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Toscana. Ecco perché Rifondazione comunista ha detto no alla “controriforma” di Rossi

di Danielle Vangieri

12 MAR - Gentile Direttore,
qualche tempo fa ho avuto modo di esprimere la mia opinione sulla proposta di riforma della sanità toscana, targata Rossi, in una lettera da lei gentilmente pubblicata, in cui sottolineavo come il nuovo riassetto del servizio sanitario regionale fosse profondamente sbagliato. La nuova impalcatura istituzionale profondamente autoritaria. La governance profondamente penalizzante l'autonomia dei territori, in particolare quelli con uno scarso potere contrattuale, in un sistema che sarà assolutamente asimmetrico. Da una parte una figura forte come quella dei direttori di area vasta, dall'altra tante organismi composti da tante debolezze con una media di 100 e più sindaci, con le loro tante divisioni, che si confronteranno sul tema della programmazione sanitaria e della conseguente allocazione delle risorse.
 
Una riforma i cui capisaldi generali si sostanziano a vicenda: creare, attraverso l'accentramento della programmazione nelle mani di tre super manager di area vasta, una catena di comando corta che risolve una scelta precisa, quella di non puntare su una riforma strategica, di lunga lena, ma di gestire acriticamente lo status quo, assunto come status ineludibile, in un ottica di puro efficientismo economico-finanziario; continuare a smantellare il servizio sanitario regionale colpendo duro l'architrave del lavoro pubblico.
 
Il primo caposaldo conclude un disegno tutto interno ad una visione accentratrice della filiera del governo della sanità toscana, ricollocabile sin agli inizi dell'era Rossi. ll secondo trova oggi la sua espressione compiuta, aggredendone mortalmente il cuore, con l’attacco ai suoi professionisti. Ma, da tempo, il lavoro pubblico, in Toscana, ha subito un continuo impoverimento, attraverso le tante forme di esternalizzazione e privatizzazione dei servizi.
 
Oggi si colpisce quello che rappresenta il “core” del sistema, sinora era toccato a quelli che, impropriamente, definiamo i servizi accessori. Processo questo che spinge, fra le altre cose, a riflettere seriamente se, in questa regione, non si siano create le condizioni che vedranno sempre più il lavoro versus la salute. Il lavoro inteso come mancanza, impoverimento e ridimensionamento dello stesso finirà con il nuocere alla salute?
 
La mancanza di lavoro, la disoccupazione e l'inoccupazione, il lavoro precario, determinano stili di vita che modificano al ribasso la qualità della vita medesima e mettono a rischio la salute delle persone. L'impoverimento del lavoro sanitario, il suo demansionamento, si riflette con effetti negativi sulla qualità e la sicurezza delle prestazioni ripercuotendosi negativamente sulla sua capacità, che è anche il suo più grande valore intrinseco, di produrre salute.
 
In altre parole, là dove il welfare si fa debole, il sistema di protezione sociale frana sotto i colpi dell'ineluttabilità del dettato delle politiche di austerity e dell'adeguamento supino alla logica dei tagli lineari là il lavoro sanitario perde la sua connotazione civile e diventa costo da eliminare e sacrificabile in un processo di sussidiarizzazione verso il basso. Là le diseguaglianze territoriali si istituzionalizzano dentro una programmazione accentratrice ed escludente e all'interno di una crescente diseguaglianza sociale. Là i cittadini diventano sostanzialmente sudditi. Là si perde, in definitiva, quella dimensione etica strettamente connessa al fondamentale principio di solidarietà.  
Ma, tornando, rapidamente, alla riforma Rossi. Ebbene, il delitto si è definitivamente consumato. Il Consiglio regionale toscano ha approvato, in questi giorni, la proposta che è diventata così legge.
La sordità di Rossi, del PD, dei suoi prossimi alleati, è stata totale. Nonostante, molte siano state le voci che hanno avvertito della sua pericolosità, del rischio di una destrutturazione della sanità pubblica toscana e, dunque, di privare i cittadini di servizi e diritti, chiedendo che si tornasse sui propri passi.
 
Un delitto che ne segue un altro, consumato tempo addietro, con il cosiddetto universalismo selettivo in sanità che, con le solite ragioni delle risorse mancanti, della coperta stretta, ha sancito, nella nostra regione, la fine della sanità quale diritto universale e garantito, selezionando le fasce di popolazione toscana tenute a compartecipare, pagando di tasca propria, al costo dei servizi e delle prestazioni. Cosa che ha portato, nel tempo, queste fasce fuori dal sistema pubblico, alimentando i processi di privatizzazione della sanità toscana.
 
