Si evitino offensive sul lavoro e si combattano sprechi e corruzione

di David Di Lello

20 AGO - "Ce lo chiede l’Europa” è il refrain a cui siamo oramai tristemente avvezzi. Questa strofa, troppe volte ripetuta, è servita a giustificare, in nome del pareggio di bilancio, del rapporto Deficit/PIL e di qualche punto di spread, provvedimenti quali i blocchi del turnover, dei rinnovi contrattuali e delle retribuzioni, come bene hanno imparato, a loro spese, tutti i lavoratori del Sistema Sanitario Nazionale.

Quando il refrain “Ce lo chiede l’Europa” è diventato monotono e fastidioso per le orecchie dei più, allora è stato sostituito, ahimè, da “Ce lo chiedono i cittadini”, in nome dei quali, ad esempio, vengono sempre più fortemente limitate le prerogative dei Sindacati, il cui ruolo, riconosciuto dalla Costituzione della Repubblica Italiana, è stato determinate proprio in Europa per la conquista dei diritti civili e di dignità nelle condizioni di lavoro e sociali.

Sarebbe giusto conoscere quanti cittadini hanno realmente chiesto di mettere in atto una vera e propria offensiva contro lo stato sociale e altre forme di garanzia dei livelli di vita acquisiti, testimoniata, tra l’altro, dall’aumento della spesa sostenuta dalle famiglie italiane per l’acquisto di prestazioni sanitarie private negli ultimi anni (+8% nel triennio 2007-2010, mentre la spesa pubblica per i soli farmaci ha subìto, nel medesimo periodo, un taglio del 3,5% a fronte di un incremento di quella privata del 10,7% - fonte CENSIS).

Il refrain “ce lo chiede l’Europa”, tuttavia, non vale per i nostri governanti, via via succedutisi negli ultimi anni, quando si tratta di tutela di diritti civili e delle condizioni di lavoro; faccio riferimento, ad esempio, alla condanna impartita nel gennaio 2013 dalla Corte europea di Giustizia di Strasburgo all’Italia per le condizioni e il sovraffollamento delle sue carceri e al deferimento del nostro Paese alla medesima Corte per il mancato rispetto della normativa comunitaria sull'orario di lavoro per la categoria dei medici del servizio sanitario pubblico in quanto non aventi diritto a un limite orario settimanale e a periodi minimi di riposo giornaliero.

Il deferimento ha seguito l’invito rivolto all’Italia nel maggio 2013 da parte della Commissione UE ad adottare le misure necessarie per assicurare che la legislazione nazionale ottemperasse alle direttive 2003/88/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 4 novembre 2003 concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro.
La normativa comunitaria in materia prevede che, per motivi di salute e sicurezza, si lavori in media un massimo di 48 ore alla settimana, compresi gli straordinari; i lavoratori hanno, inoltre, diritto a fruire, senza interruzione, di un minimo di 11 ore di riposo al giorno e di un riposo settimanale di 24 ore.

La deroga, che ha determinato il deferimento dell’Italia alla Corte di Giustizia europea, è intervenuta per effetto dell’ art. 41 della Legge 6 Agosto 2008 n. 133 che recita: «al personale delle aree dirigenziali degli enti e delle aziende del servizio sanitario nazionale, in ragione della qualifica posseduta e delle necessità di conformare l'impegno di servizio al pieno esercizio della responsabilità propria dell'incarico dirigenziale affidato, non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 4 e 7 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n.66» e che rimanda alla contrattazione collettiva le modalità atte a garantire ai dirigenti condizioni di lavoro che consentano una protezione appropriata ed il pieno recupero delle energie psico-fisiche.

Il risultato è stato che non tutte le Regioni e le Aziende Sanitarie hanno recepito in sede decentrata la direttiva comunitaria per la regolamentazione della durata dell’orario di lavoro e dei riposi dei dirigenti medici, conseguentemente può accadere che, persistendo in alcune aree del Paese una sostanziale carenza di regole, venga abbondantemente e costantemente superata la media, prevista dalla normativa comunitaria, delle 48 ore di lavoro settimanali.

C’è da chiedersi se vi sia, a vari livelli, reale consapevolezza del possibile pregiudizio che una durata eccessiva dell’orario di lavoro dei medici può arrecare alla sicurezza dei pazienti loro affidati e alla salute degli stessi lavoratori, nonostante oggi si dia, giustamente, sempre maggiore importanza al Clinical Risk Management.
In sanità, la prevenzione degli errori evitabili e il contenimento dei loro possibili effetti dannosi non possono prescindere da una corretta politica di gestione delle risorse umane, della valutazione della fatica e dello stress derivanti da turni massacranti che spesso devono compensare la mancanza di turnover o di un razionale ed efficiente utilizzo del personale.

L’obbiettivo del contenimento della spesa pubblica, dunque, non deve realizzarsi attraverso una sistematica offensiva a danno delle condizioni e dell’orario di lavoro, ma attraverso una lotta davvero efficace a corruzione, malaffare e sprechi, che, come dimostrano i fatti di cronaca, si annidano in gran misura nella sanità e nella gestione degli appalti pubblici o dei finanziamenti ai partiti.

Queste, e non altre, sono le vere misure riformatrici che, prima ancora di quelle del mercato del lavoro e dello Statuto dei lavoratori, favorirebbero realmente gli investimenti e la crescita economica del nostro Paese e che, inoltre, consentirebbero di recuperare le risorse necessarie per un adeguato finanziamento del Sistema Sanitario Nazionale.

David Di Lello
Presidente Regionale Aaroi-Emac Molise

20 agosto 2014
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