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Informatori dell’industria e linee guida con sponsor commerciali possono garantire l’autonomia decisionale dei clinici?

di Fondazione Allineare Sanita' e Salute

28 GIU - Gentile Direttore
nell’articolo Salviamo Chirone dalla Medicina Amministrata Ivan Cavicchi chiede anche di conoscere la posizione di Allineare Sanità e Salute.
Accogliamo l’invito, con una premessa: siamo convinti che i diversi interlocutori citati nell’articolo (Slow Medicine e la Fondazione GIMBE, dei quali siamo partner) stiano tutti “dalla stessa parte”, che è anche la nostra, come quella di Ivan Cavicchi. Possiamo avere opinioni differenti sulle strategie più opportune, e siamo interessati a discuterle, ma ci accomuna l’adesione a un modello universalistico ed equo di SSN, l’impegno ad assicurarne la sostenibilità e la passione per la tutela della salute della comunità degli assistiti. Per questo, anche quando le nostre posizioni non dovessero coincidere su parte delle strategie impiegate, riconosciamo di confrontarci con alleati, oltre che con professionisti stimati e, spesso, anche amici di lunga data.
 
Non crediamo si possa attribuire al GIMBE la qualifica di “teorico della medicina amministrata”, perché, al di là degli accenti propri di ciascuno, chi fa esplicito riferimento all’EBM accetta l’insegnamento del suo padre fondatore, Sackett: “il medico, dopo aver identificato e valutato le migliori prove disponibili e averle integrate con la sua esperienza, decide nel rispetto di aspettative, valori e preferenze (e condizioni specifiche) del paziente”, da far emergere nell’ambito di un processo decisionale informato e condiviso (come ricorda anche Cartabellotta nelle sue pubblicazioni).

Quanto al “Rapporto sulla sostenibilità del SSN 2016-2025”, presentato dal GIMBE il 7 giugno presso la Biblioteca del Senato, rendiamo merito a un grosso sforzo di formulare proposte organiche. Approfitteremo inoltre della consultazione pubblica attivata dallo stesso GIMBE, che ritiene fondamentale il contributo attivo di tutti gli stakeholder della sanità italiana, inviando suggerimenti, osservazioni e i nostri commenti generali, che ci auguriamo costruttivi anche dove non saranno allineati su alcune proposte (in particolare sul ruolo dei Fondi Sanitari “Integrativi” e delle Assicurazioni).
 
Anche a Slow Medicine va dato atto di aver avviato un importante movimento, con proposte rispettose dell’autonomia dei singoli clinici (che non ci risulta Slow Medicine abbia mai messo in dubbio) e rispettose di quanto e come le diverse discipline mediche accettano di indicare come “pratiche a rischio d’inappropriatezza”. Un punto su cui Allineare Sanità e Salute ha riserve è semmai l’esplicita “non interferenza” di Slow Medicine con le scelte di singole Società scientifiche, anche quando a noi sono sembrate troppo timide, poco nette o persino strumentali.

La FNOMCeO ha dato uno spazio importante a Slow Medicine? Ben venga, anche perché di altre ampie proposte in campo ne conosciamo poche. Noi, insieme a SMI, ne presenteremo una organica e complementare entro l’anno, con una Giornata di Studio nazionale a Milano, che ci auguriamo abbia a sua volta l’attenzione della FNOMCeO.
 
Comunque non vediamo differenze così sostanziali tra le “raccomandazioni” incluse nelle “5 pratiche” delle discipline mediche che hanno aderito all’appello di Slow Medicine e i “suggerimenti all’orecchio” del prescrittore proposti dal Progetto Ermete, giustamente apprezzato da Cavicchi. Rileviamo una differenza “tecnica”: Ermete, grazie al supporto dell’Information Technology, offre di portare il suggerimento al clinico prescrittore/decisore nel momento esatto in cui sta per fare la sua scelta. Ma, perché sia una scelta empowered, Ermete gli sintetizza le prove disponibili (con i riferimenti bibliografici per possibili approfondimenti) e gli chiede di “metterci la faccia”, assumendosi la responsabilità/rendendo conto (in modo tracciabile) della prescrizione. Gli chiede anche di indicare, quando si sia liberamente discostato dal suggerimento standard-evidence based, perché lo abbia disatteso.
 
In tema di prescrizioni di esami inutili, crediamo ci sia un equivoco. Né Giustetto né noi consideriamo tali quelle fondate da un valido sospetto diagnostico, e in cui il risultato del test possa modificare la gestione del problema, solo perché il test dà un esito negativo. Ciò fa parte di un corretto iter diagnostico, ci mancherebbe!

