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Gli infermieri e il 118. Quei medici nostalgici di quando c’erano solo loro

di Roberto Romano

30 OTT - Gentile Direttore,
c’era una volta il “dottore di condominio”. Una simpatica e affettuosa dizione, coniata da un collega, per definire quella realtà, esistente in Toscana, la mia regione, ma certamente anche in molte altre, che portava ogni associazione di volontariato a dotarsi autonomamente, quando fosse economicamente sostenibile, del “suo” medico da mettere sulla “sua” ambulanza.
 
Erano tempi in cui l’utente chiamava direttamente l’associazione che inviava il mezzo…se disponibile…altrimenti si doveva chiamare, in totale autonomia, l’associazione limitrofa, sperando di riuscire a trovare qualcuno con le prime telefonate.
 
Tante associazioni, tanti medici, quindi. A molti questo assetto piaceva, a molti no e, incredibilmente, non pochi sono ancora oggi i nostalgici….
 
In pochi anni, comunque, iniziarono a fiorire le prime centrali di coordinamento. Mi piace ricordare quella della “Loggetta”, a Firenze, nata nel 1986 grazie all’illuminato e indimenticato Prof. Giovanni Bertini, e sostituita alcuni anni dopo dalla nascente prima centrale 118 di Firenze.
 
Da quel momento fu un tripudio di riorganizzazioni, razionalizzazioni, corsi DEU, collaborazioni con importanti università di oltre oceano e chi più ne ha più ne metta. Dal momento in cui si inizio a parlare di 118, però, si inizio, e questo mi interessa, a parlare di infermieri.
 
Si, direttore, perché fino a quel momento gli infermieri, in quel mondo complesso e variegato, che presenta complessità che vanno dall’area prettamente intensivistica a quella relazionale pura, quale è l’emergenza territoriale, semplicemente non c’erano.
 
Non c’è da stupirsi. In quegli anni esisteva il medico, poi c’erano tutti gli altri. A ben vedere ci sono ancora oggi tanti nostalgici anche di questa visione che ormai, è bene ricordarlo, è abbondantemente superata dal quotidiano.
 
Si pensava, erroneamente che quello infermieristico fosse solo un ruolo ancillare, di contorno, prettamente ospedaliero e che nel setting di emergenza territoriale potesse agevolmente essere surrogato da personale non sanitario.
 
Negli anni gli infermieri hanno però dimostrato di poter fare e saper fare di più, molto di più. Sono fioriti in molte regioni, in primis in Toscana, mezzi infermieristici puri. Questi mezzi, con professionista e volontari formati a bordo riescono a gestire agevolmente, seguendo protocolli e procedure chiare e definite a priori, la maggior parte degli interventi di soccorso. Davvero poche sono le tipologie di intervento in cui la stabilizzazione del paziente richiede l’appoggio medico (meno del 10%, al massimo, in urgenze mediche, in aree con importante presenza di mezzi infermieristici. Dato presentato al congresso ANIARTI del 2013 e facilmente reperibile in rete.).
 
Questo significa che si può sostenere che il medico in emergenza territoriale non è necessario? Assolutamente no. Esistono livelli di intervento che richiedono un lavoro di equipe. Per questo sono nate le automediche.
 
Il problema è, forse, che in molte realtà l’uso di queste ultime finisce con coprire livelli assistenziali inferiori, proprio perché negli anni gli investimenti sul mezzo infermieristico sono stati fatti poco e male, a macchia di leopardo, spesso potendo contare solo sulla visione illuminata di qualche direttore di centrale operativa o di qualche amministratore locale. In sintesi le automediche intervengono, andando a ledere in primis la professionalità dei medici, dove basterebbe un mezzo infermieristico semplicemente perché il mezzo infermieristico non c’è. Qualcuno potrebbe pensare che è meglio così. Tutti sanno che se a casa ti arriva il dottore è meglio. Ma è davvero così o a qualcuno fa soltanto comodo affermarlo?
 
Dipende. Nell’era del “dottore di condominio” i medici gestivano in casa molti quadri clinici che adesso richiedono, per dettame preciso delle linee guida internazionali e della medicina basata sull’evidenza (EBM), l’accompagnamento in DEA per le necessarie valutazioni a prescindere da chi sia il soccorritore.
 
