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Cari medici comunicate l’autorevolezza, non vecchie e nuove tendenze egemoniche

di Marcella Gostinelli

22 LUG - Gentile direttore,
le scrivo perché ho letto domenica 19 luglio su Repubblica l’avviso a pagamento approvato per acclamazione dal consiglio nazionale FNOMCeO, svoltosi a Roma il 4 luglio 2015. Non mi è piaciuta l’idea di comunicare al pubblico mediante la forma dell’avviso a pagamento perché l’ho percepita come  impersonale e antirelazionale, distante da tutti noi e perciò anche in contraddizione con il titolo dell’avviso: ”Per una rinnovata alleanza con i cittadini”. A mio modesto ed esterno parere quella forma di comunicazione non ha comunicato autorevolezza, ma un’immagine cupa, di apparente unità interna, reattiva ad un clima di sfiducia da cui il medico ha fretta di riscattarsi senza però sapere come.
 
Quell’avviso ha evidenziato infatti l’irrequietezza del medico attuale posto tra cogenza e bisogno di “ordine”.
 
Consapevoli della crisi in cui il medico e la medicina versano, accortisi molto tardi di aver perduto la scettro del conduttore, i medici, si obbligano a reagire senza aver chiara la strategia, e si sa che la strategia non si trova quando non è chiaro l’obiettivo; se l’obiettivo non è chiaro neanche i ruoli lo sono e le relazioni sono pessime.
 
Il titolo e la premessa dell’avviso facevano pensare che avremmo letto di seguito la strategia o il ragionamento messi in atto dai medici per il superamento della crisi della medicina e che quindi vi fosse stata a monte, a noi sconosciuta, una riflessione plurale-medici, infermieri e cittadini capace di produrre   un modello di analisi dell’impatto delle riforme di questi anni sulla medicina e quindi sulle professioni sanitarie e i cittadini.
 
Mi aspettavo di poter leggere quelle che potevano essere le nuove ed auspicate correlazioni possibili fra i livelli micro-clinico, meso-organizzativo e macro-strutturale di un progetto strategico professionale di cambiamento.; conoscere cioè quelli che, secondo i medici, avrebbero dovuto essere  gli indicatori da utilizzare  per misurare per esempio il grado di autonomia clinica (Harrison e Ahmad, 2000) e di autorità professionale del medico, oppure, nella dimensione meso-organizzativa, il tipo di divisione del lavoro sanitario con i relativi indicatori ed anche, nel livello macro strutturale, quello che avrebbe dovuto essere il ruolo del medico, degli infermieri, dei cittadini. La comunicazione delle correlazioni pensate, fra i livelli citati ed i loro indicatori, avrebbero reso conosciuta al pubblico la volontà ferma e ribelle di medici che vogliono cambiare e decidono in cosa questo cambiamento dovrebbe consistere. Il pubblico avrebbe dunque capito il ragionamento, l’obiettivo, la strategia ed il nuovo progetto che i professionisti insieme  avrebbero potuto pensare se avessero voluto. Si capisce invece che: la riflessione, se c’è stata, è stata fra soli medici e che non c’è traccia di un modello di analisi e tanto meno di una sua declinazione progettuale e soprattutto si avverte una grande nostalgia per quella che fu definita da Freidson “the golden age of doctoring” (McKinlay e Marceau 1998), l’età d’oro della professione medica. La presenza e la comunicazione di un modello di analisi invece, seppur sintetico, di per sé avrebbe dato autorevolezza al medico che avrebbe dimostrato di essere orientato e lucido, e quindi attivo e non reattivo e fragile.
 
I cittadini, gli infermieri e gli altri operatori non vogliono un medico nostalgico, fragile e disorientato, vorrebbero un medico forte che si interroga, ribelle e fermo sul suo essere. In particolare, credo di poter dire che noi infermieri vorremmo che il medico si interrogasse sul valore euristico del concetto stesso di dominanza medica. In che misura la dominanza medica nel periodo attuale, post riforme e post welfarismo, ne è risultata davvero scalfita? E fino a che punto ha senso parlare ancora, negli attuali sistemi sanitari, di dominanza professionale (Giarelli, 2004)? Serve davvero oggi una leadership funzionale? Se la cura si determina attraverso tante e diverse conoscenze non sarebbe meglio per tutti che il medico avesse una leadership circolante? Un vero leader deve continuare a pensare alla sua leadership? Un vero leader è il solo protagonista? Un leader favorisce la complessità o la semplicità?
 
Pongo queste domande perché dei tre elementi che compongono il concetto freidsoniano (Freidson 1970°;1970b; per una   traduzione italiana dei testi Vicarelli 2004) di dominanza medica solo uno è particolarmente presente, troppo presente, anche se velatamente e attentamente nascosto, nell’avviso a pagamento ed in ogni occasione o atteggiamento di protesta medica: quello della “dominanza professionale”, diverso da quello di autorità professionale e di autonomia professionale. Con il concetto di dominanza professionale si intende il controllo sulle altre professioni sanitarie, non mediche, nella divisione del lavoro sanitario; con quello di autorità professionale invece si intende il controllo sui propri pazienti e per autonomia professionale si intende il controllo sui contenuti e sulle modalità,  termini e condizioni, del proprio lavoro. Se i medici riuscissero a mantenere separati questi concetti si impedirebbe di dilatare eccessivamente il concetto di dominanza e gli infermieri, e forse anche i cittadini, non avrebbero bisogno di difendersi da una percepita arroganza medica. Dovremmo insieme ripulire e liberare da incrostazioni semantiche improprie il concetto di “dominanza” che sembra diventato una chiave che apre tutte le porte o al contrario un idolo da abbattere.
 
Per abbatterlo e per aprire tutte le porte bisogna creare dialogo e dialettica. Fuori dal dibattito e una volta persuaso sulla necessità di superare, sorpassare le vecchie e nuove tendenze egemoniche, ci aspettiamo che il medico riconosca la necessità di collaborare a livello macro strutturale, con strategie di partnership, con tutti gli altri soggetti sociali che popolano i nostri sistemi sanitari. Il medico ribelle e che vorremmo, invece, agisce come singolo, con concretezza e su casi concreti di fronte ai quali per sapere cosa è giusto non cerca teorie o regolamenti pensati da chi amministra, ma attinge alla sua moralità e semplicità di essere medico. Essere medico è semplice, purché risieda ancora in lui una qualche purezza. Gli infermieri dal canto loro dovrebbero avere pazienza e lasciarsi influenzare da un medico precedentemente da loro stessi persuaso.   
 
Marcella Gostinelli
Infermiera

22 luglio 2015
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