Consideriamo invece inutili:
1) procedure/esami che il medico non ritiene opportuni, ma in cui si piega alla richiesta del paziente: questo era oggetto della ricerca promossa da Giustetto e Slow Medicine, per conto della FNOMCeO.
Comprendiamo che il medico possa accettare di derogare a un suo convincimento per salvaguardare la relazione con il paziente. Ma ciò dovrebbe avvenire dopo aver investito un po’ del suo tempo e autorevolezza per informare del low value di quella procedura/esame per quel caso concreto, cercando di arrivare a una scelta condivisa, a maggior ragione se l’esame consumerebbe senza valore aggiunto risorse importanti, o ancor più se esponesse a rischi non giustificati. Ogni qualvolta possibile, il medico dovrebbe anche fornire utili alternative per gestire il problema dell’assistito. In gran parte dei casi un simile investimento potrebbe rassicurare, migliorare la relazione e la fiducia, farebbe condividere una soluzione migliore e sarebbe educativo per il futuro.

Ma consideriamo inutili anche:
2) procedure/esami che il medico ritiene appropriati solo per mancanza di informazioni aggiornate, non distorte da interessi commerciali e basate su prove valide.
È proprio per colmare questo divario che serve la ricerca indipendente, l’evidence based medicine e la chiara e motivata comunicazione degli standard.
 
Cavicchi correttamente sottolinea l’autonomia decisionale da riservare al clinico, chiamato a far sintesi per l’assistito che ha di fronte e che lo ha scelto, e che per questo deve poter dire l’ultima parola (da autore), insieme al legittimo interessato, adeguatamente informato. E si oppone a un’idea di medico amministrato, ridotto solo ad applicare rigide procedure definite da altri. Ma ciò non significa per il clinico il “diritto di far quello che gli pare”, senza doversi confrontare con standard di riferimento (o senza doversi sforzare di distinguere linee guida e standard scientificamente degni da altri, al servizio di interessi commerciali travestiti).

Vorremmo ancora richiamare il concetto nobile di standard, inteso non come regola burocratica cui adeguarsi in modo acritico, ma come stendardo, punto alto (ancorché realistico) di riferimento, cui guardare per ricevere indicazioni e orientamento, che sintetizza informazioni tratte dalle migliori prove disponibili. Il bravo clinico è conscio dell’utilità di ricercare e conoscere gli standard validi, e che l’adeguata padronanza degli stessi sia precondizione per approfondire il percorso, “scendendo” a personalizzarlo sul paziente che ha di fronte. Purtroppo, invece, alcuni di coloro che si indignano in nome della clinica e dell’individualità del paziente attuano realtà un corto circuito: pretendono di “personalizzare” senza passare prima dalla sintesi delle conoscenze racchiuse nei migliori standard.

Questo passaggio è invece una precondizione imprescindibile per fare buona clinica, e non può compierlo chi conti solo sulla sua esperienza. Basti considerare che ogni settimana si inseriscono in Medline oltre 12.000 nuovi articoli di medicina, 300 dei quali sono trial randomizzati e controllati, anche se solo pochi contengono vere innovazioni, che meriterebbero di modificare la pratica corrente.

Purtroppo per molti medici le conoscenze post-universitarie sono condizionate da fonti sponsorizzate, da autori in conflitto di interessi e dagli informatori dell’industria. Ad es. un’indagine 2016 del Centro Studi FIMMG su un ampio campione di MMG mostra che la grande maggioranza è favorevole a un’informazione “scientifica” basata su visite in studio degli informatori dell’industria (in media 6,5 per medico a settimana; solo il 5% dichiara di non riceverli), frequentazione di congressi e convegni, con prevalenti sponsor commerciali, e sull’accesso a portali e servizi informativi offerti dalle aziende.
 
Difficile che in questo modo gran parte dei medici possa concepire quelle proposte riformatrici così efficacemente espresse da Cavicchi in altri scritti: “C’è crisi, medicina difensiva, sprechi, disavanzo, diseconomie…, ma i sindacati vogliono solo i soldi per contratti e convenzioni, e poi … avanti come prima. Quello che denunciano come il problema delle risorse, potrebbe persino offrirsi come grande occasione per fare pulizia, far funzionare meglio le cose, farle costare meno e dare ai cittadini di più, ammodernare il sistema e salvare la sanità pubblica.
Nessuno impedisce ai sindacati di presentare una piattaforma per finanziare i contratti azzerando certe diseconomie sul lavoro, con un pensiero riformatore… con una nuova competenza riformatrice”.
 
