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Talassemia. In Emilia Romagna un’innovazione pericolosa

di Magda Rodella

21 SET - Gentile Direttore,
volevamo scrivere c’era una volta la talassemia, ma purtroppo anche oggi, in un mondo ricco d’innovazione e scoperte scientifiche, la talassemia esiste ancora. Eccome! Un talassemico necessita di periodiche trasfusioni di sangue associate ad una terapia ferrochelante quotidiana per condurre una vita pressoché “normale” anche se non mancano le complicanze legate alla patologia.

Erano gli anni settanta quando l’equipe guidata dal prof. Vullo pediatra presso l’IPI di via Savonarola in Ferrara si prodigava con professionalità e umiltà per dare migliore cura e dignitosa vita ai talassemici.

Gli anni passarono e i talassemici cominciarono a vivere più a lungo e ad inserirsi, con grandi sacrifici, in un posto di lavoro. Credevamo di aver raggiunto una certa normalità, ma, come un castello di sabbia, tutto ci sta crollando addosso. Il recente percorso di riqualificazione del sistema trasfusionale regionale, che prevede la vasta area di raccolta e lavorazione del sangue con centro a Bologna, sta mettendo a dura prova la nostra resilienza.

Ferrara, polo nazionale della talassemia, poteva vantare di una efficientissima banca del sangue pronta a far fronte alle necessità dei talassemici; e che dire del nostro centro Avis con i magnanimi donatori sempre vigili all’appello perché fiduciosi che quel dono avrebbe prolungato la vita: a loro non finiremo mai di dire grazie.

E poi tutto ad un tratto metodologie innovative, ma che a nostro avviso non lo sono, hanno in gran parte vanificato il lavoro e i sacrifici di tanti anni. Cosa dire! In qualità di genitori “storici” che hanno vissuto, da oltre quarant’anni, la malattia dei propri figli possiamo solo affermare che abbiamo fatto un bel passo indietro. Se prima i nostri figli necessitavano mediamente di due unità di sangue al mese, oggi ne servono quattro.

Assoggettare i talassemici ad un aumento dei volumi di sangue è un vero rischio criminale considerando i danni che ne deriverebbero.

Questo succede perché, a nostro avviso, con la nuova lavorazione apportata al sangue da trasfondere, l’emocomponente non ha più quei requisiti che hanno permesso i risultati del passato. Diverse sono state le richieste da parte dei malati e della loro associazione perché venga rivisto il nuovo processo considerando metodologie di lavoro tali da garantire intervalli più lunghi; ma chi è addetto a dare delle risposte ha sempre scaricato la responsabilità a decreti e leggi ministeriali. Cosa servono i decreti e le leggi ministeriali se a farne le spese sono gli ammalati!

Noi rimaniamo increduli di fronte a tali risposte perché sappiamo che esistono organismi scientifici (Site e Simti) preposti ad emanare direttive e raccomandazioni per il benessere del paziente.

Di fronte ad una innovazione che non garantisca una migliore cura non ci sono scuse: bisogna cambiare. Non vogliamo lamentarci, ma denunciare questa situazione che sembra essere causata da dirigenti e politici che di talassemia non sanno nulla. Ma perché riluttanti vincoli economici e politici debbono mettere a repentaglio la vita dei più deboli.

Chi gestisce la sanità pubblica deve preporsi con umiltà e umanità davanti ad ogni cambiamento tenendo sempre presente il paziente nella sua interezza psico-somatica in virtù di un bene che renda la sua vita umanamente più vivibile senza retrocedere da un certo benessere raggiunto negli anni con tanta fatica.

Per i genitori storici
Magda Rodella

21 settembre 2016
© Riproduzione riservata

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