L’approccio al paziente critico a domicilio è passato, negli anni, dal livello diagnostico e terapeutico da effettuarsi sul posto (era normale, ad esempio, negli anni ’90 procedere a domicilio a cardioversioni farmacologiche di aritmie sopra ventricolari cui non far seguire un ricovero) ad un concetto di stabilizzazione del paziente propedeutica al ricovero. In quest’ultimo ambito entra perfettamente il concetto di skill mix, cioè di quelle competenze integrate che sono necessarie a salvaguardare la vita dei pazienti soccorsi. I due livelli, quello medico e quello infermieristico, possono e devono tranquillamente coesistere dove necessario, integrandosi. Questo però non è necessario in tutte le situazioni. La maggior parte dei casi possono essere gestiti da infermieri formati che lavorino con protocolli e procedure validate da linee guida internazionali, verificate e msottoposte a continuo aggiornamento, così come succede tutti i giorni in molte realtà e senza nessun problema per i pazienti.
 
Adesso possiamo scegliere: possiamo seguire la via intrapresa prima in regione Toscana, anni fa, con un totale insuccesso, e adesso ripresa in Emilia Romagna, di scontro tra professioni su questioni che sono ormai superate dai fatti (118, see & treat), o possiamo decidere di parlarci, al di fuori delle aule di tribunale, per cercare di implementare livelli di competenza ed intervento che siano condivisi e che vadano incontro alle necessità dei cittadini, prima che a quelle di una o l’altra categoria professionale.
 
Ritengo che si debba superare la varianza, presente all’interno delle regioni e nel Paese, istituendo dei dipartimenti regionali (o strutture similari) per l’emergenza territoriale, al fine di omogenare i sistemi e che facciano capo direttamente al Ministero della Salute. Non si può più pensare che lestrategie di implementazione dei servizi di emergenza, e sopratutto le attribuzioni che i professionisti infermieri hanno in essi, siano delegati in via esclusiva a singoli direttori di unità operativa. Nello stesso modo non si può più pensare che l’apertura di punti di emergenza territoriale sia fatta senza una vera programmazione che ponga al primo posto l’interesse dei cittadini e non l’idea, non sempre così bene informata, dei vari amministratori di enti e associazioni locali.
 
E’ poi necessaria l’istituzione di centri di accreditamento delle competenze su base regionale. In Toscana ci stiamo lavorando, e siamo fiduciosi nel fatto che il nuovo Assessore alla Sanità regionale, Stefania Saccardi, ne comprenderà l’importanza. Invito quanti sono interessati all’argomento ad andare a vedere quanta qualità e che livello di assistenza forniscono, tutti i giorni e tutte le notti, i molti infermieri che lavorano nei sistemi 118 delle regioni che hanno saputo davvero investire su di loro. Invito tutti a controllare attentamente i dati, il rapporto costo/beneficio raggiunto, il grado di soddisfazione dei cittadini.
 
Invito anche i molti medici illuminati che lavorano nell’emergenza territoriale a prendere una posizione netta contro iniziative, come quella dell’Emilia Romagna, che fanno loro solo del male.
Gli infermieri, credo di poterlo dire, essendo orgogliosamente uno di loro, vogliono medici preparati con cui poter lavorare fianco a fianco, su livelli differenti di complessità assistenziale, e su cui contare quando davvero la professionalità del medico può fare la differenza.
Per tutti gli altri casi ci si permetta e ci si metta in condizione di fare il lavoro per cui siamo formati.
 
Forse alla base di quello che accade oggi in Emilia Romagna c’è solo un po’ di ignoranza, anche se purtroppo reiterata, su chi sono e cosa sanno e possono fare gli infermieri di emergenza territoriale. Noi, come sempre, siamo disponibili al confronto e ci adopereremo per informare, e non fare il contrario, i cittadini.
 
Roberto Romano
Infermiere 118 - Consigliere IPASVI Firenze - Referente Area Emergenza Urgenza
Membro Commissione Permanente EBM Regione Toscana

30 ottobre 2015
© Riproduzione riservata

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