Per farci meglio intendere in concreto, ecco tre esempi tra i mille possibili.
 
Il 1° esempio muove da quello di Cavicchi sulle risonanze magnetiche (per lombalgia). Spesso prescriverle non è una scelta eccezionale “per governare una particolare complessità clinica o relazionale”, ma nasce dalla convinzione che diano valore aggiunto alla gestione di un comune problema. Purtroppo, come, già spiegato per esteso http://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=37356, non è così per chi non mostra i segnali di allarme/semafori rossi, scorrendo una semplice check list clinica. In questi casi, cioè quasi in tutte le lombalgie!, e finché non si optasse comunque per la chirurgia (di norma dopo molti mesi senza miglioramento, non le 4 settimane citate dal “decreto Lorenzin”!) la risonanza non è solo un inutile spreco. Ha anche probabilità di tradursi in danni netti per l’assistito, perché mostrerà quasi sempre “anomalie”, e persino ernie dei dischi, senza prove di relazione causale con il dolore, ma che portano spesso a nuovi esami (se Rx o TAC anche con radiazioni ionizzanti) e interventi inutili. Per ben che vada, l’assistito che legge un referto con anomalie che può interpretare come inquietanti, è più probabile si senta malato e quindi riduca l’attività fisica, ritardando la guarigione.
 
Il 2° esempio riguarda i target di Hb glicata. La convinzione che vada tenuta a <7% per la maggioranza dei diabetici, intensificando politerapie farmacologiche fino a raggiungerla, non è fondata sulle migliori prove di efficacia e sicurezza, ma è stata alimentata per anni, e in parte lo è tuttora, a partire da molti diabetologi, e ovviamente dai produttori, che puntano ad aggiungere a metformina farmaci 20 volte più costosi. Sarebbe meglio dire che i valori di glicata raccomandati con terapie farmacologiche nella gran parte dei diabetici si collocano tra 7 e 8% (anche tra 7,5-8,5% in presenza di deficit cognitivo, disagio sociale, non autosufficienza, disabilità o fragilità per età avanzata). NB: una revisione 2016 di RCT su JAMA http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26954412 conclude che negli anziani “target between 7.5% and 9% will maximize benefits and minimize harms” (anche se l’AIFA, nel citarla riporta solo “non scendere sotto il 7,5%”).
Si possono raccomandare livelli di glicata “strettamente vicini al 7%” in molti pazienti adulti, che sono comunque una minoranza, poiché 2 diabetici su 3 sono anziani o grandi anziani.

La più completa revisione sistematica Cochrane (Hemmingsen B et al, 2013) mostra che, rispetto a obiettivi convenzionali di glicata (media ~7,6%), quelli aggressivi (media ~6,6%) riducono forse del 12% i rischi microvascolari, ma aumentano del 118% le ipoglicemie gravi (+54% le lievi) e del 6% gli eventi avversi gravi. La qualità di vita non migliora, la mortalità sembra aumentare. In particolare, stratificando correttamente i RCT per natura degli sponsor, i RCT con sponsor industriale rilevano una tendenza alla protezione dalla mortalità con target più aggressivi: RR 0,95 (0,88-1,02), mentre quelli senza sponsor commerciali (tra cui va collocato ACCORD) rilevano un significativo aumento di mortalità totale: RR 1,15 (1,02-1,31). Per la mortalità cardiovascolare la dicotomia si ripete e i RCT senza sponsor commerciale rilevano un significativo aumento di mortalità: RR 1,23 (1,02-1,48).
 
Il 3° esempio riguarda l’aggressivo Documento di consenso intersocietario appena sottoscritto da 17 Società scientifiche (molte grandi e famose) “Colesterolo e rischio cardiovascolare: percorso diagnostico-terapeutico in Italia”. Un articolo su QS del Presidente ANMCO, sostiene che il Documento “regola in maniera incontrovertibile come ci si deve comportare con un paziente con il colesterolo alto”. I contenuti meriteranno un ampio dibattito, ma ci limiteremo qui a uno solo dei molti rilievi che si possono muovere al Documento. Una revisione sistematica di letteratura scientifica http://bmjopen.bmj.com/content/6/6/e010401 contesta la raccomandazione di abbassare aggressivamente il cLDL in anziani e soprattutto in grandi anziani in prevenzione primaria, dato che in questi soggetti l’associazione del cLDL con la mortalità totale in media non è presente o è addirittura inversa. Di fronte a questa possibilità servirebbe ben altra prudenza rispetto alla richiesta del Documento di “modificare sostanzialmente il livello di raccomandazione delle future linee guida sulla prevenzione primaria statinica negli anziani”, che avrebbero il torto di non prendere una posizione a favore abbastanza netta.
 
