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Come mai l'Ipasvi in passato non era animato dallo stesso 'spirito interdisciplinare'?

di Roberto Polillo

02 GIU - Gentile direttore,
Tra i tanti contributi che Durkheim ha dato a quella scienza sociale da lui chiamata sociologia uno dei più importanti è quello di avere compreso l’importanza delle ritualizzazioni sia nella vita sociale che nella vita del singolo individuo. Il grado di coesione di una società o di un gruppo sociale è in funzione dei riti in cui sono coinvolti i suoi membri e i riti hanno valore in quanto in essi si coagula energia morale che resta poi adesa sulla pelle dei partecipanti come una vernice incolore che conferisce loro identità, sicurezza ontologica e senso di appartenenza.
 
Volenti o nolenti siamo continuamente esposti a momenti di ritualizzazione e dei riti che avvenivano al Santo Spirito ho omesso la parte più coreografica come quando le donnette della Calabria si inginocchiavano al cospetto del Prof De Santis valente chirurgo e primario di quei tempi. Non diversamente avveniva quando la visita veniva condotta dal Prof. Cafaro, il primario medico esponente di spicco della scuola semeiotica romana che aveva a sua volta formato intere generazioni di medici molti dei quali continuavano a frequentare il reparto solo per il piacere di ascoltare le sue lezioni.
 
Per rispondere al Dott Roberto Ferrari e al suo interessante contributo, con cui mi trovo d’accordo in larga misura, ci tengo anche a precisare che a quel mondo non credo di avere mai appartenuto né di averne condiviso fino in fondo i valori. Sono stato uno spettatore attento perché amo osservare gli altri e come ciascuno affronta la sua parte, grande o piccola che sia, nella storia di tutti i giorni.

Sono assolutamente d’accordo con il generale Patton che "Una linea fortificata è un inno alla stupidità umana" e per tali motivi quando ero al Ministero della Salute cercai in tutti i modi, senza riuscirci, di sanare gli infermieri generici la cui attività professionale era totalmente sovrapponibile a quella degli infermieri laureati (piccola differenza nella querelle che oppone attualmente le principali professioni sanitarie che continuano a svolgere compiti assolutamente diversi tra loro). In quella occasione mi fu risposto dai dirigenti dell’IPASVI, collegio professionale di cui il mio interlocutore è segretario cittadino, che se volevano essere infermieri dovevano semplicemente prendersi il titolo di laurea. E’ chiaro che se avessi conosciuto la frase suggeritami dal Dott Ferrari l’avrei utilizzata allo stesso modo in cui viene oggi da lui impiegata.

C’è allora da chiedersi come mai a suo tempo l’IPASVI, oggi così animato da spirito interdisciplinare, non abbia condiviso l’invito accorato e sincero con cui il Dott Ferrari chiude il suo pezzo? “Superare le logiche gerarchiche tipiche dei modelli organizzativi del secolo scorso: in caso contrario il Sistema Sanitario Nazionale, insieme a tutte le professioni sanitarie, diventerà un sito archeologico che testimonierà un passato fatto di ottusità e scarsa lungimiranza?".

Anche io lascio giudicare agli affezionati lettori di QS dichiarando da subito che come stratega tra me e il generale Patton sceglierei senza ombra di dubbio il secondo.

Roberto Polillo 

02 giugno 2015
© Riproduzione riservata

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