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Infermieri. Ecco perché non voglio diventare “casta”

di Piero Caramello

24 AGO - Gentile Direttore,
ho letto con stupore le recenti polemiche sulla presunta, ritengo sia d'obbligo presumere, diatriba tra Infermieri e OSS. Lo stupore nasce da questa idea, a mio avviso errata, che vi sia una sorta di scalata azionaria nelle competenze infermieristiche.
Nella mia esperienza, di conseguenza opinabile, ho sempre guardato alle figure OSS come fondamentali nel lavoro di equipe e sono anni che sostengo che la loro crescita è necessaria affinché davvero concetti di autonomia professionale diventino finalmente concreti e non rimangano a prendere polvere sugli scaffali dei libri di diritto e giurisprudenza.
 
Al netto delle posizioni espresse dal MIGEP, rimane il dubbio che vi sia un errore sullo sfondo che nessuno ha il coraggio di affrontare.
La differenza, o la distanza se preferite, tra Infermiere ed OSS, è azzerata nella quotidianità non solo dalla noncuranza giornalistica ma oserei dire dall'incapacità da parte nostra di volersi smarcare da questa confusione.
 
Non è stato sufficiente, mi pare evidente, raggiungere il percorso di studio universitario per poter finalmente veder riconosciuta la nostra professionalità, la nostra autonomia e la nostra responsabilità professionale (tre concetti che meriterebbero un discorso a parte in quanto ritengo che non siano del tutto chiari per molti). Non sono state, questo è più evidente della laurea, leggi e decreti per riuscire ad esercitare una diversa presa di coscienza da parte dei cittadini, dei pazienti e dell'informazione. 
 
Insomma, almeno di questo non incolpiamo gli OSS ma solo noi stessi e magari proviamo ad evitare processi sommari ed inutili ma  concediamo spazio a quello che io registro, per la storia della mia professione, come un giudizio politico negativo sulla gestione della professione.
 
Ancora oggi, chiunque entri in ospedale, a maggior ragione se assalito dall'ansia per la sua salute o per un suo famigliare, diventa pressoché impossibile riconoscere le due figure in maniera netta, senza possibilità di errore perché credetemi i cartelli in cui si evidenziano le divise ed i loro colori non li legge nessuno. Io stesso, la sera del ricovero in stroke unit faticavo a discernere tra i miei colleghi e gli OSS. Possibile che non ci si renda conto che vedere un infermiere che svolge attività di reception e di segreteria è svilente per la professione!!
 
Ovviamente non è solo un problema di divisa ma evidentemente di approccio, di manifestazione del proprio esserci, con il proprio sapere e la propria competenza. 
Sorrido ai proclami della mia Presidente, un batter di pugni sul tavolo che non condivido nella forma e nella sostanza, non perché non corretto formalmente ma perché figlio di una frustrazione che non sarà mai mitigata se prima non metteremo all'opera una vera e propria rivoluzione culturale dell'essere infermiere e non affronteremo la crisi professionale che ci attanaglia profondamente da almeno 10 anni. 
 
In questa decade abbiamo arrancato, ci siamo limitati a subire, oserei dire che siano addirittura tornati indietro di fronte ai numerosi agguati a cui è stato sottoposto il nostro sistema sanitario e aggiungerei socio-sanitaruo.
In questa fase politica così importante, stiamo mancando proprio nella capacità di essere incisivi, ci accontentiamo di occupare caselle che non aggiungono nulla alla nostra crescita ma che rischiano di esserne zavorra per i colleghi di domani.
 
Mentre si ambisce ad acquisire competenze (ancora nessuno ci ha spiegato come si dovranno formare visto il fallimento del masterificio) dall'altra difendiamo i nostri territori con la stessa arroganza che imputiamo alla classe medica. La frase "ognuno resti al suo posto" quando è stata pronunciata da qualche medico ci ha fatto ribollire il sangue e ci ha scandalizzato.
Ora siamo noi ad utilizzare gli stessi termini invece di osservare un fenomeno che ci sta sfuggendo di mano proprio perché mai ci siamo offerti di governarlo, abbiamo lasciato ad altri questo compito ed oggi ci si rivolta contro. 
 
La figura dell'OSS doveva permetterci di mettere a frutto l'infermieristica, doveva dare alla nostra scienza quegli spazi di pensiero che non ci sono concessi ed invece oggi è diventato l'avversario da temere ed in alcuni casi disprezzare e sottostimare (non crediate colleghi che gli OSS siano una massa di lavoratori ignoranti) le loro fila sono piene di maturati e spesso di laureati e grazie a questa crescita culturale che oggi cominciano a scalpitare. 
Quello che più mi inquieta è la nostra paura, che non passa attraverso la tutela del paziente (che dovrebbe essere primaria) ma privilegia una difesa di "casta" che mai è stata nelle nostre corde.
 
Dobbiamo smetterla di tirare il paziente come se fosse di proprietà di qualcuno. Una storia di malattia ha un solo attore protagonista. Il paziente, nessuno si senta nemmeno attore non protagonista perché quel ruolo è occupato dai famigliari, non siamo nemmeno comparse. Quando siamo fortunati potremmo essere registi, a volte sceneggiatori, a volte semplici interpreti o doppiatori. Questo vale per noi, vale per i medici e vale per ogni operatore,
Auspico che la nostra Presidente rilegga il suo intervento e miri a governare questo processo prima che il processo governi noi.
 
Non si cambia una cultura medico-centrica proponendone una al ribasso infermiere-centrica ma serve una contro riforma della professione che sappia ambire al protagonismo politico professionale all'interno dei sistemi sanitari.
In ultima analisi il famigerato art 49: se si accetta il demansionamento come regola deontologica allora non possiamo lamentarci se qualcuno ambisce a prendere il nostro posto e non possiamo lamentarci se i pazienti, i cittadini, i mass media non sono in grado di discernere tra noi e gli altri.
 
Come è assolutamente inconcepibile che una professione intellettuale lavori con metodologia novecentesca che ricorda molto il taylorismo. Se vogliamo davvero fare un passo oltre dobbiamo superare anche questo ultimo scoglio ed è qui che mi aspetto da parte dei sindacati le proposte innovative.
Insomma, ci vuole coraggio per fare un passo nel futuro, un coraggio che oggi manca, figlio di una situazione di contratto al ribasso che noi, per quello che diamo e daremo, non meritiamo Presidente è il momento di svoltare, al contrario siamo destinati a perdere.
 
Piero Caramello
Infermiere

24 agosto 2015
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