Ritornando all’articolo sulla medicina amministrata, Slow Medicine ed Ermete propongono due strategie, non alternative, per fare informazione indipendente ai medici. Entrambe cercano di suggerire standard basati sulle prove, senza avere certo il potere, ma neppure l’intenzione, di vincolare il clinico nella decisione finale, consapevoli che egli debba tener conto anche di tutto ciò che lo standard non può contemplare. Non vediamo in ciò minacce all’autonomia decisionale informata dei medici, al contrario!

Ci sembra invece che le decisioni autonome e informate dei clinici siano sottoposte a due gravi minacce:
- come prima si è accennato, la sproporzionata e quasi incontrastata influenza dell’informazione commerciale (e di chi se ne fa di fatto portavoce),
- ma anche l’articolo in discussione del Ddl sulla Responsabilità professionale, che in una prima stesura escludeva colpa grave se il sanitario «si è attenuto alle buone pratiche e LG adottate dalle Società scientifiche» … iscritte in elenco del Ministero Salute.
Tale delega anomala attribuirebbe alle Società scientifiche (escludendo al tempo stesso tutti gli altri attori!) la titolarità per legge di stabilire ciò cui tutti i sanitari sono in pratica vincolati ad attenersi, per non rischiare.

Ma già oggi molte Linee Guida di Società scientifiche sono condizionate (anche) da:
a) punti di vista parziali, non ricomposti in visioni sostenibili
b) umane logiche autoreferenziali
c) relazioni finanziarie con produttori di tecnologie sanitarie, come mostra una ricerca sui siti delle 131 Società iscritte alla FISM. Infatti 3 Società su 4 hanno sponsorizzazioni industriali nel programma dell’ultima Conferenza annuale e/o di simposi satellite durante la stessa e/o loghi di produttori di farmaci o dispositivi medico-chirurgici sulla homepage; solo il 4,6% ha sul sito un codice etico che affronta le relazioni con l’industria, il 6,1% vi pubblica un rapporto finanziario annuale; e nessuna presenta insieme l’assenza dei tre suddetti indicatori di conflitto di interessi e la presenza dei due citati indicatori di trasparenza. Tali “relazioni pericolose” potrebbero aumentare per Società scientifiche che diventassero titolari dell’anomalo ed enorme nuovo potere previsto dalla prima stesura del Ddl.
d) Infine gli interessi degli specialisti di una disciplina portano oggettivamente a forte enfasi sulle proprie prestazioni, per come sono pagati e incentivati sul lavoro e in libera professione, per carriera, potere, prestigio…
 
Per questi motivi pensiamo che le Società scientifiche non possono essere titolari per legge di formulare linee guida vincolanti per chi lavora nel SSN. Ciò non significa che non possano partecipare, insieme ad altri attori pertinenti, a gruppi tecnici che elaborino linee guida per il SSN (di orientamento per gli operatori), purché il coordinamento scientifico, metodologico e organizzativo di tali gruppi di lavoro sia tenuto da pubbliche istituzioni, che assicurino anche una seria gestione dei conflitti di interesse che possono riguardare i componenti dei gruppi di lavoro.
 
Occorre infine prevedere che le bozze di Linee Guida (non vincolanti) che il SSN intende adottare, ancorché prodotte da gruppi di lavoro con le caratteristiche appena indicate, prima della formale adozione siano aperte per un congruo periodo a una consultazione pubblica, consentendo a tutti i componenti della comunità scientifica e a espressioni organizzate della cittadinanza di presentare osservazioni e contributi che possano arricchirle, se serve emendarle, e comunque migliorarne la condivisione.

Per il Consiglio Direttivo e il Comitato Scientifico della Fondazione Allineare Sanità e Salute
Alberto Donzelli, Alberto Aronica, Alessandro Battaggia, Franco Berrino, Giuseppe Fattori, Paolo Longoni, Giulio Mariani, Luca Mascitelli, Alessandro Nobili, Alberto Nova, Gianfranco Porcile, Luisa Ronchi
 
Testo condiviso anche da:
Vittorio Caimi
Presidente CSERMeG, a nome del Centro Studi e Ricerche in Medicina Generale

 
Ernesto Mola
Presidente WONCA Italia, a nome del Coordinamento Italiano delle Società Scientifiche aderenti a WONCA
 
Piergiorgio Duca
Presidente, a nome di Medicina Democratica

Adriano Cattaneo
a nome del Gruppo NoGrazie 

28 giugno 2016
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