A ben pensarci, quanto succede in Toscana non è che l’applicazione, in “minore”, di quanto in questi ultimi anni, seguiti alla crisi economica, i programmi di riduzione del debito e di austerity europei hanno imposto, in una strategia ben precisa di uscita dalla stessa, che, attraverso lo smantellamento del sistema di welfare state, ne scaricano principalmente il costo sui salari indiretti, i servizi sociali pubblici, riportando i costi della riproduzione sociale in capo agli individui e alle famiglie.
 
Spinta alle sue estreme conseguenze questa logica conduce alla sostituzione della sanità privata a quella pubblica. In questo modo, i costi che lo Stato risparmia saranno a carico dell’individuo e delle famiglie. Sarà il lavoratore, con la sua assicurazione privata, a doversi pagare l’intervento ospedaliero, la prestazione sanitaria e così via. Sarà la famiglia è, all'interno della famiglia, in particolare le donne, a doversi far sostanzialmente carico del lavoro di cura.
 
Esattamente quanto avviene in Toscana dove, oramai, il 30% della spesa per prestazioni sanitarie, soprattutto nella diagnostica e specialistica, è a carico dei cittadini.
Regione dove non si fa più mistero che, per il futuro, pubblico e privato non solo avranno una loro complementarietà ma che, in questa complementarietà, il destino di molti, in particolare per il ceto medio, starà nel rivolgersi alla sanità integrativa.
 
Regione in cui all'universalismo selettivo, di cui prima, hanno corrisposto anche le sue forme di organizzazione dei servizi nel cosiddetto modello del welfare-mix con l'avvento di un attore particolarmente forte, quello del privato sociale, che ha, nel tempo, acquistato legittimazione non più solo nell’attuazione e gestione di misure specifiche ma nella definizione del disegno istituzionale delle politiche sanitarie medesime.
 
Non più, dunque, solo un alleato per la costruzione e il funzionamento del welfare-mix ma, con una sua curvatura sempre più accentuata a proporsi come impresa, diventato il naturale sostituto per pezzi di livelli essenziali di assistenza e alimentatore per un quota significativa del mercato dei servizi.
 
La proposta di riforma è divenuta legge con il blocco granitico di Rossi, come del PD, come dei suoi nuovi alleati, che non può non colpire per l’indice di passivizzazione e adeguamento frutto nemmeno più, come ci siamo abituati a dire, di un pensiero unico ma di un non pensiero che, oramai, pervade la maggioranza politica di questa regione su un tema di così straordinaria rilevanza come quello della sanità e, in definitiva,  dello stesso  diritto alla salute dei cittadini toscani. 
Questo, per quanto riguarda il campo degli altri, di Rossi e del PD toscano. Ma, esiste un altro campo, il nostro, quello della Sinistra di questa Regione che la riforma ha contrastato e alla proposta di legge ha votato convintamente contro. Un campo che interroga il Noi e che ci deve fare, seriamente, riflettere sui limiti e le timidezze avuti nell’affrontare il tema di fondo che in questi anni è mancato: quello di pensare una riforma vera della sanità toscana.
 
Il tema di un pensiero riformatore vero -ridando a questo termine, riforma, il suo significato nobile- che definisca dei campi generali e delle proposte concrete, per imboccare con coraggio una strada diversissima da quella del governatore Enrico Rossi. Non seguendone l’idea “marginalista” fatta, come abbiamo visto, di aggiustamenti dello status quo, all’interno di quella logica tutta economicistica e di compatibilità con le politiche di austerity e dei tagli del governo nazionale che porterà ad un unico sbocco, quello della privatizzazione.
Quella buona riforma della sanità pubblica, che spesso l’ottimo professor Cavicchi, dalle  pagine del suo quotidiano, sprona a mettere in atto ripensandone i modelli, rimettendo al centro la produzione di salute come ricchezza, puntando sui luoghi di vita come nuovo baricentro, ripensando l’idea classica di tutela, considerando il lavoro professionale come ricapitalizzazione della sanità pubblica, estendendo i diritti come “capitale sociale”.
 
Una riforma buona ed un buon riformatore come, evidentemente, non è stato, e non sarà, il Presidente della Giunta regionale toscana ma che potrebbe “incarnarsi” nella Sinistra di questa Regione. Una Sinistra che, come detto, esca finalmente dalla gabbia della sua timidezza e coraggiosamente si appresti ad una navigazione controvento.
 
 
Danielle Vangieri
 
Responsabile regionale sanità Rifondazione Comunista Toscana

12 marzo 2015
© Riproduzione riservata

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